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Sulle telecomunicazioni il Rapporto Draghi ha luci e ombre

La diagnosi del Rapporto Draghi sulle carenze del settore europeo delle telecomunicazioni non appare sufficientemente articolata. Non tutte le soluzioni sono quindi convincenti. Non lo è in particolare l’allentamento dei criteri di valutazione delle fusioni.

Un settore frammentato

La pubblicazione del Rapporto Draghi sul futuro della competitività europea offre al dibattito politico e a quanti partecipano alla formazione delle politiche dell’Unione un vastissimo insieme di analisi e raccomandazioni, che condividiamo sia nell’impostazione generale che in molte delle proposte specifiche. Qui vogliamo concentrarci su quanto il Rapporto propone per il settore delle telecomunicazioni (pp. 69-76).

Il punto di partenza sta nella tesi secondo cui il settore delle telecom in Europa, rispetto alla situazione degli Stati Uniti, del Giappone e della Cina, sia caratterizzato da una forte frammentazione, da ricavi e investimenti per utente più bassi e da un minore sviluppo delle reti ultrabroadband e 5G. La tesi è supportata da alcune evidenze ma occorre ricordare che, mentre sul più alto livello dei prezzi negli Usa rispetto all’Europa vi è generale accordo, più difficile è valutare lo sviluppo delle infrastrutture fisse e mobili nelle due aree. Il Rapporto fa risalire la progressiva divaricazione tra Europa e i suoi concorrenti mondiali agli effetti di politiche pubbliche, sia della Commissione sia degli stati membri, che hanno privilegiato la creazione e il mantenimento di un contesto eccessivamente concorrenziale e di una frammentazione del mercato unico nei rispettivi mercati nazionali, a scapito di politiche che favorissero gli investimenti e una crescita dimensionale, con l’emergere di soggetti attivi a livello continentale.

Tra le raccomandazioni avanzate nel Rapporto si ritrovano un riorientamento del controllo delle fusioni che allenti i vincoli alle operazioni di concentrazione, l’armonizzazione delle regole e dei tempi delle aste per l’assegnazione delle frequenze, l’allineamento della regolazione ex-ante tra i diversi paesi, l’introduzione di contratti per servizi validi nell’insieme degli stati membri, lo sviluppo delle infrastrutture a alta velocità.

I problemi dei servizi di telefonia su rete fissa e mobile

Se molte delle misure proposte sono da valutare con favore, riteniamo che il documento abbia dei limiti sotto due aspetti. La diagnosi delle carenze del settore telecom in Europa non appare sufficientemente articolata, individuando alcuni problemi, ma lasciandone altri sullo sfondo, proponendo di conseguenza solamente alcune delle soluzioni desiderabili. Tra quelle offerte, inoltre, non tutte appaiono convincenti, in particolare per quanto riguarda il controllo delle fusioni.

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Ma andiamo con ordine.

Il Rapporto tratta congiuntamente il settore dei servizi di telefonia su rete fissa e quelli mobili. Per quanto gli utenti oggi utilizzino contemporaneamente e in una pluralità di modi entrambi i servizi, i problemi per il loro sviluppo, gli investimenti necessari e le connesse dinamiche concorrenziali non sono coincidenti.

Per i servizi su rete fissa in Europa prevalgono a tutt’oggi assetti di mercato con un operatore dominante, proprietario e gestore della rete e attivo anche nel settore dei servizi. Per lo sviluppo delle reti ultrabroadband, in grado di portare la fibra ottica in prossimità degli utenti, si pone un problema di remuneratività degli investimenti per le aree a domanda debole. In Italia, è stato affrontato attraverso un contributo pubblico allo sviluppo di reti in fibra assegnato mediante aste, che ha permesso la nascita di operatori che vendono connettività senza partecipare al mercato dei servizi. Una soluzione di separazione della rete fissa dai servizi, con finanziamento pubblico al suo sviluppo, potrebbe essere proposta a livello europeo. Garantirebbe lo sviluppo delle infrastrutture e la preservazione della concorrenza nei servizi agli utenti. In questo caso, si tratterebbe di riconoscere la natura di monopolio naturale delle reti di accesso e di separare questo segmento da quello dei servizi, coniugando concorrenza in questi ultimi con regolazione e finanziamento del segmento di monopolio. Questo aspetto non è affrontato nel Rapporto.

