La manovra cerca di coniugare la necessità di dare uno stimolo alla domanda e allo stesso tempo alleggerire il settore pubblico. Ma il bonus da 80 euro è lo strumento giusto per realizzare l’obiettivo? Si possono già calcolarne gli effetti sui consumi. Ed è un esercizio da ripetere per altre misure.
LE INCERTEZZE DEL BONUS
Nella nuova manovra illustrata dal Governo, la parte del leone sul versante delle entrate la giocano la spending review e i tagli di spesa a essa associati, che dovrebbero procurare il 42 per cento del risultato. Sul versante delle uscite, la parte notevole sono i 9,5 miliardi del bonus da 80 euro che il Governo conferma per il futuro prossimo, lasciando intendere che sarà così anche nel futuro remoto.
Messa così, la manovra si caratterizza come un tentativo di tagliare in modo stabile le imposte finanziandole cospicuamente con tagli di spesa (e in parte in disavanzo dato lo stato della congiuntura).
Avevo già espresso nel passato un giudizio positivo su questa impostazione, ma parecchie riserve sulla sua realizzazione. L’impostazione è valida perché cerca di coniugare in uno dei pochi modi possibili la necessità di dare uno stimolo alla domanda (tagliando le imposte) e al contempo alleggerire il settore pubblico che assorbe ingenti risorse.
La realizzazione è stata tutt’altro che impeccabile, per almeno due ragioni. Primo, sul bonus fiscale da 80 euro si è finora tentennato sulla sua natura permanente o transitoria, con dichiarazioni contraddittorie in cui, da un lato, si rassicura che si tratta di una misura permanente, dall’altra la si condiziona alla disponibilità di risorse. Non è un dettaglio da poco. Se lo scopo, come si dice (e deve essere), è quello di fornire un sostegno alla domanda, iniettare incertezza sulla permanenza della misura equivale ad affossarne l’efficacia. Una buona idea che rischia (o ha rischiato) di essere bruciata in partenza. Secondo, e non indipendente dal primo punto, il piano dei tagli di spesa è lontano dall’essere chiaro e l’impegno del Governo a realizzarli tutt’altro che irrevocabile. L’allontanamento di Carlo Cottarelli, commissario alla spending review, ne ha minato ulteriormente la credibilità. Ma così si pregiudica anche la credibilità della permanenza del bonus. Con la manovra, il Governo sembra recuperare in parte queste deficienze. Ma rimangono parecchie incertezze, di cui la principale è l’efficacia delle misure.
EFFETTO SUI CONSUMI: COME CALCOLARLO
Che effetto hanno sui consumi gli 80 euro? Se l’effetto è minuscolo, l’intera manovra, anche se finanziata in parte in disavanzo, può avere effetti recessivi a causa dei tagli di spesa. Data la posta in gioco una risposta a questa domanda è cruciale. Finora nei media ha prevalso l’opinione che il taglio delle imposte sui redditi delle famiglie non ha avuto effetti di rilievo sui consumi. Questa conclusione si basa sull’osservazione che l’economia è entrata nella sua terza recessione e che la dinamica dei consumi non brilla. Ma questa non è evidenza che gli 80 euro non hanno avuto effetto: potrebbero averlo avuto e grazie a questo aver evitato all’Italia una recessione ancora peggiore. Per appurare se la politica del Governo funziona o meno occorre, come ha sostenuto lo stesso Matteo Renzi non troppo tempo fa, un serio studio. Finora non è stato fatto, nonostante i dati per condurlo esistano: sono quelli dell’indagine mensile sui consumi condotta dall’Istat, ma a nessuno è venuto in mente di usarli per gettare luce su questo controverso e cruciale argomento. A costo di annoiare il lettore, illustro come si può appurare se gli 80 euro di bonus abbiano alimentato la spesa e di quanto. L’indagine viene condotta mensilmente ed è ora disponibile fino a settembre. L’effetto degli 80 euro dovrebbe essere osservabile a partire dal mese di maggio quando è stato introdotto. Si può procedere così.
1. Si identificano le famiglie beneficiarie tra quelle partecipanti all’indagine Istat sui consumi incrociando l’indagine con i dati sui redditi degli individui di fonte fiscale. Questo può essere fatto all’interno del Sistan (il Sistema statistico nazionale che consente scambio e incroci di banche dati tra gli enti partecipanti, tra cui ovviamente l’Istat). Questo permette di identificare l’entità del bonus per ciascuna famiglia.
2. Nell’indagine sui consumi si identificano le famiglie beneficiarie con reddito vicino al limite superiore per godere del bonus (25mila euro per ciascun membro); ad esempio famiglie con un percettore con reddito tra 23 e 25mila euro e le famiglie con due percettori con reddito tra 23 e 25mila euro. Diciamo famiglie A e B. Si identificano quindi famiglie simili a queste, ma che non hanno goduto del bonus perché hanno un reddito appena superiore alla soglia (ad esempio un solo percettore con reddito tra 25mila e 27mila euro e due percettori con reddito ciascuno all’interno di questa banda).
3. Per ciascuna famiglia beneficiaria all’interno dei due gruppi A e B si calcola la variazione dei consumi nei cinque mesi successivi all’adozione del bonus rispetto ai cinque mesi precedenti e si calcola la variazione media delle famiglie A e B. Si fa lo stesso per ciascuna famiglia non beneficiaria all’interno delle due tipologie A e B prendendo poi la variazione media delle famiglie A e B. Le famiglie beneficiarie del tipo A sono del tutto comparabili a quelle del tipo A non beneficiarie, salvo il fatto che le prime percepiscono il bonus e le seconde no. Lo stesso vale per le famiglie tipo B.
