La “filosofia Marchionne” ha dato risultati evidenti in Fiat: era un’impresa sull’orlo del fallimento, è ora una solida multinazionale. L’Italia invece l’ha vista come una minaccia e l’ha rigettata. Ma così non si vincono le sfide della globalizzazione.
Come ha cambiato la Fiat
La filosofia di Sergio Marchionne alla guida di Fiat-Fca può essere riassunta così: la sfida della globalizzazione si può vincere giocandola apertamente, senza sostegno pubblico e senza contare troppo su un mercato domestico ormai aperto alla concorrenza. Ma per farlo, è necessario avere gli strumenti gestionali per competere alla pari con una concorrenza agguerrita.
Questa filosofia aveva conseguenze radicali per l’impresa prima di tutto, ma anche per l’Italia in generale. Se per Fca possiamo dire che la sfida è stata vinta, il paese l’ha invece percepita come una minaccia e, con qualche rara eccezione, l’ha rigettata.
Marchionne ha rivoltato la vecchia Fiat come un calzino. Arrivato in un’impresa tecnicamente fallita e con una proprietà nel mezzo di un difficile passaggio generazionale, ha fatto piazza pulita di pratiche gestionali ormai vecchie e di un rapporto con lo stato basato su scambi sussidi-occupazione. Queste caratteristiche, funzionali nel mercato relativamente protetto del secondo dopoguerra, erano diventate una pietra al collo in quello competitivo e con lo stato meno invasivo (e più squattrinato) degli anni Novanta. Ma per cambiare una mentalità così radicata ci voleva un rivoluzionario. Il merito della proprietà è stato quello di individuarlo in Marchionne, allora una figura relativamente nuova nell’universo Fiat, e dargli carta bianca.
In questi giorni, decine di articoli hanno ripercorso i suoi 14 anni alla guida del gruppo. Non mi dilungo a raccontarli di nuovo. Ricordo solo due passaggi particolarmente interessanti. Il primo riguarda la decisione di chiudere l’impianto di Termini Imerese, giudicato economicamente insostenibile. L’allora ministro Sacconi propose implicitamente il vecchio scambio: un prolungamento degli incentivi alla rottamazione in cambio del mantenimento dell’impianto siciliano. La risposta di Marchionne fu no: un’impresa che compete su mercati internazionali non può permettersi di avere impianti strutturalmente in perdita. Questa logica, quasi banale nella sua semplicità, rappresentò una rottura epocale nei rapporti fra politica e impresa. Fiat smetteva di contare sull’aiuto pubblico, ma anche di farsi carico di obiettivi che sono propri dello stato, come promuovere lo sviluppo in certe aree del paese. Fu uno shock la cui importanza è ancora poco compresa.
Il secondo, più noto, è l’uscita dal sistema di contrattazione collettiva e la stipula di contratti aziendali. La scelta rifletteva la necessità di governabilità degli impianti. Fca si impegnava a rinnovare le fabbriche, adottando tecniche gestionali all’avanguardia. Ma queste tecniche richiedevano nuovi rapporti con i lavoratori, in particolare che garantissero la certezza di quanto contrattato (l’esigibilità dei contratti). Dato che il sistema di contrattazione collettiva non garantiva queste condizioni, Fca l’ha abbandonato, uscendo da Confindustria e, anche in questo caso, rompendo una consuetudine congenita alla vecchia Fiat.
Ma il paese non l’ha seguito
I risultati della “filosofia Marchionne” sono evidenti. La vecchia Fiat, sulla quale aveva l’autorità per imporla, l’ha abbracciata, compresa la maggioranza dei lavoratori italiani che ha votato nei referendum sui contratti. Marchionne ha dimostrato coi fatti che la sfida si può vincere. Un’impresa allora sull’orlo del fallimento è oggi una multinazionale solida e ben posizionata sulle due sponde dell’Atlantico, con una serie di marchi che hanno spostato il baricentro sul segmento premium. Il “piano Marchionne” non è stato completamente portato a termine. Mancano in particolare un’ulteriore aggregazione, per superare la quota minima di 6 milioni di veicoli che lui stesso aveva stabilito, e un rafforzamento della presenza nel mercato più dinamico del mondo, l’Asia. Ma sono dettagli rispetto al quadro d’insieme: la svolta di Fiat entrerà sicuramente a far parte dei casi di successo studiati nelle business school di tutto il mondo.
