Lavoce.info

Renzi, il Jobs Act e la precarietà infinita*

Anche il Governo Renzi sembra ritenere che il problema principale del mercato del lavoro in Italia sia la rigidità dei contratti. E dunque si estende ancora la precarietà. Che penalizza i giovani e soprattutto le donne. Senza creare un solo posto di lavoro in più.

JOBS ACT, ATTO PRIMO

Anche Matteo Renzi, come chi lo ha preceduto, sembra ritenere che il problema principale del mercato del lavoro in Italia sia la rigidità dei contratti, non la carenza di domanda. Perciò, nonostante nel solo 2013 si siano persi 413mila posti di lavoro (dati Istat), il primo pezzo del tanto annunciato Jobs Act è una ulteriore flessibilizzazione dei contratti di lavoro, con la possibilità di rinnovare quelli a termine fino a otto volte in tre anni. Ciò significa la possibilità di spezzettare un rapporto di lavoro in contratti di quattro-cinque mesi, salvo ricominciare da capo, con un nuovo lavoratore/lavoratrice allo scadere dei tre anni. Come ciò si concili con il promesso contratto unico a tutele crescenti rimane un mistero. Ed è difficile che l’ulteriore precarizzazione dei rapporti di lavoro favorisca la ripresa economica, ovvero la competitività delle nostre imprese a livello nazionale. È, infatti, un forte scoraggiamento a investire sulla forza lavoro, specie su quella in ingresso, dato che l’orizzonte temporale della “prova” si allunga a dismisura e assume ancora più di prima un carattere neppure tanto sottilmente minaccioso, o ricattatorio, dato che rinnovi o mancati rinnovi possono avvenire in tempi cortissimi.
Nella stessa direzione va la modifica dell’apprendistato, un vero e proprio ritorno indietro, con l’eliminazione sia dell’obbligo a garantire formazione, sia di quello ad assumere a tempo determinato almeno un venti per cento degli apprendisti prima di avviare nuovi contratti di questo tipo – una delle buone innovazioni introdotte da Elsa Fornero. La differenza tra contratti di apprendistato e contratti a termine si annulla di nuovo, pur rimanendo a livello formale (ciò che probabilmente aprirà a nuove sanzioni UE).

Leggi anche:  Donne e potere politico: meglio su Twitter-X che in Parlamento

CONSEGUENZE PER GIOVANI E DONNE

Se questo è il modo di investire sui giovani, di offrire loro un orizzonte di vita meno incerto dell’attuale, mi sembra che non ci siamo proprio. Perché sono loro i primi cui si applicherà questa doppia estensione della precarietà, fatta di contratti brevi senza alcuna ragionevole garanzia di stabilizzazione dopo tre anni di rinnovi (se va bene). Sono loro i primi a rischiare di entrare in una porta girevole all’infinito, che oltretutto difficilmente consentirà di maturare diritti a una indennità di disoccupazione decente, tra un rinnovo e l’altro. Senza che si crei un solo posto di lavoro in più e probabilmente senza fermare l’emorragia di quelli in atto – moltissimi dei quali stabili, a tempo indeterminato – in corso ormai da anni.
Per le donne, poi, vi saranno costi aggiuntivi. La possibilità di fare contratti brevi, rinnovabili più volte, consentirà ai datori di lavoro di ignorare del tutto legalmente la norma sul divieto di licenziamento durante il cosiddetto periodo protetto. Non occorrerà neppure più far firmare, illegalmente, dimissioni in bianco, o indagare, sempre illegalmente, sulle intenzioni procreative al momento dell’assunzione. Basterà fare loro sistematicamente contratti brevi, non rinnovandoli alla scadenza in caso di gravidanza. Con l’ulteriore conseguenza negativa che [tweetable]molte donne non riusciranno a maturare il diritto alla indennità di maternità piena[/tweetable]. E faranno fatica a iscrivere il bambino all’asilo nido, dato che non potranno dimostrare di avere un contratto di lavoro almeno annuale.
Chissà se, come ha fatto la ministra Boschi per la questione delle norme antidiscriminatorie nella legge elettorale, le ministre considereranno anche questa penalizzazione aggiuntiva per le donne all’interno di norme già di per sé negative, un piccolo scotto del tutto marginale da pagare sull’altare delle riforme “epocali”.