4. La differenza nella variazione media dei consumi tra le famiglie beneficiarie degli 80 euro e quelle non beneficiarie di ciascun gruppo misura l’effetto della politica di Renzi su ciascun gruppo. Se ad esempio la differenza è 200 euro per la tipologia A, e hanno ricevuto 400 euro di bonus nei cinque mesi, la metà sono stati spesi.
5. Un simile calcolo può essere fatto comparando la variazione dei consumi dei beneficiari sopra la soglia inferiore con quella dei non beneficiari che stanno al di sotto della soglia.
Di norma la sensibilità dei consumi a un taglio di imposta è maggiore tra i redditi bassi. Si può poi calcolare l’effetto per le famiglie con livelli di reddito compresi tra la soglia minima e massima per beneficiare del bonus interpolando i due effetti e quindi calcolare quello sul consumo aggregato. Ci sono diversi dettagli tecnici da rispettare, qualche ipotesi da fare, ma non è un calcolo complesso. Poiché i dati non sono pubblici, il calcolo può essere fatto solo dall’ente che vi ha accesso, ovvero l’Istat, possibilmente in collaborazione con i ricercatori della Banca d’Italia.
Una obiezione che è stata sollevata è che può essere troppo presto per vedere gli effetti del bonus, ma non ha grande fondamento. Diversamente dagli investimenti, le spese per consumi, almeno per i non durevoli, non comportano significativi costi di aggiustamento, per cui gli effetti di uno stimolo fiscale dovrebbero essere visibili immediatamente.
In un lavoro del 2011, Jonathan A. Parker e altri autori mostrano che negli Stati Uniti la risposta allo stimolo fiscale del 2008 è avvenuta nello stesso trimestre in cui i consumatori ricevettero i pagamenti, con un effetto anche sui consumi durevoli. In ogni caso, si può sempre ripetere l’esercizio mano mano che i dati delle nuove indagini si accumulano. Inoltre, l’esercizio di valutazione potrà essere esteso ad altre misure introdotte nella legge finanziaria, come l’anticipo del Tfr o la (esclusione dalla) decontribuzione per lavoratori che avevano contratti a tempo indeterminato ad agosto 2014 o dopo.
Nella recente audizione in parlamento il presidente dell’Istat ha presentato cifre molto interessanti sugli effetti distributivi del bonus fiscale. Può dare un enorme contributo al dibattito facendo calcolare l’impatto di queste misure sulla spesa. E con pragmatismo si vada avanti su questo programma se i numeri danno ragione al Governo o altrimenti si cambi rotta o si tarino meglio le politiche.
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ettore
Egregio Professore, mi può spiegare banalmente come possono aumentare i consumi se corrispondentemente vengono tagliati servizi pubblici essenziali (spese per mense scolastiche, sanità, trasporti pubblici per la mobilità pendolare etc.). Credo che l’effetto sui consumi debba essere valutato tenendo conto anche dell’impatto sulle tasche dei cittadini in conseguenza dell’aggravio dei costi subiti per la riduzione dei trasferimenti pubblici che finiscono per pesare sui comportamenti di spesa. E’ un ragionamento troppo banale?
rob
E’ un ragionamento troppo banale? No! Troppo logico
DL78_2010
In realtà all’Istat ci avevano pensato, anche con un certo dettaglio operativo, ma i tempi di reazione dell’Istituto non sono quelli della politica economica… chissà che non ci riescano “a consuntivo”.
Non sono però d’accordo con una cosa, caro Professore. Ma perché lo studio lo deve fare l’Istat (e che c’entra poi il rapporto “privilegiato” con la Banca d’Italia)?
L’Istat può fare il suo lavoro di ufficio di statistica elaborando la base informativa (aggiungendo semplicemente al file standard correntemente distribuito l’importo del bonus percepito), e mettendola poi a disposizione dell’intera comunità scientifica. E anche della Banca d’Italia…
Magari il dibattito ci guadagnerebbe.
Domenico
Renzi pensa che sarebbe sufficiente a stimolare la domanda con l’inserimento degli 80 €uro in busta. Vuole confidare su quella parte di persone che pensano a ridurre la propria “propensione al risparmio” solo perché hanno in busta questi soldi in più. La gente sa bene che quegli 80 €uro serviranno solo a pagare (senza riuscire a coprirle) quelle tasse ed imposte che ci saranno in più a breve. Una ulteriore conferma che i politici ci considerano stupidi, l’ho avuta oggi quando ho sentito un ministro del governo Renzi dire ai microfoni che la disoccupazione aumenta perché ci sono sempre più persone che cercano lavoro. Peccato che nessuno gli abbia detto, che gli uffici di statistica quando comunicano la percentuale di disoccupazione lo fanno con un calcolo matematico dato dal rapporto tra popolazione disoccupata e/o inoccupata e l’intera popolazione attiva (tutte quelle persone che in una nazione sono in grado di lavorare). Evidentemente sarà convinto che gli statistici divulghino i dati solo in base alle c.d. percezioni. E’ dagli ’80 che l’Italia va avanti con provvedimenti tappa buchi. Per fare delle riforme strutturali si dovrebbe stravolgere troppo il paese, ma non a danno del popolo ma solo a quello dei grandi interessi. Il primo a non volerlo è proprio il popolo italiano perché dovrebbe rinunciare alla corruzione ai compromessi e tante altre cose che fanno di noi un popolo debole, estremamente debole. Oggi 80 €uro, quale sarà la manovra tappa buchi del prossimo futuro?