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Quanta fatica per l’industria europea nel 2024

Il 2024 non è un anno favorevole per l’industria europea, penalizzata da fattori di natura congiunturale e problemi più strutturali. Se la Germania soffre più di tutti, in Italia ci sono differenze significative fra settori, con qualche segnale di ripresa.

Come sta l’industria

Nel corso degli ultimi trimestri, la crescita nell’area euro è stata modesta, vicina alla stagnazione. A spiegare questo andamento è una protratta recessione dell’industria, accompagnata da una crescita moderata dei servizi. Peraltro, i dati sulla produzione industriale relativi a luglio e quelli sul clima di fiducia delle imprese manifatturiere, disponibili sino al mese di agosto, tracciano un quadro preoccupante per i settori industriali anche nel terzo trimestre e non lasciano intravedere grandi spazi di miglioramento per la parte finale dell’anno.

Alla luce di questi dati, quali tendenze si delineano per l’industria? Un punto significativo è che la produzione industriale registra contrazioni molto più ampie rispetto al valore aggiunto dell’industria. La differenza nell’andamento delle due variabili è evidente da diverso tempo: se si confronta la media del 2019 con quella del secondo trimestre di quest’anno, si vede che la produzione nell’area euro si contrae del 2,5 per cento, mentre nello stesso periodo il valore aggiunto aumenta del 3,4 per cento. L’interpretazione non è immediata: una possibile chiave di lettura è che siano in corso processi di integrazione verticale nell’industria europea, che spingono le imprese a produrre al proprio interno una parte degli intermedi che in precedenza acquistavano da altre imprese. La riduzione riguarda tanto gli scambi fra imprese della stessa economia, quanto quelli con imprese di altri paesi. Ciò concorre a spiegare anche la bassa elasticità delle importazioni rispetto alla crescita. Non a caso, le importazioni europee di merci si sono ridotte negli ultimi trimestri, determinando un contributo del net export alla crescita di segno positivo, pur con un aumento modesto delle esportazioni. 

Figura 1

I motivi della frenata

Pur tenendo conto della tenuta del valore aggiunto rispetto alla produzione, il quadro per l’industria resta comunque sfavorevole, con almeno tre punti da evidenziare. Innanzitutto, la particolare debolezza della domanda di beni rispetto ai servizi. Dal lato dei consumi è emersa una ricomposizione della spesa a favore dei servizi, seguendo il percorso di normalizzazione dei comportamenti dopo le restrizioni dovute alle misure di distanziamento sociale del 2020-2021. Sono anche cambiati gli stili di vita, con una forte riduzione di alcune spese, come quelle per l’abbigliamento. La politica monetaria ha inciso in misura maggiore sulla domanda di beni di investimento e sui consumi di quelli durevoli, compreso il deludente andamento degli acquisti di auto. Il settore dell’auto è penalizzato anche dall’aumento della quota di veicoli importati, mentre l’export scende, soprattutto verso la Cina. A farne le spese è soprattutto la Germania, che vede una progressiva erosione della propria quota sul mercato cinese. Conta anche il fatto che le vetture cinesi a motore elettrico si affacciano sui mercati internazionali con proposte competitive rispetto alle compagnie tedesche: la situazione riflette il sostegno finanziario della Cina alla sua industria, diversamente da quanto accade in Europa e in Germania.

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D’altra parte, è la posizione competitiva europea verso i paesi asiatici che si è ampiamente indebolita, per via del deprezzamento delle valute di quei paesi e della bassa crescita dei prezzi del loro export. Il tema della competitività dal lato dei costi è rilevante soprattutto per i settori più energivori: l’aumento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili non è ancora sufficiente a incidere sui prezzi di mercato, dato che la componente che determina il prezzo è ancora rappresentata dalle centrali a gas.

Le tendenze in Italia

Se questo è il quadro generale, non c’è da stupirsi se anche in Italia l’industria è entrata in una fase difficile. I dati evidenziano risultati differenziati a livello settoriale, con andamenti particolarmente negativi in tre aree.

Innanzitutto, l’automotive incontra le stesse difficoltà degli altri paesi, anche perché diverse imprese italiane fanno parte dell’indotto dell’auto tedesca. L’effetto complessivo sulla nostra economia è però più limitato perché il settore ha un peso minore nel nostro sistema produttivo di quanto ne abbia nelle altre principali economie europee, Germania in testa.

Tuttavia, la produzione registra andamenti negativi anche in comparti che invece sono di nostra specializzazione. È il caso del sistema moda: tessile, abbigliamento e pelletteria, dove il livello della produzione rimane ancora ampiamente al di sotto dei valori pre-pandemici. Sulla domanda ha inciso il cambiamento delle abitudini da parte delle famiglie, legato principalmente alla diffusione del lavoro da remoto.

La produzione continua a mostrare andamenti deboli anche nei settori dei macchinari. Una delle cause è stata la frenata della domanda dovuta all’incertezza e ai ritardi dell’attuazione degli incentivi del Piano Industria 5.0, in vigore da agosto, che avevano portato a posticipare molte decisioni di investimento.

Le note positive

Ci sono però anche settori che dimostrano invece una maggiore capacità di tenuta. Rimane positivo, ad esempio, l’andamento dell’industria alimentare, grazie al contributo della domanda estera. I settori legati al ciclo delle costruzioni – come il comparto del legno, i minerali non metalliferi, la metallurgia – avevano avuto un’espansione marcata nel corso del 2021 e nei primi mesi del 2022, sulla spinta dell’aumento dell’attività dell’edilizia, grazie agli incentivi del Superbonus. Negli ultimi due anni, però, la produzione dell’indotto dell’edilizia si è molto ridimensionata, anche perché in parte messa fuori mercato dall’aumento dei costi dell’energia, che hanno favorito le importazioni. Con il rientro dei costi energetici, negli ultimi mesi sono emersi alcuni segnali di ripresa nella produzione, ma rimangono le criticità connesse alla possibile contrazione dell’attività nell’edilizia per l’esaurirsi della spinta degli incentivi.

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Nel complesso, quindi, il volume della produzione industriale stenta a ripartire anche in Italia, ma con andamenti che appaiono molto differenziati a livello settoriale: se vari comparti sono in crisi, vi sono diversi segmenti della nostra industria che attraversano una fase di ripresa.

Su questo aspetto, un’indicazione interessante emerge dall’andamento dell’indice di diffusione della crescita nell’industria, che riporta il numero di settori che, rispetto all’anno precedente, hanno fatto registrare un aumento della produzione: negli ultimi mesi ha registrato una fase di recupero.

La recessione rimane quindi concentrata in un numero sempre più ristretto di comparti, nei quali però la riduzione dei livelli produttivi è particolarmente grave. Di conseguenza, benché il numero di settori in crescita si avvicini ormai al 50 per cento, l’andamento dell’indice della produzione si è mantenuto su un sentiero decrescente.

Figura 2

Tabella 1

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Sulle telecomunicazioni il Rapporto Draghi ha luci e ombre

  1. Attilio Pasetto

    Nel quadro delineato dall’articolo mi sembra che le ombre prevalgano sulle luci. E’ particolarmente preoccupante, per l’Italia, la profonda crisi dei nostri tradizionali settori di specializzazione – made in Italy e meccanica – senza che ne emergano di nuovi. Considerando che anche le esportazioni non stanno andando bene, c’è da chiedersi se non ne risentirà la quota dell’Italia sul commercio mondiale. Ovviamente la recessione tedesca aggrava le tendenze negative in corso.

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