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A scuola fino ai 18 anni, obbligo o scelta?

Il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli propone di alzare l’obbligo scolastico a 18 anni. Bisogna ricordare che individui più istruiti formano una società migliore. Ma non è scontato che più anni di istruzione formeranno individui con più competenze.

Secondo molti analisti per competere nel mondo d’oggi e in quello che vedremo nei prossimi decenni è indispensabile almeno completare le scuole superiori. Coloro che abbandonano la scuola precocemente sembrano destinati a peggiori risultati non solo in termini di opportunità occupazionali e di guadagni, ma anche di salute e soddisfazione per la propria vita e lavoro. I motivi che portano gli individui ad abbandonare gli studi sono diversi così come sono molteplici gli strumenti con cui si può cercare di contrastare il fenomeno. Ed è nell’ambito di questi strumenti che va intesa la dichiarazione della ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli di voler portare l’obbligo scolastico a 18 anni.

Più istruzione per gli individui, più benefici per la società

Le leggi sull’obbligo scolastico stabiliscono il numero minimo di anni di istruzione che un individuo deve completare prima di lasciare la scuola o un’età minima di uscita dal sistema scolastico. Se i benefici dell’istruzione fossero solo privati e se gli individui scegliessero in maniera ottimale gli investimenti in capitale umano l’imposizione dell’obbligo scolastico non troverebbe giustificazione. Tuttavia, i benefici dell’istruzione non ricadono solo su chi effettua l’investimento ma si ripercuotono sulla società nel suo complesso a causa del loro impatto sulle finanze pubbliche (aumentano le entrate e riducono la spesa sociale), sulle prospettive di crescita, sulla criminalità, sulla partecipazione politica e anche sugli atteggiamenti verso minoranze e immigrati. Inoltre, molti studi mostrano che gli individui spesso non sono razionali o non riescono a prevedere gli effetti delle loro decisioni finendo con l’intraprendere scelte che si troveranno poi a rimpiangere.

Riforme che hanno innalzato la durata dell’obbligo scolastico si sono susseguite nel corso del tempo in molti paesi europei fino a giungere ad una sostanziale convergenza, con la maggior parte dei paesi Europei in cui ad oggi l’obbligo scolastico ha una durata di 9-10 anni. Non mancano tuttavia eccezioni. Ad esempio, la durata dell’obbligo è di 11 anni in Inghilterra e di 13 anni in Olanda, dove è obbligatorio continuare il processo di istruzione/formazione fino all’età di 18-19 anni (lo è anche in Israele e in molti Stati americani). L’Italia è nella media, con 10 anni a partire dal 2007.

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Perché aumentare ulteriormente la durata della scuola obbligatoria? E’ chiaro che l’estensione dell’obbligo scolastico tende ad accrescere il livello medio di istruzione della popolazione. Brunello, Fort e Weber  (2017) stimano che un anno di istruzione obbligatoria in più ha accresciuto gli anni medi di istruzione in Europa di circa 0.3 anni, con effetti eterogenei a seconda del background familiare. Per gli Stati Uniti alcuni studi mostrano che le riforme introdotte tra il 1852 e il 1920 hanno aumentato soprattutto gli anni di istruzione degli immigrati, con scarsi effetti sui nativi. Quindi, non tutti beneficiano, e i benefici non sono distribuiti in modo omogeneo.

Non solo più anni di studio, servono anche più competenze

Accrescendo la partecipazione scolastica, l’allungamento dell’obbligo scolastico comporta dei costi: a parità di rapporto tra studenti e docenti, aumenta la domanda di docenti e di strutture scolastiche. Per generare benefici, un aumento dell’obbligo deve poter incidere sulle effettive competenze acquisite dagli studenti, e possibilmente migliorare la transizione scuola-lavoro.

Dato che le risorse sono scarse, la domanda naturale è se esistano alternative all’incremento dell’obbligo scolastico. E’ oramai generalmente accettato che i benefici di un euro di denaro pubblico speso in istruzione sono massimi quando sono spesi molto presto – già in età prescolare (Heckman, 2000). L’Italia è indietro nella partecipazione all’istruzione formale (ad esempio asili nido) della fascia di età 0-3, sia rispetto alla media dei 28 paesi EU sia rispetto a concorrenti come la Francia, la Spagna e il Regno Unito. Investire nell’offerta di asili nido favorisce lo sviluppo delle competenze cognitive e non-cognitive proprio di quei bambini, che provenendo da ambienti familiari e sociali meno favorevoli, sono più a rischio di abbandonare la scuola quando diventeranno adolescenti. Una migliore offerta pre-scolare può dunque ridurre l’abbandono scolastico non subito, ma tra 10-15 anni. Non sono da trascurare poi i benefici più immediati in termini di maggiore tasso di partecipazione femminile in una società che invecchia rapidamente.

