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Banche: lievitazione di una tassa

Da 1 a 2 miliardi: la tassa sulla rivalutazione delle quote di Bankitalia è diventata una patrimoniale selettiva. Non si vuole riparare agli errori fatti con quell’operazione, ma fare cassa. Il rischio è che il governo debba ricapitalizzare alcune delle banche oggi “espropriate”.

IL RADDOPPIO DEL GETTITO

Nell’ultima settimana c’è stata una sospetta lievitazione della tassa sulla rivalutazione delle quote Bankitalia. È passata da un miliardo a un miliardo e 200 milioni per arrivare infine a un miliardo e 800 milioni nella manovra presentata dal Governo venerdi 18 aprile. L’impressione è che questo raddoppio del gettito previsto sia avvenuto parallelamente alla progressiva erosione della spending review. Si tagliavano via slides dalla presentazione di Cottarelli ed aumentava il gettito della tassa sulle banche azioniste di Palazzo Koch. Una volta esclusa del tutto la spesa pensionistica dalla scure dei tagli, ecco il gettito della tassa sulle banche aumentare di un quinto. Resistenze al taglio della spesa sanitaria nel Consiglio dei Ministri? Nessun problema, basta raddoppiare il gettito della tassa sulle banche rispetto a quanto inizialmente previsto. Tanto, come ci ci racconta David Landes, studioso delle grandi dinastie, sono sempre immancabilmente loro, i grandi banchieri, dai Baring ai Morgan ai Rotschild, ad essere quelli più odiati dal popolo. Più li tassi più sei amato, soprattutto se utilizzi questi soldi per gonfiare le buste paga del ceto medio.  Bello raccontarlo in campagna elettorale. Il problema è che c’è un limite all’arbitrio di chi governa nel manipolare le tasse e in questo caso è stato superato ogni limite. Di più, si è presentata questa operazione come un’armonizzazione fiscale: “abbiamo semplicemente applicato alle banche lo stesso trattamento che riserviamo a tutti i cittadini” ha dichiarato il nostro Presidente del Consiglio. Ho provato con tutta la buona volontà ad applicare questo ragionamento alle quote di Banca d’Italia in possesso alle banche prima e dopo la rivalutazione senza mai riuscire a raggiungere il gettito stimato dal governo: 1,95 miliardi. Per raccogliere quasi due miliardi bisogna applicare una vera e propria patrimoniale che tassi via un quarto delle quote detenute dalle banche. Questa tassa non ha nulla a che vedere con  i capital gain potenzialmente realizzati o anche solo maturati dalle banche. È una tassa sul capitale delle banche che non ha alcun corrispettivo nell’ordinamento fiscale del nostro Paese e, crediamo, di tutti i paesi Ocse. Vediamo come si giunge a questa conclusione alquanto preoccupante circa le pratiche fiscali del nuovo esecutivo.

