La scadenza della sperimentazione di quota 100 è un passaggio delicato in termini sociali, politici e finanziari. Ma può anche essere l’occasione per dare una risposta organica alla forte domanda di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro.
Lo scalone dopo quota 100
Se non ci saranno cambiamenti nella legislazione pensionistica, saranno i nati nel 1959 gli ultimi a poter beneficiare della finestra triennale offerta da “quota 100”, che assicura a chi ha maturato almeno 62 anni di età e almeno 38 anni di contribuzione un’uscita anticipata rispetto all’età legale di pensionamento, attualmente fissata a 67 anni. Perciò, a legislazione vigente, un individuo nato il 1° gennaio del 1960 potrebbe maturare il diritto al pensionamento con cinque anni di ritardo rispetto a chi è nato un solo giorno in anticipo, ovvero il 31 dicembre 1959. È uno “scalone” di grandi dimensioni, difficile da giustificare sotto il profilo dell’equità e della giustizia sociale.
La scadenza della sperimentazione di quota 100 è dunque un passaggio delicato, in termini sociali e politici. E le implicazioni finanziarie delle scelte che verranno fatte non sono meno importanti. Il legislatore è chiamato a fornire risposte in tempi brevi e il contesto non è dei più semplici. Tuttavia, potrebbe essere l’occasione per offrire finalmente una risposta organica alla domanda di flessibilità in uscita, emersa in maniera forte negli anni successivi all’approvazione della riforma Fornero.
È proprio la mancanza di un disegno chiaro, più che l’assenza di strumenti per l’accesso anticipato alla pensione, il grande assente nelle politiche che regolano l’età di pensionamento. Se infatti la riforma del 2011 l’ha aumentata portandola in poco tempo a 67 anni, negli anni successivi si sono susseguiti molti interventi correttivi. Ricordiamo le nove salvaguardie per i lavoratori esodati, l’Ape volontaria, quella aziendale e quella sociale, l’opzione donna, gli scivoli, l’isopensione, i trattamenti meno severi per i lavoratori occupati in mansioni gravose.
Questi provvedimenti, uniti alla possibilità di ritirarsi dal mercato del lavoro con il solo requisito dell’anzianità contributiva (attualmente fissato a 42 anni e 10 mesi indipendentemente dall’età), hanno contribuito a mantenere l’età effettiva di pensionamento nettamente al di sotto di quella legale anche dopo il 2011, come testimoniano i dati della figura 1.
Figura 1
Effetti di un sistema non equo
Tutto questo ha avuto conseguenze importanti sui conti pensionistici, sull’equità intergenerazionale e, in misura minore, sul ricambio generazionale nel mercato del lavoro.
Con sistemi pensionistici non equi dal punto di vista attuariale, l’anticipo dell’età di pensionamento ha effetti complessi: in questo caso, ai costi di breve periodo si aggiunge anche un onere di lungo periodo.
Vi è infatti un sicuro effetto di cassa, che risulta prima negativo e poi positivo per il bilancio pubblico. L’ente pensionistico si trova infatti a pagare pensioni in anticipo rispetto a quanto accadrebbe se tutti andassero in pensione all’età legale. L’effetto sui saldi di bilancio è prima negativo, ma negli anni successivi diventa positivo per l’importo più basso della pensione erogata in anticipo rispetto a quella di vecchiaia.
Se poi il sistema di calcolo dell’assegno è di tipo retributivo, all’effetto cassa se ne aggiunge un altro che porta il debito pensionistico ad aumentare: è la diretta conseguenza sui conti pubblici della presenza di regole di computo della pensione che restituiscono complessivamente a un pensionato somme maggiori di quelle da lui versate nel corso della vita attiva. La flessibilità in uscita degli ultimi anni ha contribuito quindi alla creazione di nuovo debito pensionistico. Non tutti i provvedimenti hanno avuto naturalmente il medesimo effetto.
La magra dinamica dell’occupazione di questi anni, in particolare il permanere di elevati tassi di disoccupazione tra i giovani, ci dice, seppure in maniera indiretta, che almeno finora l’auspicato effetto di ricambio generazionale non si è verificato (su questo aspetto si vedano anche le conclusioni del Bollettino economico della Banca d’Italia).
