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E LA BANCA CENTRALE VA IN TERRITORI INESPLORATI

Le normali politiche monetarie adottate dalle banche centrali non funzionano in una crisi economica come quella attuale. Sono necessarie misure non convenzionali: come aumentare la qualità di moneta comprando titoli di stato. E’ quanto ha fatto la FED che ha seguito una strategia basata su tre misure: prestare alle istituzioni finanziarie, fornire liquidità direttamente ai mercati monetari e del credito, acquistare titoli a lungo termine.. La BCE. Invece, non ha intrapreso questa via. Il motivo? Il prestatore di ultima istanza è uno solo, lo Stato. Difficile svolgere questo ruolo senza un’autorità fiscale alle spalle, che ripiani eventuali perdite.

Il 2 aprile la BCE ha tagliato il tasso d’interesse di riferimento all’1,25%, accumulando un impressionante taglio complessivo di 300 punti base da ottobre 2008. Ci stiamo avvicinando al livello minimo, ossia zero, già raggiunto dall’americana Federal Reserve (Fed). Concentrare l’attenzione sui tassi, come in tempi normali, è però fuorviante. In tempo di crisi, il classico meccanismo di trasmissione della politica monetaria non funziona: da un lato l’aumento della base monetaria non si trasmette in aumento della quantità di moneta, perché le banche tesaurizzano la liquidità presso i depositi della banca centrale; dall’altro, i movimenti del tasso EONIA non si riflettono sugli altri tassi.

IL BILANCIO DELLA FED IN TEMPI NORMALI

La politica monetaria in tempo di crisi si attua mediante misure non convenzionali, che vanno sotto il nome di quantitative easing o, nella versione più aggressiva, di credit easing. Sommariamente, quantitative easing significa “rilassare” la quantità di moneta, ossia aumentarla, comprando assets, tendenzialmente titoli di Stato. Le maggiori banche centrali del mondo (tranne la BCE) lo stanno facendo. La Fed si è spinta più di ogni altra nell’uso di queste misure non convenzionali, seguendo una strategia che Bernanke chiama credit easing. Questa si basa sulla variazione della dimensione e della composizione del lato dell’attivo del bilancio della Fed. Per comprendere come la politica monetaria agisca in tempo di crisi si deve, quindi, guardare al bilancio della Fed. La Tabella 1 mostra il lato delle attività del bilancio della Fed in varie date.

TABELLA 1

Prima della crisi il totale delle attività della Fed è di circa 880 miliardi di dollari. A fronte di passività consistenti sostanzialmente in larghissima parte di circolante, la banca centrale detiene una quantità di titoli in portafoglio, pari a circa il 90% del budget totale. Le altre componenti sono una componente minima.

FASE 1  (AGOSTO 2007- 15 SETTEMBRE 2008): QUANTITATIVE EASING

La crisi scoppia nell’agosto del 2007 e subito le banche centrali di tutto il mondo iniettano grandi masse di liquidità nel sistema. Il problema da risolvere è quello della carenza di liquidità da parte degli istituti bancari e finanziari. Nel dicembre del 2007 la Fed istituisce:
533       Term Auction Facility (TAF) fornendo base monetaria attraverso aste e a fronte di collaterali di diverse tipologie di titoli;
534       Liquidity Swap Lines in valuta con BCE e SNB (poi nel 2008 allargato ad altre 12 banche centrali) per fornire dollari alle banche estere.
Il problema successivamente si aggrava. Le banche non si prestano più fondi sul mercato interbancario ed accettano come collaterali solo i titoli di Stato. Nel marzo del 2008, la Fed attua due nuove misure, con lo scopo di chiudere lo spread fra gli Asset-Based-Securities (ABS) o i Mortgage- Asset-Based-Securities (MBS) e i titoli di Stato:
535       Term Securities Lendig Facilities (TSLF) si prestano titoli del Tesoro in cambio di collaterali in molti altri titoli possibili (ABS e MBS);
536       Primary Dealer Credit Facility: senza precedenti recenti, il ruolo di prestatore di ultima istanza è esteso anche a 19 investment banks and brokers.
Alla fine di questa prima fase della crisi, il TAF assorbe circa 150 miliardi, gli swap in valuta 62 e il TSLF 114. È variata la composizione del bilancio della Fed, ma non la sua dimensione totale.