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Permettere al maggior numero di individui di rispondere alle sfide di un progresso tecnico che procede a una velocità mai sperimentata in passato e di un’accresciuta mobilità dei fattori produttivi è un obiettivo a cui i governi hanno il dovere di provare a raggiungere, agendo con lungimiranza. Come farlo – se imponendo l’obbligo o se favorendo le condizioni che riducono l’abbandono scolastico futuro – è una questione che richiede maggior dibattito, possibilmente suffragato da valutazioni scientifiche di politiche già in atto anche in altri paesi. Ad esempio, quali sono stati gli effetti dell’aumento dell’obbligo da 9 a 10 anni avvenuto nel 2007? Accrescere l’obbligo scolastico può rappresentare un messaggio importante e avere un valore simbolico. Esso però contribuirà a formare gli individui altamente qualificati, creativi e flessibili che i nuovi sistemi produttivi richiedono solo se il tempo speso a scuola sarà davvero utile a questo scopo e ciò dipende da una quantità di fattori tra cui spiccano la motivazione e la qualità dei docenti.

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11 commenti

  1. Michele Zazzeroni

    Pensare a un innalzamento dell’obbligo scolastico senza spiegare bene perché o, peggio, partendo dal falso assunto più durata=più istruzione significa avere anche da parte della signora Fedeli un approccio quantitativo al problema scolastico. Ciò non mi stupisce, tenendo conto del suo approccio “sindacale” alla questione.Ma a me appare chiaro che in Italia il problema è qualitativo. Indagini di vario tipo, ma anche la diretta esperienza quotidiana, mi fanno dire che tra i diplomati e laureati non solo il livello di preparazione specifica è modesto, ma che l’istruzione generale è spaventosamente degradata ( si vada a vedere come si scrive e ragiona nei testi di tanti laureandi e diplomati) e che l’educazione (cioè la formazione della persona umana, compito che, si comincia a capire, per “i benefici della società” vale quasi quanto avere delle specifiche competenze) è zero assoluto. Sul perché tutto ciò sia potuto accadere lascio la parola a che ne sa più di me. Il pensiero mi va però al famoso Diritto allo studio, attività integrative finanziate dai comuni per le medie inferiori: cucina, giardinaggio, pittura, lavoretti, danza; mentre “leggere-scrivere-far di conto-stare civilmente al mondo” andati a farsi benedire. Se questa è “formazione”!

  2. Tuly

    obbligare un ragazzo disinteressato a frequentare la scuola non porta nessun beneficio, anzi peggiora la situazione e le problematiche nel gruppo classe, impedendo di conseguenza il raggiungimento di risultati migliori anche agli alunni interessati.

  3. Luca Cigolini

    “L’allungamento dell’obbligo scolastico comporta dei costi: a parità di rapporto tra studenti e docenti” e “Dato che le risorse sono scarse”. Credo che questi siano due ostacoli insormontabili che sconsigliano l’innalzamento a cuor leggero dell’obbligo. I ragazzi interessati (che sono quelli con minor attitudine a rimanere nella scuola così com’è ora) possono – sì – essere aiutati e meglio istruiti, ma non nelle “classi pollaio”, poiché hanno bisogno di maggiori energie e attenzione specifica. Dopo decenni d’insegnamento, posso assicurare che il numero degli alunni in classe (costantemente in aumento dall’inizio delle riforme scolastiche degli anni Novanta fino ad oggi) ha un suo peso. Un semplice esempio: in un’ora posso dedicare quattro minuti alla cura dell’esposizione orale di ciascun alunno se in classe ne ho quindici, ma se ne ho trenta i minuti diventano due! Invito la ministra a riflettere su queste semplici operazioni aritmetiche. Prevengo una possibile obiezione (“ma con innovazioni metodologiche si può migliorare la didattica e ottenere risultati simili”), osservando che se le energie e le capacità didattiche (seppur aggiornate e tecnologicamente supportate) di un insegnante sono pari a uno, ogni alunno ne avrà comunque 1/30 anziché 1/15!

