Nella diffusione del fenomeno delle fake news in tutto il mondo hanno avuto un ruolo importante i fattori economici che differenziano i media tradizionali dai nuovi. Ora sarà possibile circoscrivere le bufale senza limitare la libertà di espressione?
La parola dell’anno
Fake news è la “parola dell’anno” 2017. Non c’è da stupirsi. Chiunque faccia uso di social media si sarà probabilmente imbattuto in link a notizie quantomeno dubbie condivise da amici o familiari. Un recente studio sulla diffusione delle fake news nell’ultima campagna presidenziale americana ha certificato la presenza di 115 notizie false pro-Trump e 41 pro-Clinton. Lo stesso studio ne ha quantificato la diffusione: le notizie false pro-Trump sono state condivise 30 milioni di volte su Facebook, quelle pro-Clinton 7,6 milioni. Molteplici fake-news sono presenti anche nei social media italiani come, ad esempio, le presunte assunzioni a Palazzo Chigi di familiari della presidente della Camera, Laura Boldrini.
Le notizie false (o bufale) non sono una prerogativa del mondo digitale e dei nuovi media. La famigerata “Grande bufala della Luna”, sulla presunta scoperta di forme di vita sul nostro satellite da parte dell’astronomo sir John Herschel, è datata 1835. Tuttavia, ciò che sorprende è la dimensione assunta dal fenomeno negli ultimi anni. Quale ruolo hanno giocato gli incentivi economici nel moltiplicare e nel diffondere le fake news?
Vecchi e nuovi media
Per rispondere alla domanda bisogna confrontare i mass media tradizionali (giornali, radio, televisioni) con i cosiddetti nuovi media (siti web, blog e compagnia). Da un punto di vista economico, due sono le differenze principali: i costi di reputazione e la struttura dei costi di produzione. I media tradizionali fronteggiano costi potenzialmente molto elevati nel riportare informazioni false. E infatti è raro osservare notizie spudoratamente false riportate da questi media (quantomeno nei paesi in cui sono liberi dal controllo politico). Ciò non significa che giornali, televisioni o radio siano immuni da distorsioni. Ma sono presenti come risultato di omissioni e di scelte linguistiche, contenutistiche e di fonti di informazione, volte a favorire un dato punto di vista. Viceversa, i contenuti dei nuovi media sono spesso creati da anonimi. Di conseguenza, anche nel caso in cui l’infondatezza delle loro notizie venisse dimostrata, gli autori non si troverebbero ad affrontare costi di reputazione di lungo periodo (possono, ad esempio, aprire una nuova pagina web in breve tempo).
Allo stesso tempo, i media tradizionali hanno alti costi fissi, che costituiscono barriere all’entrata (limitando il numero dei concorrenti) e si traducono in rendimenti di scala crescenti (creando incentivi a dare notizie che interessano un pubblico ampio piuttosto che riportare “fatti alternativi” di interesse per una piccola minoranza). Con costi fissi pressoché nulli, il mercato dei nuovi media non ha invece barriere all’entrata né ritorni di scala crescenti. I nuovi media hanno quindi incentivi a differenziare il proprio prodotto per conquistare nicchie di mercato (ad esempio, offrendo “fatti alternativi” per lettori cospirazionisti). La ridotta dimensione dell’audience di ciascuno di questi media riduce anche l’effetto virtuoso dato dalla disciplina di mercato. Potenziali concorrenti hanno infatti scarsi incentivi a dimostrare la falsità di alcune notizie nel tentativo di attrarre i lettori di un dato sito di fake news. E ciò è tanto più vero, quanto più queste nicchie di mercato sono costituite da lettori con “confirmation bias” (ovvero, lettori interessati a notizie che confermino le proprie opinioni su un dato tema invece di ricercare informazioni utili a comprenderlo).
