I lavoratori di oggi sembrano consapevoli del fatto che andranno in pensione con regole di calcolo delle prestazioni meno generose e più avanti negli anni. Ma hanno davvero capito i cambiamenti intervenuti nel sistema pensionistico pubblico?
COSA SANNO I LAVORATORI DELLA PENSIONE?
Qual è il grado di comprensione che gli italiani hanno dei cambiamenti in atto e di quelli prospettici nel sistema pensionistico pubblico? Rispondere a questa domanda è più che un lezioso esercizio accademico. Rendere i lavoratori correnti consapevoli delle implicazioni della nuova normativa sull’importo atteso della loro pensione e sull’età a cui potranno accedervi, oltre che un atto di trasparenza, è anche una politica cruciale per consentire loro di mettere in atto quei comportamenti compensativi nelle scelte di consumo e offerta di lavoro, tutt’altro che facili da programmare, ma necessari in un contesto radicalmente differente rispetto a quello passato. Fino a ora purtroppo non è stato fatto molto in questo ambito.
I lavoratori di oggi (e quindi i pensionati futuri) andranno in pensione con una regola di calcolo delle prestazioni meno generosa rispetto a quella di cui hanno potuto godere i loro genitori e con un’età più elevata. Se il primo fattore (riduzione delle prestazioni) lascia pensare che sia necessario aumentare oggi il risparmio per fare fronte alla riduzione futura della pensione pubblica, il secondo, allungando la fase attiva e riducendo quella di riposo, va nella direzione opposta. Alla luce di queste considerazioni lo scenario futuro per i lavoratori attuali deve essere fonte di preoccupazione, oppure le riforme pensionistiche sono effettivamente state in grado di mettere in sicurezza non solo la sostenibilità finanziaria del sistema, ma anche l’adeguatezza delle sue prestazioni? E soprattutto i lavoratori correnti quanto hanno incorporato nelle loro aspettative i cambiamenti in atto?
ASPETTATIVE E REALTÀ DEI FATTI
Su questo ultimo punto è interessante il dato della tabella 1, che riporta il valore del tasso di sostituzione atteso della pensione pubblica rispetto all’ultima retribuzione percepita prima di accedere al pensionamento a partire dal 2000 e fino al 2012 su un campione rappresentativo della popolazione italiana.
Tabella 1 – Rapporto atteso tra pensione e ultima retribuzione per i lavoratori. Valori percentuali.
Fonte: Archivi annuali dell’indagine campionaria sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane.
Almeno nelle aspettative, il valore futuro atteso della pensione pubblica presenta un trend decrescente che coinvolge in maniera sostanzialmente omogenea e continua nel tempo tutte le categorie sociali ed economiche sopra rappresentate.
Nello stesso periodo, e sullo stesso campione rappresentativo della popolazione italiana, è possibile avere informazioni anche sull’età di pensionamento attesa. I risultati sono riportati nella tabella 2 e testimoniano che, accanto alla riduzione nel valore futuro della pensione, gli italiani si attendono, con intensità crescente negli anni, di andare in pensione sempre più tardi.
Tabella 2 – Età di pensionamento attesa per i lavoratori.
Se valutati come una misura della capacità dei lavoratori di comprendere il cambiamento di scenario in atto, i risultati delle tabelle 1 e 2 potrebbero, a prima vista, sembrare incoraggianti. Gli italiani sembrerebbero, con intensità crescente negli anni, essere coscienti che il futuro sistema pensionistico sarà meno generoso dell’attuale e che verrà loro richiesto di uscire dal mercato del lavoro a un’età più avanzata.
L’ETÀ GIUSTA PER LA PENSIONE
Il diavolo tuttavia si nasconde nei dettagli. Qui di dettagli importanti ce ne sono due ed è su questi punti che una capillare campagna informativa potrebbe migliorare il grado di comprensione dei cittadini sugli effetti delle riforme:
1) a parità di altre condizioni, aumentare l’età di pensionamento aumenta il tasso di sostituzione, in particolare per i lavoratori che appartengono al sistema contributivo;
2) l’aumento dell’età di pensionamento, soprattutto dopo la riforma del 2011, è stato molto intenso ed è destinato a crescere ancora nei prossimi decenni.