L’importanza del contributivo
Dopo il 2021 la quota dei lavoratori che ancora potranno vantare una pensione interamente retributiva è destinata a ridursi drasticamente e nei 15-20 anni successivi accederanno al pensionamento lavoratori che vedranno progressivamente crescere la porzione della loro pensione calcolata con la regola contributiva, introdotta nell’ormai lontano 1995, ma finora poco utilizzata a causa di un meccanismo di transizione scandalosamente iniquo a sfavore delle generazioni entrate nel mercato del lavoro più di recente.
Il sistema contributivo italiano è tendenzialmente equo dal punto di vista attuariale. Questo implica che in caso di un anticipo nel pensionamento la riduzione dell’assegno erogato compensa finanziariamente il maggiore numero di mensilità corrisposte al pensionato e nel lungo periodo l’effetto netto delle due forze, che esercitano pressioni di segno opposto sui conti pubblici, è pari a zero. In questo caso, la flessibilità in uscita, ovvero la possibilità di accedere al pensionamento prima dell’età a cui si matura il diritto per la pensione di vecchiaia, determina solo l’effetto cassa, cioè l’anticipo iniziale delle uscite compensato da minori esborsi futuri. In quest’ottica, l’opportunità di garantire maggiore flessibilità, una volta fissata un’età minima capace di garantire una prestazione adeguata, rappresenterebbe un vantaggio innegabile e darebbe libertà di scelta, sia a chi vuole restare sia a chi vuole uscire dal mercato del lavoro.
Rispetto a questo schema, che di fatto è già in buona parte presente nella normativa, si tratta di definire in quale modo dovrà essere calcolata la quota retributiva delle pensioni che verranno liquidate nei prossimi 10-15 anni, prima cioè che il sistema contributivo entri completamente a regime. Ragioni di equità e ragioni finanziarie spingono a pensare che la flessibilità dovrebbe essere offerta in cambio della possibilità di calcolare la prestazione dei lavoratori che la richiedono interamente con la regola contributiva. Sarebbe un cambio di passo nella politica pensionistica a favore delle generazioni più giovani. L’esperienza degli ultimi decenni ha però mostrato che è poco nelle corde di chi prende decisioni sui sistemi pensionistici.
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Savino
Di sicuro, fra circa 7-8 anni cominceranno ad essere erogate, fin dal primo giorno, solo nuove pensioni per un equivalente di contributi effettivamente versati. Viene approfondita poco questa tematica, che si rifà alla confusione di un INPS ante 1995 con un sistema ancora cartaceo, ma essa è fondamentale tra le cause di sforamento dei conti.
Piero Carlucci
A me pare che l’affermazione iniziale “Se non ci saranno cambiamenti nella legislazione pensionistica, saranno i nati nel 1959 gli ultimi a poter beneficiare della finestra triennale offerta da “quota 100”” andrebbe quantomeno spiegata e dimostrata, visto che su questa si regge tutto il ragionamento dell’articolo
Gianni
Anzitutto se la età media è di ca 63 seignifica che c’è chi va pensione molto prima, cioè i militari, che stranamente L autore non considera, che c’è chi va in pensione molto dopo. Comunque tutti parlano di contributivo ma nessuno vuole parlare della bella differenza che c’è tra contribuzione e figurativa ed efffettiva. La prima è una tassa occulta che sportivamente ci portiamo dietro a beneficio di molti miracolati che grava sulle spalle dei lavoratori, quelli veri. Con grande piacere ho visto che Brambilla ha proposto un limite a questo scempio, ma nessuno studioso sembra voler approfondire l’argomento, magari perché ne beneficia anch’egli.
lorenzo
E’ alla base del ragionamento perchè è una conseguenza delle disposizioni adottate con la legge che non ha abrogato la Monti_Fornero, ma ha solo fatto una sperimentazione per tre anni, la quale termina con coloro i quali completano i 62 di età e i 38 di contributi al 31-12-2021, quindi nati entro il 31/12/1959
Carlo Mazzaferro
Gentile Piero, grazie del commento. Un individuo nato il 1 gennaio 1960 compirà 62 anni il 1 gennaio del 2022, un giorno dopo la fine della fase di sperimentazione di quota 100. Non potrà quindi usufruire del provvedimento e l’età di pensionamento sarà per lui o lei di 67 anni (più eventuali aggiustamenti legati all’automaticità della medesima variabile rispetto all’andamento dell’aspettativa di vita). Il suo/la sua collega nato/a un giorno prima invece rientrerà tra coloro che possono accedere a quota 100
Piero Carlucci
Grazie della risposta, adesso mi è chiara l’ambiguità del suo ragionamento. Lei considera un cambiamento della legislazione attuale la eventuale conferma di quota 100. Non c’è male come confusione!