* Questo articolo è pubblicato in contemporanea su inGenere.it

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Più ombre che luci nel lavoro domestico*

Precedente

Dove va l’università italiana?

Successivo

Il Punto

26 commenti

  1. Luigi Calabrone

    Chi conosce la situazione italiana del lavoro sa che la legislazione originaria della fine degli anni ’60 e l’applicazione che ne è stata data dalla magistratura fino a oggi hanno creato una situazione che protegge troppo gli “insiders” e tende a respingere e marginalizzare le persone che cercano lavoro.
    Tutti i governi degli ultimi trent’anni hanno riconosciuto l’esistenza del problema, ma non sono mai riusciti a modificarla soprattutto per l’opposizione del sindacato, conservatore e corporativo, che tutela solo coloro che sono già entrati nel sistema e i pensionati. Le persone di buon senso, come il Prof. Ichino, hanno fatto da tempo una proposta accettabile, che prevede che l’attuale sistema venga sostituito da una legislazione semplificata, unica e applicabile a tutti i lavoratori, con tutela crescenti in funzione dell’anzianità lavorativa presso il datore di lavoro. Per questa ragionevole proposta, formulata da persona veramente esperta ed ex avvocato dei sindacati, il Prof. Ichino è stato emarginato dalla sinistra e costretto, da almeno 15 anni, a vivere sotto scorta. La Fornero, che era stata scelta dai sindacati come Ministro del Lavoro, come persona di loro fiducia, avendo preso alcune decisioni inevitabili in materia previdenziale e pur non avendo potuto incidere come voleva sulla legislazione del lavoro (sempre per l’opposizione dei difensori dello status quo) è stata, di fatto, scaricata dai sindacati stessi.
    Renzi, che conosce benissimo il problema, su cui si è scornata anche la sinistra (per esempio, a suo tempo, D’Alema, che entrò in conflitto con Cofferati) oggi ha potuto proporre solo (anche per l’urgenza) un’ennesima misura di tamponamento. Per giudicare Renzi in materia, si abbia almeno la pazienza di vedere se riuscirà, nei prossimi mesi, a fare una proposta organica, in direzione della riforma di cui l’Italia (sciaguratamente) ha bisogno da decenni; ha avuto la prudenza di scegliere come ministro una persona che ha esperienza anche come imprenditore e che conosce certamente le distorsioni dell’attuale sistema. Auguriamoci che riesca a fare quello che gli Italiani, non solo i sindacati, ma anche i disoccupati, i genitori dei giovani in attesa di occupazione, i precari emarginati dalle barriere attuali, eccetera, aspettano da anni. Forse se Renzi riuscirà a realizzarla aggiungendovi un miglior funzionamento della giustizia civile, lo snellimento della burocrazia, la semplificazione delle norme fiscali a carico delle imprese, il pagamento tempestivo dei debiti della Pa, è ragionevole pensare che gli imprenditori, compresi quelli stranieri, avranno di nuovo voglia di assumere collaboratori, partendo dai giovani. Altrimenti, continueranno l’attuale stasi e il trasferimento di imprese all’estero cominciando da Svizzera, Austria, Est europeo e Cina; e di nuova occupazione, precaria o stabile, si smetterà di parlare.

  2. gianfranco

    Una ditta quando assume un lavoratore, investe su di lui e non ha nessuna convenienza a lasciarlo se produce. Questo discorso non vale ovviamente per lavori infimi, per i quali non c’è bisogno di alcuna professionalità. Se preferiamo che quest´ultima sia la via (e purtroppo i segni sono molti) avanti così.

  3. Una riforma sul lavoro più inutile di questa non l’ho mai vista: già vi era una flessibilità in entrata, il problema è l’uscita, ossia l’ostacolo dell’art. 18. Dobbiamo prendere atto tutti che quando il lavoro non c’è più non può essere penalizzata l’impresa, si dovrebbe ammettere una flessibilità in uscita, magari entro una percentuale di almeno il 20% dell’occupazione: in tale modo si rende l’impresa più flessibile.

  4. Guest

    Il problema principale del mercato del lavoro in Italia è che manca tout court il lavoro e nessuno investe un decino (nessun lapsus calami) in Italia per tre motivi:
    1) zero ritorni su qualsivoglia tipo di investimento
    2) tasse e burocrazia surreali
    3) mafia.