Non sembra che questi due effetti siano stati compresi appieno, almeno nel campione da cui provengono i dati qui esaminati. Per misurarne l’importanza abbiamo (ri)stimato, sugli stessi individui del campione e tenendo conto dell’evoluzione della normativa pensionistica nel corso dei dodici anni osservati, l’importo della pensione pubblica. La tabella 3 mostra l’andamento medio dell’errore delle aspettative rispetto alla pensione da noi (ri)calcolata. Un valore positivo implica una sovrastima della pensione (a parità di età di pensionamento), un valore negativo naturalmente implica una sottostima.
Tabella 3 – Errore medio nell’importo annuo della pensione pubblica. Valori in migliaia di euro a prezzi 2012.
Fonte: Nostre elaborazioni sugli archivi annuali dell’indagine campionaria sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane della Banca d’Italia.
I dati della tabella testimoniano nuovamente la presenza di tendenze comuni a tutte le categorie analizzate. Se all’inizio del decennio scorso le aspettative sul livello futuro delle pensioni erano ancora ottimistiche, con il passare del tempo (e con il progredire delle riforme) le cose sono cambiate, tanto che nel 2012 il segno dell’errore diventa negativo, ovvero in media gli individui del campione sottostimano l’importo della loro pensione futura.
Da cosa deriva un cambiamento così deciso? Sicuramente il contesto economico generale (bassa crescita, crisi finanziaria, disoccupazione crescente) può aver giocato un ruolo importante. Tuttavia, aspetti più strettamente legati alla comprensione delle riforme hanno ugualmente un peso non trascurabile.
A supporto di questa tesi, la tabella 4 mostra quale è la percentuale di lavoratori del campione che, rispetto alla normativa vigente dell’anno, dichiara che andrà in pensione a un’età che risulta essere compatibile con la legge in vigore. All’inizio del decennio scorso tre quarti dei lavoratori era in grado di prevedere correttamente la propria età di pensionamento e la quota aumenta fino al 2008. Al contrario, la percentuale di coloro che prevedono correttamente la loro età di pensionamento crolla decisamente nel 2010 e nel 2012. È proprio a partire dal 2010 che, surrettiziamente, il Governo allora in carica ha legato l’età di pensionamento alle aspettative di vita, portando verso i 70 anni l’età di pensionamento di vecchiaia nel 2050. Questo non marginale cambiamento di prospettiva, riconfermato e reso ancora più rigido dalla riforma del 2011, non sembra ancora essere del tutto presente nella mente dei lavoratori italiani.
Tabella 4 – Percentuale di lavoratori che dichiarano un’età di pensionamento coerente con la normativa.
Fonte: Nostre elaborazioni sugli archivi annuali dell’indagine campionaria sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane della Banca d’Italia.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Francesco Iacometti
Gentile dottor Baldini, ho letto con interesse il suo articolo. Tuttavia, a mio avviso, manca nelle sue considerazioni un aspetto cruciale per il futuro sistema pensionistico. Il fatto cioè che attualmente il 40% dei giovani è disoccupato, questione che non può non essere omessa. Con il termine giovani in italia si intende una fascia amplissima (20-40 anni circa). Tale dato è ormai consolidato da alcuni anni ed il trend non sembra rallentare , anzi aumentare specie nelle aree meridionali del nostro paese. Poiché la normativa prevede la maturazione della pensione a circa 41 anni + alcuni mesi dovuti alle finestre di pensionamento (mi corregga se
sbaglio) io mi chiedo: se un “ragazzo” a 35 anni è disoccupato o co.co.co (per fare un esempio che è attualmente la norma per tante persone) i dati che ha presentato non sono più validi in quanto, l’età pensionabile si alza notevolmente e il valore della pensione (calcolata come % dello stipendio) diminuisce. Ciò che mi chiedo è quanto segue (faccio un esempio per praticità): se una
persona trova un lavoro dipendente a tempo indeterminato – supponiamo a 35 anni
– a quanti anni può andare in pensione? A circa 75-77 anni? In tal caso è facile immaginare quale possa essere il dato di produttività medio della forza
lavoro che si produrrà (ma la Ue non ha chiesto tra le priorità l’aumento della produttività per il sistema Italia?). Qualora una persona richiedesse di
andare in pensione prima di quell’età, a quanto ammonterebbe la pensione in percentuale dello stipendio? Io ho sempre pensato che questa legge sia stata fatta solo per tappare dei buchi di natura finanziaira nel breve / medio periodo, ma senza tener conto del reale impatto sulla vita delle persone nel lungo periodo. Andremo a lavoro accompagnati dalla badante e staremo molto spesso in malattia aumentando le spese previdenziali in attesa di una pensione molto bassa. Mi piacerebbe conoscere il suo parere in merito. Grazie per l’attenzione.