Carlo Mazzaferro
Perché? Se io scrivo “Se non ci saranno cambiamenti nella legislazione pensionistica, saranno i nati nel 1959 gli ultimi a poter beneficiare della finestra triennale offerta da “quota 100” dico che a legislazione vigente quota 100 scade il 31 dicembre del 2021. Per ,modificare la legislazione vigente occorre intervenire sulla data di scadenza di quota 100. Quindi per confermare qupta 100 occorre modificare una legge dello Stato
Arduino Coltai
Finalmente!!! Ottimo articolo. Bisognerebbe consentire un’uscita anticipata contro il calcolo della pensione interamente con il contributivo. E’ un’ottima idea che prelude o dovrebbe preludere allo scorporo della previdenza dall’assistenza, con veri e propri fondi pensione a nome di ciascun lavoratore, che potrà riscattarli quando crede senza alcun esborso da parte dello stato. Io introdurrei anche un tetto massimo alle pensioni (5000 euro netti ad esempio), incorporando i contributi versati in surplus per l’erogazione delle pensioni sociali. Cioè, i contributi restano legati alla busta paga, ma la pensione non potrà comunque superare un ammontare netto determinato. Ripeto: ottimo articolo, finalmente qualcuno che ha capito come dovrebbe funzionare il sistema.
Fabrizio Razzo
Il sistema pensionistico italiano è basato sulla ripartizione e non sulla capitalizzazione. Il secondo e terzo pilastro invece su questa ultima (fondi pensione negoziali o di mercato). Quindi trasformare anche quello pubblico a capitalizzazione comporta un costo insostenibile perché non saprebbero come pagare le pensioni a chi ha già iniziato a versare contributi oltre a tutti i già pensionati. Non vedo perché penalizzare ulteriormente chi subisce trattenute esose quando gli stessi sono anche i maggiori contributori IRPEF che sostengono questo sistema.
Silvestro De Falco
Quindi trasformare anche quello pubblico a capitalizzazione comporta un costo insostenibile…”.
Non necessariamente. Se fatto un po’ per volta, con una diminuzione graduale dei contributi versati dai lavoratori attivi, l’operazione potrebbe essere self-financing. Infatti, la riduzione dei contributi determina anche un incremento dei salari. Tale incremento salariale comporta una maggiore crescita economica e quindi un livello più elevato di tasse da cui attingere le risorse per finanziare la transizione. La riduzione dei contributi abbatterebbe anche il debito implicito, vale dire il debito pensionistico che si crea nel momento in cui ogni lavoratore versa i contributi. Questo senza contare che si farebbe un uso molto più efficiente delle risorse finanziarie del Paese, visto che se, invece di investire con l’INPS capitali che si rivalutano al PIL, i lavoratori investono in fondi indicizzati questi ultimi possono godere di trattamenti pensionistici più elevati e ad un costo molto più basso, con grande beneficio per l’economia in generale.
claudio pinna
Il sistema contributivo italiano è tendenzialmente equo dal punto di vista attuariale? Il sistema italiano è equo dal punto di vista attuariale quando i contributi incassati sono in linea con le prestazioni erogate…..
Carlo Mazzaferro
infatti questo è quello che tendenzialmente avviene per chi avrà la pensione calcolata con il sistema contributivo. La relazione tra contributi e pensioni non è esattamente equa dal punto di vista attuariale per la mancata volontà del legislatore nel 1995 di usare il coefficiente di indicizzazione delle pensioni a questo scopo. L’uguaglianza è dunque tendenziale e rispettata solo nel caso di un’economia che cresce in equilibrio di lungo periodo all’1,5% reale.
Fabrizio Razzo
Quota 100 è stato un errore che pagheremo caro. Già questo articolo anticipa alcuni rischi. Flessibilità contributiva provoca pensioni da fame che in futuro qualche politico in cerca di consensi vorrà integrare. Come già successo in passato a carico dei contribuenti. La lunga transizione da retributivo a contributivo serviva proprio per evitare scaloni. Un terzo del costo pensionistico è assistenziale. Ma ci sono anche tonnellate di baby pensionati con enorme sproporzione fra contributi e rendita. Non vedo perché vada criminalizzato chi ha avuto trattenuto 10 e prenderà 11 quando ci sono innumerevoli che hanno versato 1 e prendono 3/4/5 o più.