Il paese ha invece rigettato la “filosofia Marchionne”. Non credo che il suo obiettivo fosse di modernizzare l’Italia: a lui interessava rilanciare Fiat. Ma sicuramente sperava che il suo progetto diventasse contagioso. Da qui lo stupore, prima, e l’amarezza, poi, di fronte alle critiche contro la sua gestione. E il conseguente disimpegno dal dibattito italiano (e forse, lo spostamento del baricentro di Fca fuori dal paese). Ci ha messo un po’, ma quando l’ha capito, ne ha preso atto: in Italia è maggioritaria la quota di persone che pensa che la sfida della globalizzazione si possa vincere per decreto.
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Enrico Bennati
Lo chiedo da ignorante , quali benefici oggettivi e tangibili il piano Marchionne ha portato all’ Italia ? E’ aumentato l’indotto ? Sono aumentate le tasse versate in Italia ? E’ aumentata la spesa in ricerca e sviluppo sul nostro territorio ? Sono aumentati gli stanziamenti di FIAT per le borse di studio ? Sono cresciuti i brevetti tecnologici depositati ? Quelli a FIAT ed ai suoi azionisti sono evidenti tangibili e condivisibili.
andrea goldstein
il confronto va fatto con la Fiat tecnicamente fallita, rispetto alla quale ogni posto di lavoro salvato da Marchionne è stata una manna dal cielo. Dei posti di lavoro che c’erano nel 1980 e nn ci sono più oggi va chiesto conto ai sindacalisti come Bertinotti e ai manager come Romiti, nn a Marchionne
oscar
assolutamente d’accordo, ha salvato il salvabile e contribuito ad una globalizzazione globalmente positiva. Sulla positivita’ della globalizzazione industriale dal punto di vista del solo 1% rappresentato dall’italia si potrebbe discutere, l’occupazione nel settore auto e’ sicuramente decresciuta ma come consumatori abbiamo goduto di beni e servizi piu’ a buon mercato. L’aspetto che mi confonde di piu’ facendo queste considerazioni e’ che non siamo mai in presenza di uno stato stazionario, le riserve, se volete il risparmio, giocano sempre un ruolo rilevante nel mondo contemporaneo.
Mario Carossi
Molti detrattori sostengonoche di Fiat non ci sia più nulla in Italia e non si produca più nulla, beh secondo uno studio del centro di ricerca di mediobanca del 2017 la chiusura totale di fca in Italia provocherebbe un calo del 7% del pil nazionale, insomma un quattordicesimo abbondante di tutta la ricchezza nazionale prodotta annualmente dipende dal quell’ingato kattivone traditore di Marchionne che, secondo molti italiani avrebbe distrutto l’industria nazionale e portandosi all’estero i gioielli di famiglia … pensa un po’ Te! 😉
anna d'ascoli
Benefici per l’Italia? Fabbricavamo solo utilitarie, ora 1 milione (2017) di vetture il 60% delle quali premium e semi premium con 150.000 vetture esportate negli Usa. L’Indotto? E’ aumentato, si informi su Brembo e Adler, ad esempio. Sono aumentate le tasse versate in Italia perché è più che raddoppiato rispetto al 2013 il fatturato italiano. La spesa in ricerca è aumentata visto che ora a Cassino fabbricano auto che arrivano a 100.000 euro l’una.
