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80 euro rimasti nel portafoglio

Il bonus di 80 euro ai lavoratori dipendenti ha avuto un effetto positivo sui consumi e dunque sul Pil in generale? Forse è presto per dirlo. L’incertezza sulla conferma e sulle coperture finanziarie può averne attenuato i risultati, almeno per il 2014. Beneficio individuale e reddito familiare.
Qual è stato l’effetto del bonus?
Il taglio di imposte di 80 euro mensili a favore dei lavoratori dipendenti – il cosiddetto “bonus” – è stata la principale misura di sostegno alla domanda varata dal governo Renzi.
In un primo articolo su lavoce.info, Luigi Guiso propone di valutarne gli effetti sui consumi: confrontando la spesa di famiglie beneficiarie e non beneficiarie con reddito vicino alla soglia oltre la quale scatta il diritto al bonus (8.145 euro). In un successivo articolo, scritto assieme a Stefano Gagliarducci, il confronto è condotto incrociando (a livello individuale) dati su redditi e consumi famigliari provenienti, rispettivamente, dall’Agenzia delle entrate e dall’indagine Istat sui consumi e consente di prevedere per l’anno 2015 un contributo molto importante del bonus a consumi aggregati e Pil: rispettivamente, +0,9 per cento e +0,8 per cento.
I due articoli hanno il merito di aver aperto un dibattito sugli effetti del bonus alla luce di dati accurati e metodologie statistiche adeguate. Nella speranza di portare un ulteriore contributo, mi soffermo qui su alcuni punti potenzialmente problematici dell’analisi. Presento poi ulteriori risultati, ottenuti utilizzando dati simili a quelli di Gagliarducci e Guiso (i dati provengono dalle stesse fonti – Istat e Agenzia delle Entrate – e sono stati ottenuti ai fini di uno studio condotto assieme a Tito Boeri per INPS sul targeting delle misure di sostegno al reddito delle famiglie), e che sembrano indicare un modesto effetto del bonus sui consumi.
Vicino e lontano dalla soglia
Gagliarducci e Guiso stimano l’effetto del bonus sui consumi delle famiglie con un solo reddito da lavoro dipendente vicino alla soglia di 8.145 euro. Quando però calcolano i risultati complessivi del bonus su consumi e Pil, imputano lo stesso effetto a tutte le altre famiglie beneficiarie, che tuttavia si caratterizzano per un reddito famigliare mediamente più elevato di quelle monoreddito, in quanto somma di più redditi da lavoro dipendente. Come discusso anche da Guiso nel suo primo intervento, “la sensibilità dei consumi a un taglio di imposta è maggiore tra i redditi bassi”. Ne consegue che imputare a tutti i beneficiari l’effetto stimato per le famiglie con un solo reddito vicino alla soglia di 8.145 euro potrebbe sovrastimare l’effetto del bonus su consumi e Pil aggregato.
Cinque tipologie di consumo
Gagliarducci e Guiso presentano stime dell’effetto del bonus su cinque voci di spesa: “alimentari”, “non durevoli”, “durevoli”, “casa” e “mutuo”. L’effetto stimato è positivo e significativo per le categorie “alimentari” e “mutuo” (rispettivamente, +60 e +77 euro) mentre non è statisticamente diverso da zero per le altre tre. Sommando i due effetti statisticamente significativi, gli autori concludono che “l’effetto sulla spesa famigliare sembra essere superiore all’entità del bonus stesso”, anche se “dato l’elevato margine di errore delle stime, non è possibile affermare che l’effetto di 1 euro di bonus sulla spesa totale sia statisticamente maggiore di 1”. Dall’articolo non è chiaro, tuttavia, se le stime rilevino un effetto significativo del bonus sulla spesa famigliare complessiva. Ma questa è la variabile più rilevante per comprendere l’impatto del bonus sui consumi aggregati.
Un confronto diverso
L’idea alla base dell’analisi di discontinuità consiste nel confrontare i consumi delle famiglie con reddito appena superiore e appena inferiore alla soglia di 8.145 euro. In pratica, Gagliarducci e Guiso includono nel campione tutte le famiglie con reddito tra 1.000 e 20mila euro e ipotizzano che, in assenza di effetti del bonus, i consumi aumentino proporzionalmente al reddito.
La stima degli effetti del bonus ottenuta in questo modo può variare sensibilmente sotto ipotesi alternative in merito alla relazione tra reddito e consumi (cioè se i consumi variano in maniera non proporzionale al reddito) o considerando diverse finestre di reddito.