bobcar
Guardi che si sbaglia, i giovani cui ci si riferisce sono solo i 16-24 anni, e naturalmente non è affatto vero che il 40% di loro è disoccupato, bensì il tasso di disoccupazione è del 40%, sono due cose totalmente diverse.
Massimo
Francamente non mi sembra un articolo particolarmente interessante. La conclusione è che oggi i lavoratori non sanno più quando (e se) andranno in pensione, perché i governi cambiano le regole in corsa e non c’è più nessuna certezza. E con quanti (o quali) soldi. E purtroppo sanno che le regole cambieranno ancora, quindi essere informati serve solo a essere informati, non ad avere nessuna certezza o garanzia.
Gabriele
Gli italiani avranno compreso poco o niente della riforma ma a me piacerebbe sapere chi ci ha capito qualcosa. Questa è la mia esperienza: a fine 2012 mi viene assicurato che, in base alla mia anzianità contributiva, con gennaio 2013 posso andare in pensione (sono un artigiano e mi rivolgo all’esperto della mia associazione). Ma siccome sono uno dei fessi (sono del ’53) che la riforma ha penalizzato più o meno (a tal proposito mi piacerebbe esporre alcune considerazione sui diritti acquisiti di alcuni e non di altri, ma non è questa la sede) la domanda viene respinta perchè mancano tot settimane. Le tot settimane sono ormai trascorse ma nel frattempo ci sono ulteriori penalizzazioni per cui la mia pensione dovrebbe decorrere da agosto 2014, ma “del doman non v’è certezza” in quanto i pareri sono discordi per cui non ti resta che rifare domanda all’Inps sperando che vada bene. Ma non è finita qui; vorrei proseguire, una volta in pensione, la mia attività lavorativa (lo posso fare) ma sono obbligato a versare contributi pensionistici. Mi sta bene ma quanto renderanno i miei contributi quando dopo cinque anni ci sarà il ricalcolo della pensione? La risposta più esatta che ho potuto avere è questa: ” Poco “.
Piero Fornoni
Per una pianificazione “razionale” della propia vita ,sapere i diritti di pensione accumulati ed una previsione basata sui rendimenti storici e’ secondo me fondamentale .
In Olanda prima della dichiarazione dei redditi (da presentare prima del primo aprile ) ogni persona riceve un prospetto pensionistico che mostra il diritto acquisito e la proiezione a 67 anni della pensione con versamenti correnti ed a rendimenti storici massimi e minimi.
Questo prospetto e’ obbligatorio per ogni fondo pensione, assicurazione vita (che puo’ essere o non essere trasformata poi in annuity ) o per qualsiasi forma “pensionistica” integrativa .
Molti miei amici e noi abbiamo calibrato i nostri versamenti per la pensione integrativa su queste informazioni .Devo precisare che parte dei versamenti per la pensione integrativa posso ridurre il reddito tassabile .
Lorenzo Faglia
Articolo che certifica la mancanza di informazione che i cittadini hanno sul loro futuro. Sono iscritto ad un fondo previdenziale che ogni anno distribuisce un consuntivo con stato dei contributi, valore cumulato in base alla gestione finanziaria, pensione maturata con i contributi versati e pensione che verrebbe maturata in futuro sulla base di certe ipotesi. Possibile che l’Inps non sia in grado di fare altrettanto? Viene il sospetto che lo Stato nasconda queste informazioni perché con l’attuale sistema in realtà parte dei contributi versati non serva a costruire la pensione del lavoratore, ma venga utilizzato per fare cassa.