UNA PATRIMONIALE SELETTIVA

La tabella qui sotto riproduce, nella prima colonna, le valutazioni delle quote Banca d’Italia iscritte al bilancio delle banche azioniste prima della rivalutazione. Come è noto queste valutazioni differivano significativamente da banca a banca ed erano del tutto arbitrarie. La seconda colonna mostra il valore delle quote dopo la rivalutazione operata con il decreto del 30 novembre 2013, poi convertito in legge a gennaio 2014. La terza colonna mostra la differenza fra le due valutazioni che, con l’eccezione di Carige e Monte dei Paschi, è sempre positiva. Questi nuovi valori sono già stati iscritti a bilancio delle banche (e di Banca d’Italia) a dicembre, prima dunque dell’avvento del nuovo governo  e dell’innalzamento dell’aliquota della tassa sulle rendite finanziarie dal 12 al 26 per cento. Ho provato a calcolare il gettito della tassa ipotizzando di trattare le banche come un normale contribuente, come sostenuto dal governo. Chi registra un incremento del proprio patrimonio mobiliare (ad esempio perchè il valore delle azioni in suo possesso è aumentato) non paga la tassa sui capital gain fin quando non vende le azioni in suo possesso realizzando così una plusvalenza. Come è noto, l’operazione quote Bankitalia impone alle banche di vendere quote in loro possesso che siano eccedenti il 3 per cento del capitale Banca d’Italia. È il caso di Intesa San Paolo, Unicredit, Generali, Cassa di Risparmio di Bologna e Banca Carige. Ora, non è detto che queste quote vengano vendute al prezzo stabilito nella rivalutazione e la stessa Banca d’Italia in caso di buyback delle sue quote non si è impegnata a ricomprarle a quel prezzo (potrebbe anche pagarle al livello più basso della forbice a suo tempo stabilita dal rapporto dei saggi, cioè 5,7 miliardi, nel qual caso le banche realizzerebbero una perdita in conto capitale rispetto a quanto iscritto in bilancio). Supponiamo comunque che le quote eccedenti vengano vendute tutte entro il 2014 al valore iscritto al bilancio delle banche. Il gettito della tassa, applicando la nuova aliquota del 26 per cento sulle rendite finanziarie sarebbe di circa 980 milioni (quarta colonna). Per superare il miliardo di gettito bisogna ipotizzare che la tassa colpisca tutte le plusvalenze che sono state realizzate dalle banche in questa operazione indipendentemente dal fatto che le banche debbano vendere queste quote (e dunque realizzare le plusvalenze) o meno e tassare queste plusvalenze al 26 per cento. In altre parole, dovrebbe essere una tassa sul maturato anzichè sul realizzato, una tassa che da anni non esiste più nel nostro ordinamento (si applicava ai fondi comuni ed è stata soppressa perchè ritenuta iniqua). Applicando l’aliquota del 12 per cento (quella in vigore quando le plusvalenze sono state registrate a bilancio), alla rivalutazione delle quote, si ottiene un gettito di 550 milioni (quinta colonna); per arrivare a 1,2 miliardi bisogna tassare al 26 per cento il maturato (sesta colonna). Questo significa tassare retroattivamente con le nuove aliquote le plusvalenze maturate nel 2013. Ma per raggiungere il gettito di 1,8 miliardi bisogna fare ancora di più: non rimane che tassare l’intero valore delle quote iscritte a bilancio da parte di banche assicurazioni e anche enti di diritto pubblico (Inps e Inail) al 26 per cento e tenere fuori solo le partecipazioni di Banca Carige e MPS che avevano già operato sostanziali rivalutazioni (affrancate anche fiscalmente) in passato come si vede dal fatto che il valore iscritto a fine 2013 è inferiore a quello dell’esercizio precedente. Si tratta, in altre parole, di una tassa del 26 per cento sui patrimoni e non già sulle plusvalenze. Insomma una patrimoniale selettiva, perché concentrata sulle banche e società d’assicurazione che detengono quote di Banca d’Italia. Le banche probabilmente non meritano di essere trattate come comuni mortali. Si sono subito affrettate, lo scorso dicembre, a registrare a bilancio gli incrementi del loro patrimonio concessi sulla carta dal governo Letta, a rischio di incorrere in perdite in conto capitale al momento della loro alienazione (obbligatoria, come si ricordava, per alcune di loro). Si sono così assicurate un aumento di capitale sulla carta e l’unica cosa vera in questa operazione sono le tasse che dovranno versare allo Stato. Ma questo non significa che si possa intervenire con patrimoniali selettive come quella prevista dal Governo, esponendosi peraltro al rischio di contenziosi interminabili. Ed esponendo il contribuente al rischio di dover trovare all’ultimo momento una fonte di entrata alternativa per rispettare i vincoli di bilancio. Il precedente è indubbiamente preoccupante. Un governo che dimostra di utilizzare in modo così disinvolto i poteri di esazione di cui dispone getta un’ombra sinistra sul rapporto fra Stato e contribuente. Viene a tutti da chiedersi: chi sarà il prossimo a farne le spese? PEGGIO IL TACON C’è anche un altro problema in questa lievitazione. Mentre una tassa sulle plusvalenze in via di realizzazione avrebbe colpito principalmente banche relativamente ben capitalizzate, come Intesa San Paolo e Unicredit, una tassa sul capitale di tutte le banche che detengono quote di Banca d’Italia colpisce pesantemente anche istituti di credito poco capitalizzati. Questo rischia di porre il governo nella situazione imbarazzante di dover un domani ricapitalizzare le stesse banche oggi sottoposte a “esproprio proletario”. È un  po’ la stessa sorte toccata alla tasse “Robin Hood” di Tremonti. E tassare banche sottocapitalizzate significa chiudere i rubinetti del credito a famiglie e imprese. Non credo di essere mai stato molto tenero nei confronti dell’operazione “rivalutazione quote del capitale Bancaditalia”. Ma in questo caso è molto “pegio il tacon del buso”. A errore non si può rimediare con errore ancora più grande. Ammesso e non concesso che il governo volesse davvero rimediare ad errore del governo precedente e non semplicemente cercare a tutti i costi coperture (una tantum e in parte ad anticipazione di entrate future) per il bonus fiscale. Scarica tabella come Pdf

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Cinque domande sul Def

  1. Ettore

    Il Prof. Boeri, che leggo da anni, è un attentissimo analista dei provvedimenti economico-finanziari dei governi: quasi nulla sfugge al suo attento e competente esame. Non sta risparmiando nulla a Renzi (i grillini e le opposizioni di Renzi possono benissimo utilizzare i suoi articoli per controbattere in tv ed in Parlamento i provvedimenti del governo), così come nulla ha risparmiato a Prodi/Visco, Monti e Letta. Ricordo che neanche a Tremonti non risparmiò nulla, bocciò praticamente tutto quello che fece da ministro dell’Economia; una volta, a Ballarò c’era Tremonti in studio, appena spuntò il prof.Boeri in collegamento esterno, Tremonti si spaventò, ben conoscendo il suo rigore analitico e la sicura bocciatura dei propri provvedimenti che ne sarebbe derivata. Lo definirei: Il Marco Travaglio dell’economia! Ossia,come Travaglio, ha un rigoroso ed intransigente metodo valutativo x cui qualunque provvedimento economico adottato da qualunque governo non va bene per qualche motivo. Tutto bene, perché motiva tutto in maniera analitica, inappuntabile e rigorosa. Ho però un dubbio di tipo logico: possibile che tutti i ministri dell’economia e presidenti del consiglio degli ultimi governi non ne abbiano azzeccata una e siano tutti incapaci ed incompetenti?