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Figura 1 – Bonus e spesa famigliare nel periodo giugno-dicembre 2014

figure1
Un approccio più semplice e intuitivo consiste nel calcolare la spesa famigliare media per intervalli di reddito e confrontare gli intervalli adiacenti alla soglia. La figura 1 presenta un confronto per intervalli di ampiezza pari a 500 euro. In linea con le regole di assegnazione, il bonus medio percepito (grafico blu) aumenta significativamente quando il reddito famigliare supera la soglia degli 8.145 euro. In corrispondenza della stessa soglia non si osserva tuttavia un aumento evidente della spesa famigliare mensile dopo l’introduzione del bonus (periodo giugno-dicembre 2014, grafico rosso).

Figura 2 – Spesa media pro-capite nelle famiglie beneficiarie e non-beneficiarie, gennaio-dicembre 2014

figure2
La figura 2 mostra un diverso tipo di confronto: spesa mensile pro-capite nelle famiglie che hanno beneficiato del bonus rispetto a quella delle altre famiglie con redditi da lavoro dipendente che non hanno beneficiato del bonus. Non restringe, dunque, il confronto alle famiglie intorno alla soglia degli 8.145 euro. Questo è al tempo stesso un vantaggio e uno svantaggio: da un lato, la stima è meno sensibile alle decisioni di spesa di un sottocampione molto limitato di famiglie intorno alla soglia, dall’altro le famiglie non-beneficiarie lontane dalla soglia potrebbero essere molto diverse da quelle beneficiarie.
I risultati ottenuti utilizzando entrambi gli approcci sono simili: non c’è evidenza di effetti significativi del bonus sui consumi delle famiglie. Ciò è vero anche quando consideriamo categorie disaggregate di beni e servizi.
L’evidenza in figura 1 e 2 è confermata dall’analisi statistica. Un limite delle stime è che la numerosità campionaria dell’indagine Istat non consente di identificare con sufficiente precisione l’effetto di 80 euro addizionali di reddito sulla spesa famigliare, per sua natura molto volatile. Tuttavia, le stime centrali dell’effetto del bonus sono generalmente vicine allo zero.
Quanto ha pesato l’incertezza?
La teoria economica del ciclo vitale di consumi e risparmio suggerisce che un aumento permanente del reddito disponibile (generato in questo caso da un taglio delle imposte) dovrebbe tradursi in un aumento dei consumi di pari ammontare. Tuttavia, sia l’evidenza grafica che le stime statistiche suggeriscono cautela nell’attribuire tali effetti al bonus 80 euro.
Una possibile spiegazione è che il bonus non sia stato immediatamente percepito come una misura permanente. Il primo bonus è stato ricevuto in busta paga nel maggio 2014, ma la misura è stata confermata per l’anno successivo solo con la legge di stabilità di dicembre – e nell’ultimo mese le famiglie beneficiarie aumentano significativamente i consumi rispetto alle non-beneficiarie (figura 2).
Tra maggio e dicembre, persiste un’estrema incertezza legata soprattutto alle coperture finanziarie, che può aver limitato la propensione a spendere il bonus anche attraverso un secondo meccanismo: se i beneficiari temono che la misura sia finanziata attraverso un aumento di altre tasse o un taglio di trasferimenti e servizi pubblici, si attenderanno un aumento del reddito disponibile inferiore all’ammontare del bonus (indipendentemente dal fatto che sia permanente oppure no).
Questi elementi di incertezza potrebbero aver frenato la propensione a spendere il maggior reddito disponibile, soprattutto per le famiglie con redditi relativamente più elevati (per le quali i vincoli di bilancio sono meno stringenti). Quest’ultima considerazione è rilevante alla luce di un’altra caratteristica del bonus: essendo attribuito su base individuale, è percepito anche da famiglie che, sommando più redditi, raggiungono livelli di reddito famigliare complessivo relativamente alti. All’interno del campione Inps-Agenzia delle entrate usato per queste analisi, il reddito famigliare medio delle famiglie beneficiarie del bonus (comprensivo di redditi da lavoro dipendente e pensioni) raggiungeva i 30mila euro, un 25 per cento di tali famiglie aveva un reddito superiore a 40mila euro e un 5 per cento superiore a 66mila euro, arrivando fino a un massimo di 300mila euro.
Alla luce di quanto appena detto, è possibile trarre alcune conclusioni.
Primo, l’incertezza intorno alla conferma del bonus per gli anni successivi (e alle necessarie coperture finanziarie) può averne attenuato l’impatto sui consumi. Poiché l’incertezza si è risolta con la legge di stabilità approvata a dicembre 2014, è possibile che nel 2015 il bonus abbia un effetto sui consumi maggiore.
Secondo, il riconoscimento del bonus in busta paga e su base individuale è stata probabilmente una mossa efficace dal punto di vista mediatico, ma implica che la platea dei beneficiari include un gran numero di famiglie con redditi alti. Visti i costi della misura per le casse pubbliche, quest’ultimo aspetto può essere problematico anche in termini di equità, oltreché di rilancio dei consumi.
 