FASE 2 (15 SETTEMBRE 2008-OGGI) : CREDIT EASING

Il 15 settembre Lehman Brothers fallisce. In soli due mesi il bilancio della Fed più che raddoppia raggiungendo 2231 miliardi di dollari a metà novembre. È evidente che il quantitative easing non è sufficiente: l’aumento della base monetaria non si trasforma in aumento della quantità di moneta, ossia, questo aumento di liquidità non è trasferito dalle banche al mercato del credito, ma tesaurizzato in riserve in eccesso presso le banca centrale (vedi ultima Figura).
Il primo problema urgente è il mercato monetario, dove i fondi monetari, che detengono molti titoli emessi da Lehman, fronteggiano crescenti riscossione delle quote e non trovano finanziamenti. Il 19 settembre, la Fed crea l’Asset-backed Commercial Paper Money Market Mutual Fund Liquidity Facility (AMLF): si presta direttamente ai fondi monetari per far fronte al rimborso delle quote, accettando come collaterale asset-backed commercial paper (ABCP).
Il secondo problema è quello del mercato del credito. La Fed istituisce:
537       7 ottobre, il Commercial Paper Funding Facility (CPFF): tramite un veicolo la FED acquista sul mercato commercial papers (titoli di debito a breve termine emessi dalle imprese).
538       25 novembre, il Term Asset Backed Securities Loan Facility (TALF) per far fluire il credito alle famiglie ed alle imprese (senza ricorrere ai prefetti!). Il TALF presta contro ABS garantiti da prestiti a studenti, al consumo, alle carte di credito e Small Business Administration e dal 10 Febbraio 2009 è esteso anche a MBS.
L’obiettivo è quello di diminuire lo spread fra ABS sul credito o i commercial papers ed i titoli di Stato, col fine di far ridurre i tassi pagati da imprese e famiglie su prestiti a lunga scadenza. Un altro modo per raggiungere questo scopo è quello di abbassare, a parità di spread, il sottostante, ossia il rendimento dei titoli di Stato. Come? Comprando titoli di Stato.
Il 18 marzo 2009: la FED annuncia che acquisterà 300 miliardi di dollari di titoli di stato a diversa scadenza, 1.25 miliardi (da 500) di MBS, e titoli di debito di Fannie Mae e Freddie Mac fino a 200 miliardi (da 100).
Queste misure determinano l’esplosione del bilancio della Fed, soprattutto a causa di tre voci: il TAF, il CPFF e gli swap in valuta (Tabella 2).

Tabella 2

Fonte: Board of Governors of the Federal Reserve System

LE DIVERSE POLITICHE ADOTTATE DA FED E BCE

In tempi normali la politica monetaria è controllo dei tassi d’interesse, in tempi di crisi è essenzialmente gestione del ruolo di prestatore di ultima istanza. La Fed ha dimostrato fantasia e prontezza nel percorrere terreni inesplorati, seguendo una strategia di politica monetaria basata su tre misure: prestare alle istituzioni finanziarie, fornire liquidità direttamente ai mercati monetari e del credito, acquisto di titoli a lungo termine. Queste misure determinano un aumento della dimensione e una diversa composizione del bilancio della Fed.

Speriamo che Bernanke non se ne debba pentire, e le banche centrali dovranno pensare ad una exit strategy. Ma la priorità oggi è generare aspettative d’inflazione futura, per tenere bassi i tassi d’interesse reali futuri attesi. In tempo di crisi, eventuali pericoli di inflazione futura assumono, importanza secondaria. Inoltre, dopo l’esperienza degli anni ’70, le banche centrali sono molto più attrezzate per combattere l’inflazione, piuttosto che la deflazione.
E la BCE? Anch’essa ha iniziato misure non convenzionali, le quali si limitano ad allargare senza limiti i prestiti alle banche. Nonostante Trichet abbia dichiarato che prossimamente si potrebbero assumere misure di quantitative easing, la giustificazione per non averlo finora fatto si basa su due fatti veri: il sistema economico europeo è più bancocentrico e meno finanziarizzato, e il budget della BCE rispetto al PIL dell’Eurozona è più grande di quello della Fed rispetto al PIL USA. Il vero motivo per cui ad oggi la BCE rimane l’unica banca centrale dei paesi sviluppati a non aver adottato misure di quantitative easing appare però un altro. Il prestatore di ultima istanza, in fin dei conti, è uno solo: lo Stato. Difficile svolgere appieno questo ruolo senza un’autorità fiscale alle spalle, che possa appianare eventuali perdite.

