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Da dove verranno i nuovi insegnanti

Il governo ha definito un nuovo sistema per il reclutamento degli insegnanti. Ha indubbi aspetti positivi purché riesca a effettuare una valida selezione. Altrimenti si aumenterà solo il numero dei docenti, senza migliorare la qualità della scuola.

Come si diventa insegnanti

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera definitivo a otto decreti attuativi della Buona scuola, che riguardano numerosi aspetti del processo formativo.
Ma la novità di particolare interesse è il nuovo modello di reclutamento e formazione iniziale. Finora chi, dopo la laurea, voleva diventare insegnante doveva abilitarsi seguendo un tirocinio formativo (Tfa). L’abilitazione permetteva di entrare in graduatoria per le supplenze, ma per un posto di ruolo era necessario superare un concorso la cui cadenza temporale non era certa.
Il governo ha ora definito un chiaro orizzonte temporale e stabilito i passaggi necessari. A partire dal 2018 chi vuole accedere all’insegnamento potrà partecipare a un concorso che avrà cadenza biennale e sarà aperto a tutti i laureati con la sola condizione di aver conseguito 24 crediti universitari in settori formativi psico-antropo-pedagogici o nelle metodologie didattiche. I vincitori incominceranno un percorso triennale di formazione, inserimento e tirocinio (Fit) che, se concluso con successo, porterà all’immissione in ruolo.
Il sistema disegnato dal governo ha l’indubbio vantaggio di prevedere un percorso formativo specifico che potrà migliorare la qualità dell’insegnamento. Durante i tre anni di formazione gli aspiranti insegnanti potranno acquisire le competenze e l’esperienza necessaria per una buona didattica; in più, se ben strutturato e sufficientemente selettivo, il processo di valutazione permetterà l’immissione in ruolo solo di coloro che sono in grado di garantire un adeguato livello qualitativo.
Questo in teoria. In pratica, c’è da aspettarsi che la stragrande maggioranza degli ammessi concluda con successo il percorso formativo. E dunque il momento cruciale ed esclusivo per l’accesso alla professione sarà il concorso per l’ammissione al Fit. Ma se i numeri non saranno programmati su base nazionale, c’è il rischio che gli ammessi eccedano di gran lunga il fabbisogno.

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Selezione necessaria

Per avere un’idea del potenziale scollamento, bastano alcuni conti. Con qualche approssimazione, immaginiamo che in Italia vi siano 500mila studenti per ogni anno di nascita. Usando una media generosa di dieci alunni per insegnante (nel 2014 il numero medio per insegnante nella scuola primaria e secondaria era di 12 contro una media UE di 14 e 12. Con le immissioni della Buona scuola siamo scesi sotto la decina), ogni anno di scuola richiede circa 50mila insegnanti. Per i nostri dieci anni di scuola obbligatori ne servono dunque 500mila. Se si aggiungono i tre anni che concludono la scuola secondaria di secondo grado e si ignorano gli abbandoni arriviamo a 650mila insegnanti. Tenendo conto di bocciature e alunni con bisogni educativi speciali e anche che alcuni docenti insegnano a più classi, non siamo lontani dagli attuali 800mila insegnanti in servizio.
Se consideriamo poi una anzianità di servizio media di 40 anni, a regime serve un turnover di 20mila insegnanti all’anno. I dati del rapporto Anvur 2016 dicono che nel 2014 i laureati in materie letterarie sono stati 24.671, quelli in area della formazione 16.846, ai quali andrebbe sommata una frazione degli 8.415 laureati in aree scientifiche. Possiamo quindi concludere che su almeno 30-32mila aspiranti insegnanti per ogni coorte di laureati, a regime il sistema scolastico italiano è in grado di assorbirne poco più della metà. È quindi necessario che la selezione all’ingresso sia sostanziale, se si vuole evitare la formazione di nuove sacche di precariato.
Ma invece di iniziare virtuosamente sulla strada di una programmazione di medio-lungo periodo, il ministero dell’Istruzione ha preferito ripercorrere il vecchio vizio delle immissioni per sanatoria: ha infatti previsto una fase transitoria in cui si procederà all’assunzione di chi è ancora inserito nelle graduatorie a esaurimento (e quindi non ha superato il concorso) e in quelle prodottesi dopo il concorso del 2016; procedure concorsuali specifiche sono poi stabilite per coloro che hanno maturato lunghi periodi di insegnamento attraverso supplenze.
In sostanza, dopo quella del 2016, avremo tra poco un’altra consistente infornata di docenti nella scuola italiana (circa 60mila, cui potrebbero aggiungersi altri 20mila oggi nella terza fascia delle graduatorie a esaurimento). Tutto ciò per una popolazione studentesca sostanzialmente stabile, se non in calo. La figura mostra come negli ultimi anni vi sia stato un aumento delle classi e dei docenti, mentre il numero degli studenti non ha subito grandi variazioni, segno che i flussi migratori in entrata nel nostro paese riescono a malapena a compensare la riduzione delle nascite.
Di quanti insegnanti avremo bisogno nei prossimi anni? Qual è il numero medio di studenti per docente che si vuole raggiungere? Non dimentichiamo poi che l’eventuale programmazione deve considerare la distribuzione degli insegnanti sulle classi di concorso, per evitare il ripetersi dell’esperienza di quest’anno, con l’organico del potenziamento ampiamente popolato di docenti di arte o educazione fisica, ma senza quelli delle materie di base.
Migliorare la qualità della scuola italiana è certamente una priorità, per riuscire a farlo però non basta aumentare il numero dei docenti.

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Figura 1 – Serie storica di alunni, classi e posti comuni
(variazioni percentuali rispetto all’anno scolastico 2011/2012)

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Una ricostruzione del caso Madia

  1. Ernesto Savaglio

    “Per migliorare la qualità della scuola italiana -è vero- non basta aumentare il numero dei docenti”, ma serve a poco anche invocare il “numero programmato” per assicurarsi “l’immissione in ruolo solo di coloro che sono in grado di garantire un adeguato livello qualitativo”.
    Si trascura di fatto il problema di come una remunerazione non certo gratificante (vedi dati Sole24Ore 1) sotto) disincentivi a monte i potenziali insegnati di qualità, rendendo a volte sterile qualsiasi forma di selezione.
    Più che storia è cronaca quotidiana nelle università come nella scuola: i tagli e i vincoli senza gli incentivi non si traducono che per caso in un miglioramento dell’esistente.

    P.S. I dati che suggerite sono di difficile controllo. In rete, un non esperto trova ad esempio che il Miur parla di circa 600mila (non 800mila) docenti e di difficoltà, ogni anno scolastico, di comporre l’organico per carenza strutturale di docenti (riferimento 2 di sotto), un’altra indagine, datata (riferimento 3) ma ben fatta, stima il fabbisogno da turnover nella scuola (solo in Lombardia nel 2015) nell’ordine di una percentuale doppia rispetto a quella fornita nell’articolo.

    1) http://www.orizzontescuola.it/quanto-guadagnano-insegnanti-europa-mappa-del-sole24ore-d-quadro-esaustivo/
    2) http://www.istruzione.it/allegati/2014/LA_BUONA_SCUOLA__Rapporto__3_settembre_2014.pdf
    3) http://www.flccgil.lombardia.it/cms/attach/turnover_insegnanti.pd

  2. “assorbirne poco più della metà” vuol dire mantenere un livello dignitoso. Inoltre presumere che tali lauree abbiano come unico sbocco l’insegnamento è vero solo nel caso di scienze della formazione primaria

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