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Alla ricerca della verità sulle fake news

Grazie anche a Donald Trump, il 2017 si annuncia come l’anno delle fake news. Ma bisogna distinguere tra il meccanismo di “distorsione” e quello di “filtro” che i media possono mettere in atto. E le più subdole potrebbero rivelarsi le notizie irrilevanti.

False o finte?

Se il 2011 e il 2012 sono stati gli anni dello spread, il 2016 e il 2017 sono gli anni delle “fake news”, cioè delle notizie false o distorte. Le fake news debbono molta della loro fama al presidente degli Usa Donald Trump che – in diretta o via tweet – ha apostrofato come tali canali televisivi e giornali blasonati, dalla Cnn al New York Times.
Che cosa sono le fake news? Credo sia necessario resistere alla tentazione di tradurre il termine “fake” semplicemente come “false”, in quanto la parola rappresenta più che altro il concetto di “finto”: notizie che sembrano tali – cioè che dovrebbero essere vere- e che invece non lo sono.
Per ottenere una definizione più precisa è di aiuto il recente capitolo di Matthew Gentzkow, Jesse M. Shapiro e Daniel Stone sull’Handbook of Media Economics, a proposito della posizione ideologica dei mass media, e del modo in cui si possa analizzarla dal punto di vista teorico, tenendo presente il ruolo giocato sia dal lato dell’offerta (proprietari, direttori, giornalisti) che da quello della domanda (lettori/ascoltatori e inserzionisti).

Distorsione contro filtro

Ebbene, i tre autori distinguono tra un meccanismo di “distorsione” e un meccanismo di “filtro” nell’illustrare come i media possano presentare i fatti relativi a un dato evento: una notizia è distorta se esiste una verità accertabile in maniera ragionevolmente oggettiva (ad esempio, il numero di morti e feriti in una battaglia) che viene sostituita da un’affermazione falsa. Per i lettori-ascoltatori o per una seconda fonte potrebbe essere difficile scoprire che la notizia è falsa o distorta, ma ciò in via di principio è possibile. E il benessere degli utenti è colpito in maniera univocamente negativa dalla presenza e dalla diffusione di notizie false o distorte.
Dall’altro lato, l’effetto di filtro consiste nel decidere a quali argomenti dare copertura mediatica in presenza di una molteplicità possibile di argomenti, quando esistono limiti strutturali allo spazio di un giornale o al tempo disponibile per la messa in onda in un Tg o quando esistono limiti all’attenzione da parte di lettori o ascoltatori. Nel caso di notizie filtrate non è possibile concludere che vi sia una diminuzione univoca di benessere per gli utenti in quanto diverse scelte di filtro sono ottimali per utenti diversi, in funzione della loro posizione ideologica iniziale. In particolare, per un singolo utente risulta ottimale un filtro che dia più spazio a notizie che confermano la sua posizione ideologica iniziale: il giornale o il Tg che si ponesse nella posizione ideologica contraria non verrebbe mai creduto, mentre un allineamento ideologico iniziale porta a una maggiore possibilità di essere creduti quando il giornale e il Tg – di fronte a molti dati contrari – stupiscono l’utente dando ragione alla posizione contraria, e facendogli cambiare idea.
In un mercato sufficientemente differenziato, utenti con posizioni ideologiche diverse ricevono “diete” di notizie diverse che sono in media allineate alle loro posizioni attraverso una funzione di filtro esercitata dai media.
Sembrerebbe dunque che il meccanismo di filtro sia molto meno pericoloso di quello sfacciato della distorsione. E d’altra parte esso spiega la ragione per cui coloro che per caso leggono un giornale dalla posizione ideologica largamente lontana dalla propria – presidenti degli Usa inclusi – difficilmente resistono alla tentazione di gridare alla “fake news”: si tratta semplicemente di filtri radicalmente diversi nella scelta delle notizie.
È evidente come il meccanismo di filtro sulle notizie sia particolarmente adatto per descrivere quel che succede quando gli argomenti potenzialmente rilevanti sono molti e lo spazio e l’attenzione disponibili comparativamente scarsi. Anzi, ciò è coerente con l’antica idea di Lippmann (1922) secondo cui uno dei ruoli principali dei mass media consiste nell’influenzare le priorità dei cittadini sui diversi argomenti, cambiando lo spazio e il tempo dedicato a ciascuno di essi.
Attenzione però alla delicatezza della funzione, che rasenta il pericolo insito nel meccanismo della distorsione: come possono reagire i cittadini utenti quando i media decidono di non trattare – censurare – temi potenzialmente molto rilevanti, distogliendo l’attenzione grazie alla copertura di altri relativamente o assolutamente irrilevanti? E se le notizie vere ma irrilevanti fossero il caso peggiore e più subdolo di fake news?

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  1. Grazie per l’articolo. Credo che le campagne contro le #fakenews non potranno risolvere molto in quanto sovente il problema alla radice è legato alla tendenziosità della presentazione di fatti, unitamente all’interpretazione “biased” che colpisce più o meno volutamente cifre e statistiche. L’uso di aggettivi e avverbi sposta ulteriormente baricentro della realtà oggettiva verso altri “centri d’interesse”. Al lettore non rimane che leggere con sano scetticismo, domandandosi di volta in volta “Cui prodest”…?

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