Si veda:
Board of Governors of the Federal Reserve System, Monetary Policy Report to the Congress, Febbraio 2009,
http://federalreserve.gov/monetarypolicy/mpr_default.htm.
http://www.federalreserve.gov/newsevents/speech/bernanke20090113a.htm
http://www.clevelandfed.org/research/trends/2009/0209/02monpol.cfm
Fonte: Board of Governors of the Federal Reserve System; Cecchetti: “Crisis and Response: Central Banks and the Financial Crisis”, 2009.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

13 commenti

  1. Massimiliano Guttadauro

    Il suo commento “speriamo che Bernanke non se ne debba pentire” fa sorgere il dubbio che lei si preoccupi molto di quale potrebbe essere l’evoluzione della crisi. Tamponate le falle, quali potrebbero essere le conseguenze di questa soluzione? Una nuova crisi? E quanto tempo ci vorrà perché il bilancio della Fed ritorni a dimensioni coerenti con il suo ruolo nell’economia? E’ possibile che non si contrarrà mai più? Quali le conseguenze, per l’economia, di un bilancio di queste dimensioni?

    • La redazione

      Grazie per il commento. Il problema è appunto l’exit strategy. Ritengo che il bilancio ritornerà a dimensioni più coerenti, a crisi risolta. Il problema è come e quando farlo. Componente principale dell’exit stratgey è il timing. Farlo troppo presto rallenterebbe (se non impedirebbe) l’uscita dalla crisi, farlo troppo tardi farebbe
      partire l’inflazione. La vera preoccupazione è questa: c’è un’immensa mole di liquidità in giro, bisognerà riassorbirla, altrimenti si potrebbe generare inflazione. Non solo nei prezzi, ma anche nei corsi azionari. Come detto nel mio intervento, questa preoccupazione oggi però è di secondo ordine. Al momento è prioritario evitare la deflazione, più che preoccuparsi dell’inflazione futura (anzi si devono generare aspettative di inflazione futura, quando non si può più usare la leva del tasso d’interesse). Ci sarà tempo per pensare al come ed al quando
      di un strategia di rientro, quando si intravederà la fine del tunnel.

  2. Alfio

    Mi auguro solo che per uscire dalla crisi in fretta vengano favorite spinte inflative che consentirebbero alla banche di superare le perdite e all’imprenditoria privata di aumentare i prezzi di prestazioni e prodotti facendo pagare alla fine ai soliti “pantaloni” il costi del crack finanziario. A mio avviso non è stata sottolineata la miope politica di trichet che dall’Agosto 2007, quando esplose la bolla finanziari negli USa, ha continuato a praticare per un altro anno e mezzo un politica monetaria restrittiva consentendo alle bahce di fare cash sui mutui indicizzati e mettendo in ginocchio le famiglie che avevano contratto debiti negli esercizi passati con pesanti effetti su domanda di beni e servizi….il punto secondo me è che, alla fine,come sempre, banalmente il prezzo della crisi come quello della ripresa lo pagano sempre gli ultimi…e di questo nessuno ne parla…mai….

    • La redazione

      Sono d’accordo che la BCE abbia forse tardato troppo ad abbassare i tassi, ossia sostanzialmente abbia sottovalutato la portata della crisi. Anche se ex-post è sempre facile. Rimane anche che non si può criticare la Fed perché teneva i tassi bassi prima della crisi, e la BCE perché teneva i tassi alti…

  3. Mirco

    Se l’Euro vuole divenire una moneta che ha l’ambizione di sostituire il dollaro come moneta di riferimento internazionale, l’Europa deve costituirsi come confederazione di stati con reale autonomia politica e economico finanziaria. Deve avere un proprio esercito, un vero eproprio governo che abbia strategie di politica estera e determini e influenzi la geopolitica ( si pensi alla dipendenza energetica dall’esterno).E’ perciò necessaria anche una autorità fiscale europea. Si tenga presente che L’Europa sarebbe una potenza con un deficit pubblico minimo e in grado di influire grandemente sugli quilibri finanziari globali solo che gli stati singoli membri Ue lo volessero ma sono pessimista….

    • La redazione

      Con me sfonda una porta aperta. E’ un discorso che ci porterebbe lontano, e forse più di politica estera internazionale che di economia. Penso però purtroppo che l’allargamento, per quanto giusto, sia la tomba di una possibile unione politica europea vera e propria, come immaginata dai padri fondatori del mercato unico.

