Come spingere le donne a scegliere le facoltà Stem e migliorare così le prospettive di lavoro? Una ricerca sembra suggerire che una sede universitaria vicina a casa è un aiuto, soprattutto per quelle che altrimenti non si iscriverebbero all’università.

Tre alternative per uno studio

La scelta del percorso universitario può essere altrettanto importante, se non addirittura più importante, della scelta se iscriversi o meno all’università. Ed è rilevante in particolare per le donne. La loro significativa sotto-rappresentazione negli studi e nelle occupazioni Stem (Science, Technology, Engeneering, Mathematics) è al centro di un intenso dibattito pubblico, all’interno del quale spesso si sottolinea l’esistenza di una domanda non soddisfatta di laureati in queste discipline, e che le donne potrebbero essere particolarmente scoraggiate dal frequentare questo tipo di studi a causa di una varietà di vincoli culturali e istituzionali.

In un recente studio, utilizziamo varie annate della Rilevazione delle forze lavoro dell’Istat per analizzare l’effetto dell’istruzione terziaria sul successo nel mercato del lavoro dei laureati italiani. La nostra analisi considera tre alternative: non avere una laurea, avere una laurea in materie Stem, averne una in materie non Stem. Lo studio combina i dati individuali con informazioni sull’offerta territoriale delle facoltà universitarie (fino alla riforma Gelmini del 2010 le facoltà erano le istituzioni responsabili della didattica in un certo ambito disciplinare). Modelliamo la scelta individuale tra queste tre alternative sulla base della distanza dalla facoltà più vicina, differenziando tra le sedi che offrono programmi Stem e non Stem. Nell’applicazione empirica, una facoltà è “vicina” se si trova nella provincia di residenza all’età del completamento dell’istruzione obbligatoria; in caso contrario, è “lontana”.

Quanto conta la distanza dall’università

Escludendo le combinazioni tra scelte di istruzione terziaria e vicinanza a facoltà Stem e non Stem non coerenti con un modello comportamentale di scelta razionale (per esempio, scegliere un percorso terziario Stem quando si è lontani da una sede Stem, e non andare all’università quando la sede Stem è vicina, a parità di distanza da quella non Stem), identifichiamo otto tipologie di individui, riconducibili a specifici ordinamenti di preferenze tra le varie scelte possibili. Vi sono i soggetti che scelgono di andare o non andare all’università (Stem o non Stem) indipendentemente dalla distanza dalla sede più vicina. Oltre a questi, vi sono tipologie di soggetti disposti a rivedere (in modo coerente) le proprie scelte a seconda della distanza dalla sede universitaria più vicina. Costoro sono i più interessanti dal punto di vista delle politiche educative, dal momento che ci si aspetta possano rispondere a variazioni dell’offerta locale di istruzione terziaria modificando le loro scelte.

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I risultati suggeriscono che la vicinanza all’università è fortemente correlata con le scelte universitarie. In particolare, il gruppo più sensibile alla vicinanza all’università sono le donne caratterizzate da preferenze che le collocano al margine tra la scelta di un’istruzione terziaria Stem (per esempio nel caso di vicinanza sia a facoltà Stem che non Stem) e quella di non andare all’università (per esempio, se la facoltà Stem si trovi lontana). Questo gruppo rappresenta circa un terzo delle attuali laureate in Stem, e quindi un “target” importante per politiche pubbliche che mirino a ridurre il divario di genere in questo campo.

Analizziamo poi gli effetti di una riforma ipotetica che crei una nuova facoltà Stem in ogni provincia italiana che non ne abbia già una. In Italia, questo comporterebbe la creazione di 48 nuove facoltà Stem.

Figura 1 – Effetti medi dell’espansione Stem

Nota: La figura riporta gli effetti medi del trattamento (Ate) di una ipotetica espansione dell’offerta di istruzione Stem, che consiste nella creazione di una nuova scuola Stem in qualsiasi provincia italiana che non ne abbia una. Gli esiti considerati sono: la quota di laureati in Stem, la quota di laureati non Stem, la quota di persone occupate, la quota di persone occupate che segnalano di lavorare di notte o nei fine settimana, la quota di persone occupate che segnalano di avere la responsabilità di coordinare il lavoro degli altri.

I risultati della simulazione suggeriscono che la politica farebbe aumentare la quota di laureati Stem di 1,1 punti percentuali, corrispondenti a un aumento del 18 per cento rispetto alla loro consistenza attuale (pari a circa il 6,1 per cento). La maggior parte dell’aumento proverrebbe da chi avrebbe scelto di non andare all’università altrimenti, e solo una piccola parte (0,2 per cento) sono individui che passerebbero a Stem da materie non Stem.

La figura 1 mostra che questo effetto è più forte per le donne, e che porterebbe a una riduzione del divario di genere in Stem di circa il 20 per cento. Inoltre, i risultati mostrano che la riforma comporterebbe un aumento dell’occupazione femminile di circa mezzo punto percentuale, mentre non avrebbe alcun effetto significativo sull’occupazione maschile.

Crediamo che i nostri risultati possano essere interpretati in modo generale. “Avvicinare” i potenziali studenti universitari al luogo di fruizione dell’istruzione terziaria Stem ne riduce i costi di mobilità territoriale. Ciò suggerisce che politiche volte a ridurre il costo dell’università potrebbero ridurre sostanzialmente il divario di genere nell’istruzione Stem e nei risultati del mercato del lavoro. Inoltre, nel progettare politiche volte ad aumentare la quota di laureate Stem, spesso l’attenzione è rivolta alle donne al margine tra l’istruzione Stem e non-Stem. I nostri risultati suggeriscono che potrebbe essere più efficace mirare alle donne al margine tra intraprendere un percorso Stem e non andare del tutto all’università.

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