Per i servizi mobili, la crescita dipende dalla capacità di finanziare due oneri significativi: la copertura dei costi fissi per lo sviluppo di reti mobili di nuova generazione (5G) e il costo della licenza per l’uso di porzioni dello spettro, ottenibile attraverso l’aggiudicazione di un’asta. La tesi che il Rapporto sembra sostenere è che la gestione delle aste, con regole e tempistiche diverse tra i diversi paesi, ha impedito l’emergere di gruppi pan-europei, mentre la finalizzazione delle regole d’asta a massimizzare gli introiti per l’operatore pubblico ha gravato le telco di oneri finanziari che hanno sottratto risorse agli investimenti.

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Il Rapporto suggerisce perciò una revisione dei criteri di controllo delle fusioni, con l’allentamento dei vincoli alle concentrazioni, aumentando quindi dal lato dei ricavi le possibilità di finanziare i necessari investimenti. Le proposte specifiche riguardano aspetti tecnici (definizione del mercato a livello europeo e non più nazionale, diminuendo di conseguenza la dimensione relativa dei soggetti coinvolti; un maggior peso ai progetti e agli impegni in materia di investimenti), ma la logica è trasparente: l’eccessiva concorrenza in Europa deriva da criteri troppo stringenti nel controllo delle concentrazioni e impedisce investimenti nelle infrastrutture e innovazione nei servizi.

Questa tesi non appare condivisibile per un insieme di ragioni. In primo luogo, per quanto l’impatto sulla concorrenza sia molto diverso nei due casi, non si fa una opportuna distinzione tra fusioni tra operatori attivi all’interno di un mercato nazionale e operazioni che mirano a creare operatori pan-europei. In secondo luogo, le fusioni che sono state proposte dagli operatori ed esaminate dalla Commissione erano nella gran parte dei casi del primo tipo, con una implicita motivazione di rafforzamento del potere di mercato nei singoli stati, e non di sviluppo dell’efficienza. Infine, le evidenze empiriche per le fusioni realizzate segnalano come l’impatto prevalente sia stato sui prezzi dei servizi e non sugli investimenti e l’innovazione.

Se quindi riteniamo che le misure volte ad armonizzare procedure e tempistica delle gare, così come l’armonizzazione della regolazione tra paesi e l’introduzione di contratti pan-europei, vadano nella giusta direzione di spingere a operazioni transfrontaliere e all’emergere di grandi gruppi europei della telefonia mobile, l’allentamento indiscriminato dei criteri di valutazione delle fusioni non appare coerente con l’approccio complessivo del documento, che vede un rapporto virtuoso tra concorrenza e innovazione.

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Il Punto

  1. Savino

    Sono gli effetti di privatizzazioni sconclusionate, fatte solo per agevolare gli amici del politico di turno. Nessun miglioramento per la concorrenza e per l’efficienza dei servizi a rete. Continuano solo a fare le prediche indirizzate in favore delle lobbies. Non è così che si governa l’Europa, così come è strana l’improvvisa conversione per la moltiplicazione della spesa pubblica a debito comune. Ricordo che le ultime 33 leggi finanziarie e di bilancio sono state fatte sulla pelle delle persone in nome dei conti pubblici in ordine, con rinuncia alle cure sanitarie, alla cura del territorio, tagli su settori importanti come scuola, ricerca, strade e acquedotti, servizi a rete appunto con privatizzazioni nelle telecomunicazioni soprattutto in poste, ferrovie e telefonia. Adesso anche basta, si riducano i veri sprechi e si faccia ciò che è utile e necessario per il Paese e per l’Europa a livello di investimenti e manutenzione.

  2. B&B

    A chi serve il parlamento europeo?

  3. Paolo

    Quindi il capitolo Telecomunicazioni del pompatissimo Piano Draghi o e’ stato carente e superficiale nell’analisi e nelle soluzioni proposte o e’ stato intenzionalmente polarizzato in modo da indurre a ritenere che l’unica possibile soluzione sia quella di rendere meno competitivo il mercato tlc. E financo la tesi di partenza, ovvero che vi sia effettivamente un problema di ritardo dell’Europa nel dispiegamento delle reti veloci, fisse e mobili, rispetto agli Stati Uniti (lasciamo pure stare le tigri asiatiche), – financo questa tesi sarebbe pretestuosa, o quantomeno non sufficientemente dimostrata. L’unico scopo sembrerebbe quello di favorire i merge & acquisitions in ambito telco, finora cosi’ osteggiati dalla commissaria Vestager. Beh, il primo effetto lo ha ottenuto, con la non riconferma della medesima.

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