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Se sale il prezzo del carbonio, migliora il clima

Torna a salire il prezzo dei crediti di carbonio sul mercato europeo dei permessi di emissione, il più importante al mondo. È una buona notizia perché è un modo per indurre spostamenti su larga scala verso l’utilizzo di gas naturale e fonti rinnovabili.

Rivitalizzato il sistema Ets

Sul fronte della lotta al cambiamento climatico, la notizia del giorno è l’impennata del prezzo dei crediti di carbonio sul mercato europeo dei permessi di emissione, l’Emission Trading Scheme (Ets), che ha raggiunto 23 euro a tonnellata di CO2 equivalente nell’ultima settimana di agosto. Non succedeva dal 2008, tre anni dopo la sua introduzione e un anno dopo la fase di rodaggio 2005-2007.

Il sistema Ets funziona secondo il principio del cap and trade. Viene fissato un tetto (cap) alla quantità di emissioni che possono essere generate dalle imprese coperte dal sistema. Il limite si riduce nel tempo in modo che le emissioni totali diminuiscano. All’interno del cap, le imprese ricevono o acquistano quote di emissioni (i crediti di carbonio) che possono scambiare (trade) tra loro a seconda delle necessità. Il limite sul numero totale di quote disponibili garantisce che abbiano un valore. Se un’impresa riduce le sue emissioni, può mantenere le quote di riserva per coprire le sue esigenze future o venderle a un’altra società che ne è a corto. Il trading apporta la flessibilità che assicura che le emissioni vengano ridotte laddove costa meno farlo. Un alto prezzo del carbonio promuove anche investimenti in tecnologie pulite e a basse emissioni.

L’Ets opera in 31 paesi (28 paesi Ue più Islanda, Liechtenstein e Norvegia), coinvolge le emissioni di oltre 11 mila impianti che utilizzano energia fossile – centrali elettriche e impianti industriali ad alta intensità energetica (raffinerie di petrolio, acciaierie e produzione di ferro, alluminio, metalli, cemento, calce, vetro, ceramica, pasta di legno, carta, cartone, acidi e prodotti chimici organici alla rinfusa) e le compagnie aeree che agiscono in questi paesi – e copre circa il 45 per cento delle emissioni totali di gas serra dell’Ue.

Dopo un avvio pimpante, i prezzi delle quote si sono via via ridotti fino a condurre il sistema a uno stato agonico. Come mostra la figura, durante buona parte della seconda fase coincidente con il periodo di Kyoto (2008-2013) e della terza coincidente con quello del pacchetto clima e energia “20-20” (2014-2020) il prezzo delle quote ha oscillato attorno ai 5 euro a tonnellata. Un segnale troppo debole per indurre le imprese a modificare le proprie strategie riducendo l’uso dei combustibili fossili gravati dal sovrapprezzo.

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Figura 1

L’andamento depresso del prezzo è dovuto a cause di domanda e di offerta. La domanda è stata spesso debole in funzione principalmente delle dinamiche dei prezzi del gas per riscaldamento e dell’elettricità, a loro volta influenzati dalla congiuntura economica (depressa dopo il 2008) e dagli inverni miti. Ma ancor più ha inciso un’offerta di quote eccessivamente generosa, dovuta alla struttura del meccanismo che, infatti, è stato riformato nella seconda fase, anche se in maniera non sufficiente a prosciugare la quantità di permessi esistenti. Il segnale di prezzo è stato dunque così debole da non indurre a un reale cambio di passo le imprese coinvolte nello schema.

Alla ricerca di nuove soluzioni

Dopo una lunga discussione a marzo 2018 l’assetto normativo dell’Ets per la prossima quarta fase 2021-2030 – quella che prevede i nuovi obiettivi Ue di riduzione delle emissioni, in linea con la strategia per il clima e l’energia 2030 e come parte del contributo Ue all’Accordo di Parigi del 2015 – è stato rivisto con l’introduzione della Market Stability Reserve. Si tratta di un meccanismo che può essere attivato per ridurre l’eccedenza delle quote di emissione sul mercato del carbonio e sostenerne il prezzo. Un po’ come la banca centrale fa con le operazioni di compravendita di titoli sul mercato aperto per regolare il tasso d’interesse.

La novità spiega, almeno in parte, il rally di fine agosto del prezzo dei crediti di carbonio, insieme all’ondata di caldo che ha colpito grandi parti dell’Europa, che ha aumentato il consumo di combustibili fossili perché le persone intensificavano l’uso di ventilatori e aria condizionata mentre la generazione di elettricità da idro ed eolico diminuiva a causa dei bassi livelli dei fiumi e della velocità del vento.

Nonostante la possibile inversione di tendenza, gli esperti sono concordi nel ritenere necessario un prezzo della CO2 almeno superiore ai 30 euro e più vicino ai 50 per indurre spostamenti su larga scala dal carbone al gas naturale e ancora più alle fonti rinnovabili. Senza un segnale di questo tipo, i profitti delle imprese energivore non verrebbero sufficientemente minacciati da provocare cambiamenti permanenti di strategia aziendale. Soprattutto, prezzi del carbonio più elevati fornirebbero un’importante spinta all’innovazione tecnologica – pensiamo tra l’altro allo storage, cioè le grandi batterie per immagazzinare elettricità – per superare il problema dell’intermittenza del solare e dell’eolico, favorirebbero l’eliminazione dei sussidi impliciti alle fonti più sporche e darebbero un incentivo a quelle soluzioni di cattura, confinamento geologico e riutilizzo della CO2 – il cosiddetto Ccus (Carbon Capture, Utilization, and Storage) – che l’Agenzia internazionale dell’energia giudica una misura necessaria se davvero si vuole arrivare a emissioni nette nulle entro la fine secolo come indicato dai rapporti dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change).

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Nel complesso l’operazione per riportare alla sua funzione elettiva l’Ets, che resta tuttora il primo e quantitativamente più importante mercato dei crediti di carbonio al mondo, sembra ben avviata. L’importante è che continui.

Vogliamo chiudere con un tributo alla memoria del senatore repubblicano John McCain. Ci piace qui ricordare come l’appena scomparso “leone” del Congresso americano per ben tre volte – nel 2003, 2005 e 2007 – abbia cercato di fare approvare una sua proposta di legge per introdurre nel paese un sistema obbligatorio di cap and trade in risposta alla minaccia del cambiamento climatico antropogenico. In nessun caso è riuscito a ottenere i voti sufficienti, ma la prima volta fu una sconfitta di misura, con 43 voti favorevoli e 55 contrari. Della serie: c’è repubblicano e repubblicano.

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  1. Matteo

    Non sarebbe meglio tradurre “carbon” con “anidride carbonica”?

    • Filippo

      Si, sarebbe meglio. Se non altro perché una tonnellata di carbonio emessa equivale a circa 3.6 tonnellate di CO2 (chiaramente nella realtà non è che gli impianti emettano carbonio puro, ma tant’è). In inglese si usa “carbon market(s)” per una questione di tradizione e il peccato di tradurre letteralmente è veniale; però è vero che il lettore meno esperto potrebbe giovare da una traduzione più precisa.

  2. Ricardo_D

    Ottimo articolo che spiega da dove viene il mercato della CO2 e il suo recente exploit. Mi permetto di osservare che un ‘no deal’ per Brexit potrebbe scatenare elevata volatilità già nel prossimo trimestre minando la fiducia sul funzionamento mercato. Già lo scorso anno ce ne fu un assaggio. Sarebbe interessante un’analisi da parte degli autori dei potenziali effetti. Grazie.

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