Il ruolo degli incentivi economici è evidenziato dal fatto che molte delle fake news create durante l’ultima campagna presidenziale americana provenivano da siti web fondati con l’esplicito intento di generare profitti.
Effetti e possibili soluzioni
Ma qual è il reale impatto delle fake news? Secondo lo studio citato all’inizio, il loro effetto complessivo sul voto presidenziale americano è stato probabilmente più limitato di quanto si possa immaginare. Per gli elettori statunitensi, i media tradizionali sono ancora i mezzi di informazione prevalenti e quelli in cui si ripone maggior fiducia. Allo stesso tempo, altri dati indicano che, rispetto alle vecchie generazioni, le più giovani siano più propense ad affidarsi ai nuovi media come principale fonte di informazione e ad avere meno fiducia nei media tradizionali. È, quindi, ragionevole attendersi che le conseguenze del fenomeno possano amplificarsi nei prossimi anni.
Si possono individuare tre tipi di risposte alle fake news: fact-checking, auto-regolamentazione e regolamentazione pubblica. Un recente studio suggerisce che la prima soluzione non è sempre efficace. Contrapporre dati ufficiali a numeri senza fondamento può paradossalmente aumentare il consenso a favore di chi propone false informazioni. La seconda strada è stata percorsa da Facebook, per adesso, senza grande successo. Ad esempio, la possibilità di segnalare notizie considerate false si è rivelata controversa portando, tra le altre cose, a nascondere informazioni utili. Infine, sia all’estero sia in Italia sono state proposte leggi volte a limitare la presenza delle fake news. Il tempo ci dirà se la regolamentazione pubblica sarà effettivamente in grado di combattere le bufale. O se saranno le piattaforme digitali stesse a trovare soluzioni efficaci. Il sentiero è stretto. Sia le politiche pubbliche, sia l’intervento delle piattaforme digitali dovranno riuscire a circoscrivere le fake news senza limitare la libertà di espressione. Un equilibrio molto delicato e difficile da individuare.
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Massimo GIANNINI
Il mercato delle “fake news” non è fiorente solo per l’informazione e la pubblicità (esempio il fenomeno di clickbaiting) ma soprattutto per il dividendo politico che genera. La “fake news” è diventata strumentale alla politica. Spesso non si tratta di false notizie o bufale ma qualcosa anche più sottile come vere e proprie fallacie di ragionamento che fanno leva anche sulla dissonanza cognitiva delle persone o elettori che siano.
Giacomo Cambiaso
Il termine fake news oggi giorno e’ mediaticamente abusato. Le bufale spesso sono travestite da informazioni serie ed attendibili, un buon esempio e’ lo studio citato proprio in questo articolo. Possiamo definirlo attendibile come non a prescindere dai dettagliati numeri che vengono snocciolati. Personalmente verifico sempre la fonte della notizia e non do mai per scontato che la notizia sia vera a meno che non ci sia una reale comprovata evidenza. Per esempio la mia assoluta mancanza di stima nei confronti della citata Boldrini e’ basata sulle sue azioni e dichiarazioni, non su presunte notizie che rivelerebbero chissa’ quale fatto scandaloso. Farei lo stesso esempio per la Clinton, non necessitava di essere infangata sui social media, la sua carriera era il vero palese biglietto da visita per la sua sconfitta. Le fake news che preoccupano i lettori intelligenti non sono quelle che circolano sui social media, ma quelle che vengono bombardate dai media ufficiali, quelle si che hanno un vero potere di manipolazione della realta’. Potrei citare decine e decine di casi, ma vista la scarsita’ dei caratteri disponibili mi limito ad uno dei piu’ clamorosi che ricordo, quello delle armi di distruzione di massa Iraqene. Come detto potremmo citarne milioni e per tutte le fazioni possibili. Come giustamente dice il primo commentatore il tragicomico tentativo politico di strumentalizzarle, dalla denuncia di Trump sono diventate il manifesto politico dei suoi avversari.