Michele
I benefici per l’italia si misurano confrontandoci con la Germania. In Germania si producono 5.6 milioni di auto, la bilancia commerciale è attiva per quasi 2.5 milioni di auto, i metalmeccanici hanno salari più alti e diritti più robusti e i sindacati stanno nei cda delle società . In italia si produce 1.1 milioni di auto, la bilancia commerciale è negativa per 1 milione di auto, abbiamo precariato, bassi salari e cig. Come si è evoluta la situazione nel tempo? Nel 1990 in Germania si producevano 2.5 volte le auto prodotte in Italia, oggi siamo a 5,6 volte. I fatti parlano da soli
anna d'ascoli
Solo qualche cifra: negli ultimi tre anni FCA ha effettuato 6.000 assunzioni in Italia. Parte per sostituzioni fisiologiche ma a Melfi 1.800 giovani in più per produrre la Jeep Renegade, a Cassino 300 assunzioni per Giulia e Stelvio, a Torino riapertura dell’ex Bertone per la Maserati Ghibli (1.500 posti), alla Magneti Marelli di Tomezzo che produce fari quasi 300 assunzioni ex novo.
Savino
In Italia è maggioritaria la quota di persone che pretende il benessere senza sporcarsi le mani di grasso da meccanico e senza fare nulla. I genitori italiani non vedono per i loro figli un futuro di studio e d’impegno. Per loro non conta la teoria, non conta l’intelligenza, ma restano affascinati dalla genericità di simpatia e affabulazione. Gli italiani sarebbero capaci di rimproverare a uno come Marchionne di non saper fare il nodo alla cravatta, anzichè apprezzarne le doti di uomo, di manager, di rivoluzionario. Gli italiani, presi a seguire le chiacchiere a perditempo di un Di Maio qualsiasi, si accorgeranno troppo tardi che il mondo è cambiato e cambierà ancora.
luigi
Era un’impresa italiana sull’orlo del fallimento, è ora una solida multinazionale olandese/americana. Grandioso per l’azienda, ma il paese poteva uscirne meglio.
Henri Schmit
Sintesi perfetta! E se il paese è uscito meno bene dalla ridefinizione dell’intreccio con il gruppo automobilistico, è colpa degli incaricati politici o del leader aziendale? Grande il successo aziendale, misero il bilancio politico!
Chiara Fabbri
Marchionne ha preso un’azienda italiana nel senso che, come e piu’di altre aziende italiane era basata non su capitali privati ma su ampio sostegno di denaro pubblico, e l’ha portata all’estero, dove con altri soldi pubblici, quelli degli USA, ne ha rilanciato la parte fuori dall’Italia. La produzione e’in USA le tasse ad Amsterdam. La distruzione del sistema di relazioni sindacali italiano, venduta come necessaria per poter investire e creare lavoro, ha di fatto portato alla scomparsa della produzione, ma anche della progettazione e dell’indotto. Non solo hanno sofferto e soffrono gli operai di Termini Imerese, di Pomigliano, ma a chi servono ingegneri italiani se qui non ci sono piu’impianti?La famiglia Agnelli ha sicuramente tratto grande beneficio dalla cura Marchionne, ma un uomo che ha pagato a se stesso un salario che vale centinaia di volte quello dei suoi operai ogni anno senza produrre un solo posto di lavoro stabile in Italia non ha molto per cui essere celebrato nel nostro Paese.
Savino
C’è anche chi nasce a Pomigliano per fare gli interessi di una società di piattaforme web che non produce nulla, ma vende il fumo della “democrazia diretta”, facendo, non da meno, lo sciacallo sulla pelle dei cittadini.
Bruno Alberto Jimenez Reyes
E’ un manager di un’azienda privata. Uno fra i migliori al mondo, fra l’altro.
L’Italia ha enormi ed irrisolti problemi di competitività e mancato sviluppo, e stava portando una Fiat dalla mentalita ancora novecentista al fallimento. Ci sarebbe piuttosto da chiedersi quali danni (enormi e ben più profondi) avrebbe fatto all’Italia una Fiat fallita e fagocitata dai concorrenti.