 

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Il Punto

  1. Massimo GIANNINI

    La discussione comincia ad essere oziosa allorché non si vuole rispondere nel merito alle seguenti domande: qual è la correlazione tra bonus-aumento reddito disponibile-aumento consumi-aumento PIL? Come si è fatto ad isolare la variabile bonus dalle altre? Continuate a scrivere e supporre che l’elasticità della domanda ad esempio da consumi alimentari al reddito disponibile (aumentato per via del bonus) sia tale da far aumentare i consumi (alimentari). Gli ultimi studi ci dicono che proprio i consumi alimentari non aumentano più di tanto, un po’ per la legge di Engel, all’aumentare del reddito. Se poi avete scritto che una parte del bonus va a rimborso debito come si fa a dire che ha un impatto sulla crescita dei consumi e del PIL?

    • Luigi Biagini

      @Massimo GIANNINI
      “qual è la correlazione tra bonus-aumento reddito disponibile-aumento consumi-aumento PIL?” Come giustamente ha fatto notare l’autore del post è presto per poter vedere se e quanto sia la correlazione tra le 4 variabili da te indicate. Troppo poco tempo tra l’entrata in vigore del bonus degli 80 euro quindi pochi dati per fare un’analisi econometrica con una certa solidità.
      Ricordo inoltre che in Italia non abbiamo dati con aggiornamenti simili a quelli degli USA e con la stessa qualità.
      “Come si è fatto ad isolare la variabile bonus dalle altre?” anche un t-test o un F-test, un Chow test ecc. ecc. possono permettere di capire se una variabile è isolata. Ma occorre avere un minimo di base di statistica.
      “Gli ultimi studi ci dicono che proprio i consumi alimentari non aumentano più di tanto, un po’ per la legge di Engel, all’aumentare del reddito. ” quali? e poi per quali fasce di reddito? Bisogna capire a cosa si riferisce lo/gli studi a cui fa riferimento.
      “Se poi avete scritto che una parte del bonus va a rimborso debito come si fa a dire che ha un impatto sulla crescita dei consumi e del PIL?”
      il debito di una persona è il credito di un’altra…

  2. Sono stufo della discussione sugli ottanta euro. Sono un pensionato d’oro (tremila duecento euro lordi, duemila netti) ed ho perso circa ottanta euro al mese da cinque anni a seguito del blocco Fornero poi reiterato. Io pago gli 80 euro che Renzi elargisce e non riesco a stupirmi del fatto che i consumi non crescano. Siamo alle solite: si dà qua ma si toglie là.
    Il tutto, se non fosse tragico, sarebbe del tutto ridicolo!
    Roberto Renzetti (con 46 anni e sei mesi di contributi pagati che paga montagne di ticket ospedalieri, tasse infinite e non ne può più).

  3. Enrico Motta

    Se 80 euro pro capite di riduzione di imposte non servono ad aumentare i consumi (in totale sono 10 miliardi /anno se ricordo bene), allora avrei una proposta rivoluzionaria da fare: togliamoli, così lo Stato incassa quella cifra e riduce il deficit; anzi, già che ci siamo, aumentiamo le tasse di 80 euro al mese, “tanto non cambia niente”, e si riduce ulteriormente il deficit. In una situazione di domanda debole, l’ipotesi che una riduzione di tasse di quella entità non abbia effetti sui consumi mi sembra semplicemente demenziale. Oppure mi sbaglio di grosso, e allora aumentiamo davvero le tasse.

  4. marcello

    Senza stupore due articoli che usano gli stessi dati giungono a conclusioni opposte dimostrando, se mai ce ne fosse bisogno, che qualche semplice analisi statistica non può sostituire una buona teoria economica, cosa che purtroppo è diventata mainstream. Anche sugli esperimenti consiglio la lettura di Scienze e Nature sul recente articolo di Brian Nosek. Che fine ha fatto la teoria economica?

    • io

      E’ un problema di economia comportamentale. Se tu dai un rimborso con le trattenute, modalità rapida, se la busta paga supera 1000 euro, il rimborso va nel c/c. E’ normale che non tutto venga speso. Il modello dell’agente razionale farebbe supporre l’indifferenza della modalità di percezione. E’ dimostrato che se va sul conto corrente una quota minima va a risparmio. Fossero anche solo 10 euro al mese per ogni avente diritto, considerando da stime 9 milioni e 800 mila percettori alla Trilussa, sono già 1 miliardo e 2 milioni. Se la misura é fatta solo per i consumi, c’è un unico modo per far sì che tutto vada speso: dare card con scadenza e se non viene speso il bonus torna al mittente.

      • marcello

        Sull’economia comportamentale suggerisco di leggere Ken Binmore. Quanto alle dimostrazioni dell’economia comportamentale, ricordo, ma forse sbaglio, che tutta l’economia si basa sulle preferenze o no?

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