Giovanni Carnesi
Salve, mi permetto solo di far notare che quota 100 e’, per definizione, una pensione anticipata ed il confronto sugli anni di “scontro” andrebbe fatto in riferimento a quella misura pensionistica. Condivido il ragionamento sul piano generale fermo restando che si potrebbe rivedere la decisione di aggiornare i coefficienti di trasformazione propri del sistema contributivo, adeguandoli ogni 3 anni anziché ogni 2 e introducendo parametri diversi per il calcolo dell’aspettativa di vita.
Andrea
Riguardo al fatto che il sistema contributivo sia effettivamente “tendenzialmente equo” mi permetto di sollevare un dubbio. Se una persona va in pensione anticipatamente smette di avere uno stipendio e l’assegno pensionistico sarà più basso rispetto a quello che avrebbe ricevuto se fosse andata in pensione all’età legale. Questo alla fine determina una riduzione dell’economia e delle entrate fiscali, quindi anche con il sistema contributivo la pensione anticipata ha un costo per il bilancio dello stato?
Carlo Mazzaferro
Salve, l’equità attuariale del sistema riguarda la relazione tra contributi versati e pensioni ricevute nel corso della vita di un individuo. Gli effetti macroeconomici delle scelte di pensionamento in un sistema contributivo non modificano questa condizione. In altri termini se ci sono piu’ uscite per pensionamento e questo riduce la crescita del pil allora anche le pensioni, il cui meccanismo di capitalizzazione nozionale è proprio legato alla crescita del pil, diminuiscono. Nel lungo termine le due variazione sono uguali e questo mantiene in equilibrio i conti del sistema pensionistico
Vincesko
1. “Se infatti la riforma del 2011 l’ha aumentata portandola in poco tempo a 67 anni”. Errare è umano, perseverare diabolico. Sorprendente, considerato il nostro dialogo del 2018 e le decine di mie lettere “circolari” (cliccare su Vincesko). L’età di pensionamento di vecchiaia a 67 anni è stata decisa dalla Riforma Sacconi:
– da 65 a 66 anni per i lavoratori dipendenti uomini o 66 anni e 6 mesi per i lavoratori autonomi uomini, mediante la “finestra” mobile di 12 o 18 mesi, che incorpora la “finestra” fissa reintrodotta dalla Riforma Damiano;[i] quindi la Riforma Fornero non c’entra.
– da 60 a 61 anni, a decorrere dal 1° gennaio 2011, e da 61 a 65 anni, a decorrere dal 1° gennaio 2012, (più «finestra» di 12 mesi) per le lavoratrici dipendenti pubbliche, per equipararle ai dipendenti pubblici uomini, a seguito della sentenza del 2008 della Corte di Giustizia UE;[ii] quindi la Riforma Fornero non c’entra.
– da 60 a 65 anni (più «finestra» di 12 o 18 mesi) per le donne del settore privato, gradualmente entro il 2026 (2023, includendo l’adeguamento automatico alla speranza di vita);[iii] accelerato dalla Riforma Fornero, gradualmente entro il 2018;
– da 66 a 67 anni per TUTTI mediante l’adeguamento alla speranza di vita, introdotto dalla Riforma Sacconi;[iv] quindi la Riforma Fornero non c’entra.
2. Gli esenti dalla Riforma Dini sono tutti o quasi già in pensione; il risparmio del pro-quota contributivo da 1.1.12, introdotto da Fornero per gli esclusi, è di appena 200 mln.
Vincesko
[i] Riforma Damiano L. 24.12.2007, n. 247; Riforma Sacconi DL 78/2010, L. 122/2010, art. 12, commi da 1 a 6; DL 138/2011, L. 148/2011, art. 1, comma 21, per l’estensione al comparto della scuola e dell’università.
[ii] DL 78/2009, L. 102/2009, art. 22-ter, comma 1, modificato dal DL 78/2010, art. 12, comma 12-sexies.
[iii] DL 98/2011, L. 111/2011, art. 18, comma 1, modificato dal DL 138, L. 148/2011, art. 1, comma 20.
[iv] DL 78/2009, L. 102/2009, art. 22-ter, comma 2, modificato sostanzialmente dal DL 78/2010, L. 122/2010, art. 12, commi da 12-bis a 12-quinquies, modificato per la decorrenza dal 2013 (quando è effettivamente decorso) dal DL 98/2011, L. 111/2011, art. 18, comma 4. Finora ci sono stati 3 scatti: 3 nel 2013, +4 nel 2016, +5 mesi nel 2019 = 1 anno, dal 1.1.2019.