Minacciare i dipendenti Napoletani che, certi dell’impunità, non venivano a lavorare il Lunedì perché la domenica si ubriacavano di calcio…
Rompere con Confindustria ed umiliarla perche era diventata un inutile carrozzone consociativista e fondamentalmente inutile.
Dire quello che pensava dei nostri piccoli e meschini politicanti di turno.
Aver avuto il coraggio di sfidare i sindacati sul loro stesso campo di battaglia, e vincere.
E’ un grande uomo che ha dato tanto, ma solo a chi ha l’intelligenza per capire il suo esempio, e trarne ispirazione, speranza, e voglia di riuscirci.
All’Italia non piacciono i vincenti… ricordano al 90% della popolazione quanto sono perdenti. Qui sarebbe rimasto invischiato in diatribe infinite fra personaggi del “calibro” di Landini. Quindi la cosa più grandiosa ed intelligente e’ stato lasciare questo paese da barzelletta e far diventare grande la Fiat da un’altra parte.
Savino
Per essere ancora più precisi, “All’Italia non piacciono i vincenti”…… con merito, impegno, duro lavoro e sacrificio, con diritti, ma soprattutto con doveri. Conosciamo bene i metodi e le scorciatoie con cui gli italiani esigono di essere vincenti, solo che nell’economia globalizzata questi trucchi non funzionano più e le maschere cadono tutte.
Michele
Assolutamente d’accordo
Mario Carossi
@Ciara Fabbri Ci sono circa 70.000 “posti di lavoro stabili” in Italia e in luoghi particolarmente delicati dal punto di vista occupazionale. Dubito fortemente che esisterebbero senza Marchionne inoltre in un paese che paga fior di quattrini a manager incompetenti che portano al fallimento aziende pubbliche e private credo sia ll’unico ad essersi meritato fino all’ultimo centesimo del suo stipendio (per altro molto legato ai corsi azionari dunque al giudizio sui suoi risultati più che preso dalle casse dell’azienda) ha fatto risparmiare miliardi e ora ne fa guadagnare ad un’azienda che quando è arrivato lui perdeva milioni di euro al giorno solo a stare aperta e nonostante potesse contare sui profitti di ferrari e dei trattori americani di CNH che ora hanno invece vita propria.
Termini Imerese, purtroppo ha dimostrato che non era sostenibile (via FIat nessuno serio si è offerto di subentrare) non si può più, come dice correttamente l’articolo, avere una gestione sussidi pubblici in cambio di occupazione, ma il paradosso è che chi accusa fiat e Marchionne delle peggiori nefandezze rivendica poi proprio questo “con tutti i soldi che fiat ci è costata e ci costa” accusandola di parassititsmo ma in realtà lamentando il fatto che non campando più di sussidi non è più ricattabile.
Pier Doloni Franzusi
Ci sono una marea di errori fattuali in questa risposta.
E’ sinceramente desolante commentare cose come “la distruzione delle relazioni sindacali” quando abbiamo un sindacalista che elogia Marchionne o cose inventate tipo “produzioni spostate all’estero”.
Asterix
Stiamo parlando di un uomo che sta lottando contro il male e sarebbe il caso per rispetto alla famiglia di fermare il giudizio. Se invece vogliamo parlare della Fiat stiamo parlando di una impresa italiana che era in forte crisi industriali perché non creava più modelli di successo e che viveva su aiuti pubblici diretti e indiretti. Quando tali aiuti di stato sono state vietati dalla UE si è trasferita negli Usa dove gli aiuti statali sono ammessi. La crisi del settore auto è rimasta uguale ma ha beneficiato dei risultati positivi settore jeep usa. Peraltro strategicamente la Fiat ha commesso un grave errore quando, come i tedeschi, ha scelto il diesel invece che l’elettrico come fatto dai concorrenti asiatici. Quindi oggi la FCA è una multinazionale americana con impianti in Italia. Non vedo cosa ci possa insegnare la storia della FCA sulle politiche industriali da seguire per le imprese Italiane? Favorire la deindustrializzazione del nostro Paese o uscire dalla UE?