  4. Savino

    Se continuiamo a regalare posti di lavoro ai più asini e a cestinare i curricula dei nostri talenti che senso ha una lunga trafila scolastica e, poi, accademica?

  5. bob

    “l pensiero mi va però al famoso Diritto allo studio, attività integrative finanziate dai comuni per le medie inferiori: cucina, giardinaggio, pittura, lavoretti, danza; mentre “leggere-scrivere-far di conto-stare civilmente al mondo” andati a farsi benedire. Se questa è “formazione”. Questa è la “biada al popolino” quello che negli ultimi 40 anni si è fatto in questo Paese . Su questa sito ” autorevoli” professori ci hanno illustrato le bontà della devolution che tra l’altro prevedeva il dialetto nei programmi scolastici…in pratica acqua fresca dopo la biada. La pancia è satolla il cervello meglio se appassito

    • Fata

      la mancanza di “appassimento” del cervello la dà l’intelligenza individuale non certo la cultura scolastica!!!

  6. giuli 44

    Se un ragazzo va in classe come a scontare una condanna ha senso allungargli la “pena” di 2 anni? L’unica a trarne benefico non sarebbe solo la “casta” degli insegnati? Non sarebbe meglio estendere la scuola media a 5 anni per una formazione di base (il vecchio ginnasio), dando poi ad una età più adeguata la facoltà di scegliere un indirizzo successivo? E questo indirizzo non potrebbe essere la scuola professionale, con la creazione di operai specializzati e tecnici mediante l’alternanza scuola lavoro?

  7. enzo

    Qual’è il vero motivo di questa proposta? Innalzando l’obbligo scolastico innanzitutto si garantisce al parco insegnanti una maggior tutela dei posti di lavoro a fronte degli abbandoni nelle scuole superiori “facoltative”. In secondo luogo si riduce magicamente la popolazione attiva in quanto tutti coloro che sono compresi tra i 15 e i 18 anni e non sono iscritti a nessuna scuola attualmente fanno parte della popolazione attiva , quindi occupati, disoccupati o inoccupati. L’effetto sulle statistiche del lavoro sarebbe bellissimo senza nemmeno il bisogno di creare un solo posto di lavoro. Un’ultima osservazione : nel nostro paese si fanno solo misurazioni quantitative:quante ore si lavora, quanti anni si studia a nessuno interessa quanto si produce o quanto si impara.

    • bob

      .soprattutto c’è un uso smodato di dati e statistiche…in un Paese con picchi di analfabetismo del 20%

  8. Luca Cigolini

    Faccio parte del “parco insegnanti”. Posso assicurare che questo, nonostante dichiarazioni mirabolanti di assunzioni in massa, non è sufficiente per le attuali necessità. Questo è il motivo per cui la scuola soffre di “supplentite” (che evidentemente non è stata curata a sufficienza). Se si considera che (per scelte politiche, di risparmio) le classi sono sempre più affollate, in modo da ridurre la necessità di docenti, si capisce che l’ipotesi di un innalzamento dell’obbligo scolastico non risponde certo a logiche di incremento delle assunzioni. Per questo scopo basterebbe assumere tutti i docenti che servono e ridurre il numero di studenti per classe, ottenendo evidenti benefici per gli studenti stessi: continuità didattica e maggior attenzione ai singoli. Mi chiedo quale argomento possa sostenere l’ipotesi, salvo una generica dietrologia.

  9. Alessandro

    Innalzare l’etá d’obbligo significa costringere alunni problematici a stare in gabbia per altri due anni arrecando danni a sé stessi (frustrazione, perdita di tempo da dedicare al lavoro o al suo apprendimento, sfiducia nelle istituzioni) e alla comunità scolastica (gli altri alunni, il personale) a fronte di un improbabile miglioramento della loro istruzione-motivazione-autostima, a meno che non aumentino i fondi. Ma i governi degli ultimi vent’anni hanno praticato risparmio ossessivo sulla scuola, non credo quindi in un cambio di tendenza. Vista la scarsità di risorse fisiche e umane con cui lavoriamo ritornerei all’obbligo di otto anni d’istruzione.

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