Alice
Gentile Dott. Massimo Baldini, ho letto con vivo interesse il Suo articolo. Però ho qualche dubbio. Dato che risulta estremamente complesso percepire la capacità di comprensione che gli italiani hanno delle numerose riforme pensionistiche che si sono succedute negli ultimi anni in Italia. Perché non aggirare il modo di risoluzione del problema andando a considerare “nel concreto” quali sono i comportamenti compensativi effettivi nelle scelte di consumo e o di offerta di lavoro? La ringrazio per l’attenzione. Cordialità
massimo gandini
I cambiamenti del sistema previdenziale italiano sono ormai talmente frequenti che nessuno può sapere quando andrà in pensione. Anche per il futuro è plausibile prevedere continue rivoluzioni peggiorative quindi è inutile preuccuparsi di questo aspetto. Questa situazione ha creato una sfiducia totale nei giovani che ormai ritengono che la questione non li riguardi in quanto loro una pensione non la vedranno mai.
Enrico
Come citava Massimo nel commento di ieri: si è dimostrata la possibilità di cambiare le regole, anche pesantemente, in corsa, per cui non si può fare alcuna assunzione in merito. Tra i miei conoscenti quasi-quarantenni, laureati (quindi entrati più tardi nel mercato del lavoro) l’opinione pressoché unanime è la seguente:
– la pensione non ci sarà più quando toccherà a noi (70 anni)
– i fondi integrativi di categoria mangeranno per 30 anni sulla montagna di denaro che gli si versa mensilmente, ma quando verrà l’ora di cominciare ad erogare seriamente le pensioni (cioè per un numero consistente di persone) salteranno fuori buchi di bilancio etc etc, non sarebbe una novità in Italia.
Ci lasciassero almeno scegliere se versare all’Inps o tenerceli e gestirceli.
Andrea Chiari
Posso fare una domanda schietta e precisa? La domanda è questa: se con il metodo contributivo io avrò indietro, al momento di incassare l’assegno pensionistico, esattamente i soldi che avrò versato (e quelli versati dal datore di lavoro come da contratti), per quale motivo dovremmo essere vincolati al regime Inps? Se lo stato (come avveniva in passato) era generoso e ci dava indietro, in base a calcoli favorevoli, di più di quello che avevamo versato, OK, mi va bene l’Inps e qualsiasi strumento pensionistico governativo. Ma se i soldi che mi tornano indietro sono esclusivamente quelli da me versati perchè non posso scegliermi uno strumento differente, un fondo pensionistico assicurativo o bancario o qualsiasi altro istituto o fondo da me scelto? Non sono ingenuo e capisco la risposta: se si potesse scegliere il fondo pensionistico l’Inps salterebbe per aria e non garantirebbe le attuali pensioni in versamento. ma è indubbio che il metodo contributivo toglie prestigio e indispensabilità all’istituto monopolistico pubblico.
Andrea Chiari
La legge Fornero prevedeva già che “l’accesso alla pensione anticipata è consentito esclusivamente se risulta maturata un’anzianità contributiva di 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, con riferimento ai soggetti che maturano i requisiti nell’anno 2012. Tali requisiti contributivi sono aumentati di un ulteriore mese per l’anno 2013 e di un ulteriore mese a decorrere dall’anno 2014 (più l’aspettativa di vita).Sulla quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1º gennaio 2012, è applicata una riduzione percentuale pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni; tale percentuale annua è elevata a 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni”.
Più chiaro di così! Come mai si dice che oggi con il decreto Madia-Renzi si può andare in pensione 4 anni prima della Fornero e senza penalizzazione purchè 1) si abbiano maturati 62 (61) anni di età e 42 anni più 6 mesi di contribuzione? Ma cosa stiamo dicendo? Non è cambiato niente! Ma i giornalisti oltre ad usare il taglia-incolla sanno usare il cervello?
Rocco G. Maltese
sono insegnante di 65 anni e da 2 temporanemente sospeso dalla funzione docente per invalidità all’80% la Fornero mi ha impedito la quota 96 e dovrei attendere il 2017 per la pensione. vi è qualche spiraglio di uscita?