Michele
Assolutamente d’accordo. Aggiungerei solo che non è che “il paese non l’ha seguito”, ma è FCA che se n’è andata dall’Italia: con FCA Italy sempre in perdita dal 2012 al 2017, con l’abbandono del marchio Lancia, con l’Italia ridotta ad essere il 19esimo paese al mondo per produzione di auto (preceduto anche da Korea, Spagna, Iran (!), Russia etc) mentre in Germania – non certo un paese a basso coso del lavoro e bassi diritti dei metalmeccanici – di auto se ne producono ogni anno 5 volte tanto che in Italia.
Obelix
Non ho particolare simpatia o antipatia per il Sig. Marchionne e non ho abbastanza informazioni per dare un giudizio sulle sue scelte strategiche però mi chiedo se all’Italia conviene avere a che fare con manager come Marchionne o avere politici, sindacati e manager come quelli che hanno “salvato” l’Alitalia.
enrico bisogno
Una bella riflessione. Grazie.
Aldilá di tanti commenti, penso sia ineegabile che senza Marchionne la Fiat non esisterebbe piú, né tantomeno, i pochi stabilmenti industriali rimasti. Forse qualcuno si dovrebbe chiedere perché nessuno produce automobili in Italia (a parte appunto Fiat), mentre molti lo fanno in Francia, Spagna o Germania. Una risposta a questa domanda forse chiarirebbe in che direzione andare e, in ogni caso, rende ancor di piú merito a quanto fatto da Sergio Marchionne.
Cordialmente
Michele
In Germania nel 2017 sono state prodotte 5.6 milioni di auto. In Italia ne sono state prodotte 1.1 milioni. 5 a 1. Nel 1990 questo rapporto era 2,5 a 1. Certamente la Germania non è un paese dove i metalmeccanici hanno diritti limitati e retribuzioni basse, anzi i sindacati stanno pure nei consigli di amministrazione. Questi fatti ci indicano che la direzione seguita in Italia negli ultimi 30 anni è stata semplicemente sbagliata.
bob
onestà intellettuale in poche parole! ” Germania non è un paese dove i metalmeccanici hanno diritti limitati e retribuzioni basse, anzi i sindacati stanno pure nei consigli di amministrazione. da noi sono all’ ATAC!!
toninoc
I punti di vista sull’operato di Sergio Marchionne nella FIAT non possono che essere molto discordanti poiché col suo operato ne ha certamente salvato una parte ma ne ha condannato un’altra. Gli azionisti ed i dipendenti rimasti al lavoro hanno in modo diverso guadagnato; gli operai che hanno perso il posto hanno perduto. Il Manager è stato assunto dagli azionisti per farli guadagnare e salvare l’Azienda e Lui ha ampiamente compiuto il quel dovere affrontando la globalizzazione con le sue spietate regole. I perdenti non possono accollare a Marchionne i danni della globalizzazione che vanno ascritti per intero alle classi politiche che non hanno voluto o saputo contrastare la “legge della giungla” che il nuovo sistema economico e finanziario ha imposto al mondo intero e che ha impoverito molte più popolazioni di quante non ne abbia arricchito. Se col nuovo sistema globale le classi medie si sono impoverite e le classi più povere non hanno avuto benefici, la colpa non è di Sergio Marchionne ma della Politica che avrebbe dovuto contrastare la Finanza senza farsi corrompere.