  5. Luca

    Qualche settimana fa il nostro simpatico Presidente del Consiglio Matteo è stato ricevuto dal Fmi e questa è la dichiarazione rilasciata da Gerry Rice (responsabile dell’ufficio comunicazione) al termine dell’incontro: “High unemployment is obviously a pressing issue in Italy, and labor market reforms are key, in particular a flexible labor market contract with gradually increasing protection. So we look forward to further implementation in the period ahead”. Vi ricordate lo studio della banca svizzera Ubs che già a gennaio 2014 sosteneva che Renzi fosse a favore della riduzione del costo del lavoro, sebbene la sua battaglia sarebbe stata in salita? Ecco:
    “Unfortunately, Italy has failed to adjust its relative unit labor costs, which are too high
    given that past wage increases were not in line with productivity gains. In fact, the International Monetary Fund (IMF) estimates that a depreciation of 10% is necessary to fix the competitiveness issue. Although measures to address it are a key priority of Renzi, he will likely face an uphill battle”. In un’area monetaria a cambio fisso (come la zona-euro), l’unico modo per recuperare competitività nel breve periodo è svalutare il fattore lavoro. Come ha fatto Monti con l’austerity (creando disoccupazione) e come farà Renzi con il Jobs Act. Del resto, già lo sapevamo cosa pensava Renzi della nostra uscita dall’euro, no? L’Italia è l’unica Repubblica fondata sul lavoro dove, al posto di svalutare il capitale, si abbassano gli stipendi. Ora, date del tu alla speranza!
    Ps: a quei furbi che ora diranno che “a flexible labor market contract with gradually increasing protection” non significa abbassare gli stipendi non dico niente, tanto ci penserà la storia a rispondere. Guardate che, se Renzi non farà quello che gli “suggerisce” il Fmi durerà poco su quella poltrona.

  6. Avv. Giulio Fedele

    Il nuovo contratto a-causale e rinnovabile successivamente innumerevoli volte, non potrà sfuggire al vaglio dell’Ue che, peraltro, già nel gennaio 2013 ha sottoposto l’Italia a procedura di infrazione per violazione della Dir. 1999/70/Ce e dei tribunali davanti ai quali questo contratto accenderà sicuramente nuovo contenzioso. Stupisce, in realtà, che il governo ignori che a norma di tale direttiva il contratto a termine deve obbligatoriamente essere giustificato da condizioni oggettive (causa) e devono essere evitati abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti/rapporti a tempo determinato. E stupisce pure che ignori che, a norma della stessa direttiva, per prevenire detti abusi, gli stati membri, previa consultazione delle parti sociali e/o le parti stesse, debbano introdurre misure relative alle ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo di detti contratti/rapporti, alla durata massima dei contratti/rapporti successivi e al numero dei rinnovi, per cui Renzi non può liquidare la questione svicolando dietro un trito e ritrito “Cgil chi?” o un “i sindacati non mi interessano” o un “se ne facciano una ragione”.

  7. Luca

    Forse siamo noi a dovercene fare una ragione: Renzi è telecomandato. E chi lo controlla ha deciso che la nostra competitività dovrà essere aumentata con la svalutazione del fattore lavoro causata dalla precarietà, come nelle precedenti riforme del lavoro, come succede dagli anni novanta. Questo è il destino di chi accetta che sia inibito un altro mercato, quello delle valute. Chi paga il prezzo del fatto che c’è un differenziale d’inflazione del 12% accumulato dal 1996 ad oggi tra Italia e Germania? I lavoratori. Perché chi ha investito in euro si guarda bene dal lasciare che qualcuno svaluti i propri crediti.

    • Guest

      Perché all’estero, on average, si guadagna il 30% in più di base salary? Perché si scrivono editoriali come “Employment, Italian Style”, del 25 giugno 2012 sul Wall Street Journal (http://online.wsj.com/news/articles/SB10001424052702304898704577478111174204768)? Perché l’Industria in Italia è defunta? Perché si parla di tutele rispetto a lavoro che non c’è? Chi è il guidatore che va contromano?

      • luca

        L’industria italiana non è defunta dato che siamo ancora la seconda economia manifatturiera (fonte: Sole24ore).
        Il lavoro non ci sarà nemmeno se lo tuteli di meno, il problema è sostenere la domanda.