  2. Difendere le banche oggi è anacronistico, però vanno difese, per le Pmi sono sono il principale partner, dobbiamo recuperare questo rapporto, certo che mettere imposte su una plusvalenza solo maturata è scandaloso, andava trovata una copertura per una manovra elettorale, è toccato alle banche. Adesso il governo deve fare il vero provvedimento che risolve il problema del credit crunch, rapporto banche imprese, il governo deve scendere in campo con la propria garanzia, tramite il fondo di garanzia deve garantire il credito che le banche danno alle imprese, la manovra può essere fatta senza accantonamenti sul bilancio, deve essere una manovra di almeno 100 miliardi.

  3. Ettore

    La sua analisi è ineccepibile: si tratta di una tassa retroattiva selettiva (colpisce solo banche,assicurazioni, insomma i tanto odiati intermediari finanziari) di natura patrimoniale, infatti basta moltiplicare 7,5 miliardi (il valore delle quote) x 26% = 1,95 miliardi di gettito! Si tratta sicuramente di una forzatura e questa è stata fatta per evitare, prima delle elezioni, di fare i tagli di Cottarelli più dolorosi ed impopolari. Questi probabilmente arriveranno dopo, stia tranquillo, per far quadrare i conti! Comunque sorgono spontanee, a mio avviso, alcune considerazioni politiche. Nella vulgata corrente, abilmente alimentata da partiti populisti come i 5 stelle, stante l’ignoranza finanziaria media degli italiani, le banche sono brutte, sporche e cattive per definizione quindi una “tassa” sulle banche, pur se ingiusta, è molto popolare. Ecco perché Renzi le ha tassate: anche lui è un po’ populista; risponde al populismo dilagante con un populismo di segno contrario! Purtroppo le elezioni si vincono anche in questo modo: gli italiani premiano i populisti, infatti x vent’anni hanno votato per Berlusconi; il Movimento 5 Stelle, il partito più populista che ci sia mai stato in Italia, ha preso al primo colpo il 25% dei consensi ed è in crescita anche ora! Bersani e Prodi erano leader non populisti e non hanno mai sfondato presso l’elettorato! Poi siamo in campagna elettorale, ognuno si arrangia come può: i partiti di governo con i provvedimenti che appoggiano, le opposizioni con le loro controproposte. Sarebbe interessante una sua dettagliata analisi sui tre cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle: il reddito di cittadinanza a tutti (costo stimato da alcuni economisti circa 30 miliardi di €, finanziato con il taglio dei famosi F35, che sono una tantum, e non si capisce con che altro!), referendum pro e contro euro (se vincesse il no, cosa succederebbe il giorno dopo in Italia? Leggere l’interessante articolo del Prof. Esposito) e abolizione dell’odiata Equitalia, simbolo dell’oppressione fiscale dello Stato Leviatano!

  4. alias

    Auguriamoci, sperando di aver torto marcio, che: 1) le banche, così malamente tosate, prima o poi riusciranno a vendersi l’oro a riserva di Banca d’Italia; 2) naturalmente, dopo che i dieci milioni dei “beneficiati di maggio” (guarda caso, tanti da garantirgli una solida maggioranza) si convinceranno a donar le fedi d’oro al nostro Premier, egli le rigirerà, svelto, alla patria. I precedenti non mancano.

  5. CR

    Come si suol dire: tasse, tasse, tasse, sempre tasse, prima sulle plusvalenze maturate ma non realizzate sulla rivalutazione delle quote della Banca e poi a fianco un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie dal 20 al 26%. Quest’ultima tassa segue la Tobin tax sulle transazioni finanziare e la patrimoniale, veramente popolare, su tutti i depositi titoli. Altro che Cottarelli: qui si hanno solamente tasse e di tagli neanche l’ombra. Anzi…

  6. Alessandro

    La sua analisi è ineccepibile Prof.
    Ma se fosse un riallineamento per restituire un vantaggio competitivo di cui tutta la finanza ha goduto per anni (e decenni) con tassazioni ridicole rispetto alla tassazione sul reddito da lavoro?
    Non mi risponda dicendo; “anche le banche hanno subito la crisi” .
    Perché io guardando MPS vedo che il suo AD prende cifre a 6 zeri e un’impresa in difficoltà posticiperebbe bonus e stipendi alti con stock option non certo riducendo in quel modo la liquidità!
    A cosa serve la politica se non proprio a distribuire i redditi di chi per lungo tempo ha approfittato della propria posizione oppure torniamo a parlare delle LTRO con acquisto di titoli al 4% ed incasso a rischio zero del 2-3%?

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