Andrea Malan
Mi permetto di dissentire da una delle tesi dell’articolo. Sergio Marchionne ha sì rinunciato agli scambi politici con i governi, ma non ha affatto rinunciato agli aiuti statali. Come avevo scritto sul Sole 24 Ore già 5 anni fa, FCA aveva risparmiato dal 2004 al 2013 quasi 2 miliardi di euro di minori costi del lavoro grazie alla Cassa integrazione, soldi pagati in parte dai dipendenti con il taglio degli stipendi, in parte dal contribuente italiano. Senza la Cig, utilizzata con larghezza e in ogni forma possibile, FCA avrebbe già chiuso uno o due stabilimenti in Italia, come lo stesso Marchionne più volte dichiarò. Negli anni della crisi, concorrenti come Opel e Ford spesero 500 milioni di euro ogni fabbrica chiusa, per compensare gli operai. Grazie al sistema italiano, questi costi Marchionne li ha risparmiati – da ottimo businessman, come sempre.
Andrea
Mi scuso se posso risultare antipatico, ma questa non mi sembra una analisi del lavoro del manager Marchionne, quanto il coccodrillo di un defunto. Non una descrizione di quanto fatto, non un dato portato per avvalorare quanto asserito. Nel mondo globalizzato del 2018 non credo vi sia ancora spazio per le agiografie.
Luciano Leonetti
Fiat e’ diventata FCA, una societa’ inglese che paga le tasse in Olanda e produce quasi tutto all’estero. Fanno bene gli azionisti ex-FIAT ad essere contenti. Noi, molto meno
dino battistuzzo
Premesso che di fronte alla morte è doveroso il silenzio,Marchionne, lavorando alla Fiat per 14 anni non ha fatto altro che fare gli interessi suoi e degli azionisti Fiat.Meno degli Italiani,visto che la sede fiscale è in Olanda è produce molto in Serbia e in Polonia dove gli operai non costano nulla.Basta con questa ipocrisia.Centinaia di Italiani perdono la vita in Italia per mancanza di sicurezza sul lavoro perchè i dirigenti pensano solo ai profitti e non gliene frega niente degli operai
Massimo Benessere
Articolo che mi sento di condividere tranne per il finale che lascia intendere che la risposta alla globalizzazione sia la omogeneizzazione al mercato globale ed in particolare al modello USA, mentre per Marchionne (cito): Alcuni economisti sono convinti che il sistema europeo – per migliorare produttività, efficienza e profitti – debba convergere verso il modello americano. Io non credo che questo tipo di convergenza sia possibile nel medio termine, e non credo neppure che sia auspicabile. Non esiste un unico modello di capitalismo. Stati Uniti, Asia, Europa sono tutti in competizione fra loro ma nessuno converge verso l’altro. L’unico denominatore comune è il mercato. Queste organizzazioni danno il meglio di sé quando sono messe a bagno nella concorrenza aperta e globale.” (da Il Mulino, L’industria, Fascicolo 1, Numero speciale 2008)
Aldo Mariconda
Condivido. Lo sviluppo si ha non per legge ma creando un ambiente favorevole all’impresa e agli investimenti. I governi precedenti non hanno fatto le riforme. il nuovo sembra anche non averlo capito
giuliano parodi
Nemo propheta in Patria! Mentre in Italia continua a ricevere più critiche che lodi, in America il giudizio di dipendenti e sindacalisti è positivo. Ma è dura per l’Italiano medio ammettere che senza Marchionne la FIAT non esisterebbe più e che i suoi stabilimenti sarebbero archeologia industriale. Ancor più dura prendere atto della realtà: il Paese che vuole stare a passo con i tempi si deve ammodernare e questo non avverrà certamente dando spazio a NO TAV e salvando aziende decotte come Alitalia con soldi dei contribuenti.
http://giuli44.altervista.org/25-luglio-2018-mercoledi-nero/
Lorenzo
Articolo più che condivisibile.
L’uomo Marchionne e chi ha creduto in lui sono soddisfatti.
Nell’Italia che crede di poter sopravvivere agli scossoni economici planetari senza impegnarsi è difficile predere atto che siano in piena decrescita.