  8. Antonio Carlo Scacco

    Non riesco a capire dove la direttiva 1999/70/Ce dice che il contratto a tempo determinato debba essere obbligatoriamente giustificato da ragioni oggettive.

    • Avv. Giulio Fedele

      Legga meglio l’accordo obbligatorio Ces-Unice-Ceep, allegato come parte essenziale della direttiva 1999/70/Ce: in particolare il comma 1 della clausola n. 3 (Definizioni), il comma 1, lett. a) della Clausola 5 (Misure di prevenzione degli abusi), oltre al punto 7 delle Considerazioni Generali.

      • Antonio Carlo Scacco

        Letto. Ma bisognerebbe leggere anche interpretazioni Corte Giustizia.

        • Avv. Giulio Fedele

          Cosa c’è da interpretare? La norma è chiarissima. Comunque, legga anche le interpretazioni della Corte di Giustizia e delle corti nazionali, se ne farà una ragione!

  9. Luca

    Nessuno investe in Italia da quando? Dall’entrata nell’euro ha visto com’è aumentato il debito privato?
    Sono stati i capitali stranieri, attirati dalla soppressione del rischio di cambio e da tassi d’interesse maggiore a far crescere in Italia investimenti e consumi (si ricorda i mutui 100%?).
    In italia non c’è lavoro perché non c’è domanda interna e non c’è domanda interna perché c’è stata l’austerità e c’è stata l’austerità perché sono arrivati troppi capitali stranieri che con la crisi del 2008 rischiavano di non essere più rimborsati. Dia un’occhiata al dato del bilancio delle partite correnti in rapporto al Pil: http://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=MEI_BOP#
    Non inizia a migliorare in concomitanza delle politiche di austerità?

  10. Luca

    Ma se tutte le imprese svalutano il fattore lavoro (diminuiscono gli stipendi, licenziano, precarizzano) poi dove la trovano la domanda per vendere i loro prodotti e servizi?

    • Piero

      Obbligare le imprese al mantenimento occupazionale per sostenere la domanda e vendere i loro prodotti non penso che possa essere un valido motivo per il funzionamento del mercato del lavoro.

      • Luca

        Già il mercato. Vorrei che si ripristinasse anche il mercato delle valute nazionali europee. Oppure, tutti i mercati sono uguali ma quello delle valute è più uguale degli altri?

  11. Maurizio Cocucci

    Affermare che per il/un governo il problema principale del lavoro sia la rigidità dei contratti è un po’ eccessivo. Il lavoro lo chiedono le imprese, i lavoratori lo offrono e la domanda dei consumatori in beni e servizi in sostanza lo quantifica. Quindi più si vende (o meno), più si produce (o meno), più (o meno) necessità di lavoro si determina e di conseguenza più richiesta di assunzioni (o dismissioni) da parte delle imprese si verifica. In tutto questo quale ruolo gioca il/un governo? Spesa pubblica a parte il ruolo che può esercitare lo Stato è quello di regolamentare il mercato del lavoro facendo da terzo soggetto (istituzionalmente super partes) tra le parti sociali. In questo modo può favorire o meno le assunzioni in presenza di una fase crescita della domanda. Uno degli aspetti sfavorevoli che a mio avviso caratterizza il mercato del lavoro in Italia è la centralizzazione degli accordi sindacali, perché se un contratto vale per l’intera categoria è chiaro che le imprese nel loro insieme punteranno al ribasso nella loro offerta. Se invece fosse decentralizzato si verificherebbe una sorta di concorrenza per cui alcune imprese offriranno di più, sia in termini economici che di organizzazione del lavoro, e altre meno e come dati statistici confermano quelle che investono di più sul fattore umano, ovvero sulla professionalità dei collaboratori, ottengono risultati maggiori e superano più agevolmente i periodi di difficoltà. Contrariamente quelle per cui un collaboratore è solamente un costo necessario è bene che alla prima crisi chiudano. È un bene anche per chi ci ha lavorato perché ha la possibilità di essere assunto in una azienda del primo tipo e in un mercato flessibile non dovrebbe essere un problema in quanto la quantità del lavoro complessivo dipende dalla domanda aggregata, non dall’offerta. Però in tutto questo, e qui veniamo all’oggetto dell’articolo, occorre che ciascuna impresa abbia la possibilità di essere sicura delle capacità dei collaboratori e collaboratrici da assumere, in particolare al momento di passare ad una forma di rapporto a tempo indeterminato. Deve poi essere messa in condizioni di sciogliere il rapporto di lavoro qualora le circostanze lo richiedessero. Ecco perché è assolutamente necessario ridurre la rigidità normativa sia nella fase di ingresso che in quella di uscita. Nessuna impresa assume perché c’è l’offerta speciale (mi passi la battuta) verso nuove assunzioni o licenzia un dipendente che assolve adeguatamente il proprio compito.