  4. Claudio Meinardi

    Per gli stati che finanziano le banche centrali è una bella occasione per piazzare un bel mega-titolo di stato con interesse negativo. Le banche hanno bisogno di soldi da prestare? Non c’è problema, gli Stati Uniti e l’Unione Europea possono emettere un bel Bond con una cifra a caso, con scadenza di una trentina d’anni, a interesse leggermente negativo. Se poi non potranno saldare, si farà un’altra trattativa. E una volta tanto a pagare saranno le banche invece che chi chiede prestiti per sopravvivere. Un’altra volta staranno attenti a chi li prestano. Altro che Freddie Mac.

    • La redazione

      Grazie dell’interesse. Però non credo, preferirei allora la soluzione proposta da Ricardo Caballero, si veda voxeu.org

  5. Giri Federico

    Il problema sarà poi riassorbire tutta questa immensa mole di liquidità che viene immessa nel sistema. Quindi rialzi di tassi, scoppio di un’altra bolla, nuova crisi, altro intervento. Regole che ridiano fiducia, non liquidità la quale in circolazione certo non manca.

    • La redazione

      Grazie del commento. Sono d’accordo, come detto nella risposta al primo commento

  6. Gianni

    Ascari in un commento afferma che la BCE avrebbe sbagliato a tardare a abbassare i tassi, in quello successivo il suo contrario. E cioè che l’immissione di nuova liquidità (quella necessaria ad abbattere i tassi) potrebbe essere un danno e produrrebbe altre bolle. Siamo in questo disastro propio a causa della medicina che adesso governi e banche centrali ci propinano: moneta facile e tassi manipolati al ribasso La realtà è che quello di cui abbiamo bisogno non è stampare altra moneta, ma produrre, cioè far crescere l’economia. Se l’economia cresce allora possiamo acquistare di piu’, il potere d’acquisto di tutti noi è cio’ che ciascuno produce. Non possiamo invece far crescere l’economia spendendo moneta creata dal nulla.

  7. francesco--paolo

    Introduco una considerazione forse più attinente alla mia formazione giuridca-economica: mi riferisco alle nasciture nuove regole. Mi spiego: il prof. Ascari fa considerazione di tipo macroeconomiche, ma a parer mio da, un p.v. epistemologico bisogna sempre partire dal diritto: l’economia insomma tende sempre a spiegare più l’equilibrio dei sistemi economici che lo sviluppo o le crisi che attraversano, con approcci autonomi (leggi matematiche). Ma mai come in questo caso si dovrebbe discutere della crisi e della sua possibile cura di lungo termine attraverso lo ristabilere l’egemonia del diritto. Se è vero che questa crisi finaziaria-economica nasce da lontano, e se è vero che la causa scatenante è stata (esemplifico) una deregolamentazione dei mercati allora non vedo come non si debba ripartire proprio da questo punto. D’altra parte in ogni G7 O G20 come una ormai nenia ci viene raccontato che abbiamo necessità di nuove regole e non solo interne. Ho l’impressione tuttavia che siamo nuovamente alle prese con considerazioni estemporanee di tipo strettamente economiche (monetaristiche) e se tutto va bene si potrà riprendere alla grande.

  8. carlo bianco

    Le considerazioni di Ascari trovano conferma nell’ultimo bollettino statistico della Banca d’Italia. Pur in presenza di tassi prossimi allo zero le banche aumentano i loro depositi presso la banca centrale invece che diminuirli, confermando che in periodi di forti crisi economiche le politiche monetarie sono assolutamente inadeguate. A questo si aggiunga anche il fallimento dei Tremonti Bond, a cui hanno aftto ricorso solo tre banche. Di fatto le manovre sui tassi hanno mostrato i loro limiti. Le politiche fiscali sono sotto i dominio degli stati, ma i limiti UE sui bilanci non consentono possibilità di manovra. Pare quindi l’area euro debba fare a meno dei policimen. Se fosse così allora gli operatori devono far da soli. Non di riunioni di capi di stato e di direttori di banche centrali ma di Stati Generali, in cui ogni parte dovrebbe contribuire alla soluzione della crisi. Per far questo occorrerebbe un cambio radicale di cultura da parte di banche, imprenditori e sindacalisti. Si dovrebbe partire dal presupposto che ogni parte dovrebbe rinunciare al preseguimento del proprio particolare interesse, rinviando questa attività a futuri (sperando prossimi) tempi di pace.

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