    • franprin

      l’ottimo Riccardo Iacona e i Suoi ieri sera ci hanno fatto vedere come milioni di lavoratori schiavizzati in Bangladesh: lavorano per 28 euro al mese. Se non si combatte su questo fronte e sul fronte di un nuovo modello di sviluppo tutte le altre speculazioni sono masturbazioni mentali. Molti sindacalisti anche a livello nazionale non sanno neppure dov’è il Bangladesh. E vogliamo parlare della stampa o dei partiti?

      • Luca

        Già il problema è che le aziende delocalizzano e creano disoccupazione. Poi però Confindustria (a cui sono iscritti molti imprenditori che hanno delocalizzato) ti dice che non bisogna uscire dall’euro. Eh sì, perché uno che delocalizza, oltre che per andare in un paese con bassi stipendi lo fa per avere costi in moneta locale e ricavi in moneta pregiata (euro). Se usciamo dall’euro e la lira si svaluta sai che sberla si prendono questi difensori dell’europeismo! Poi c’è pure il rischio che qualcuno di loro si veda costretto a tornare nell’Italietta corrotta e mafiosa (perché invece in Cina, India e Bangladesh di corruzione e criminalità non se ne sente mai parlare).

  12. salvatore

    Ho letto con interesse tutto quanto scritto, ma sono convinto che il problema da “aggredire” sia la corruzione e la criminalità organizzata che ne fa largo uso. Quanto incidono questi fattori sulla attività produttiva? Quale è il costo/paese che aggrava il costo del personale? Se non si attacca questo non si va da nessuna parte e il “bravo” Renzi si dimostrerà il solito quaquaraquà.

    • Luca

      Costo del personale? In Italia non è alto: http://www.linkiesta.it/costo-lavoro-italia-europa
      E qual’è il fattore che peggiora il fatturato dell’imprenditore? Sarà forse la perdita di competitività causata dalla differenza accumulata dei tassi d’inflazione con paesi come la Germania (circa il 12% dal 1996)? Come facciamo ad avere la stessa moneta e tassi d’inflazione differente? Semplice, il cambio reale è diverso, quindi di fatto già esiste un euro italiano (sopravvalutato) e uno tedesco che, non potendo rivalutare, è come se attuasse una svalutazione competitiva.

  13. michele

    Possiamo commentare dopo l’uscita del decreto? Altrimenti si costruiscono testi del decreto a nostro uso per poterli smontare meglio in commenti e articoli. Ora come ora ci sono solo indiscrezioni senza fondamento.

  14. francesco

    Forse la gentile Prof. Saraceno mi potrà chiarire un dubbio che ho da un po’ di tempo:
    Ma perchè il detto “la legge è uguale per tutti” in questo paese non si applica mai? Anche nei contratti di lavoro si fa differenza tra giovani e non giovani, garantiti e non garantiti, precari e non precari etc.?
    Il famoso “contratto unico” (senza “tutele crescenti”) non sarebbe una bella idea?
    In questo paese non esistono più stupidi e meno stupidi, tutti i cittadini devono essere uguali: possono eventualmente essere pagati poco, tanto, di più o di meno in base all’esperienza (che in linea di massima è crescente con l’età anagrafica, ma non necessariamente…)
    grazie e complimenti per l’articolo con cui concordo pienamente.

  15. Matteo Arru

    Lavorare dove non ce n’è bisogno crea inefficienza. Certo dover ricollocarci è uno stress non c’è dubbio ma ci sono settori dove l’over occupazione forzosamente mantenuta con regole rigide sta affossando l’economia e con essa la sostenibilità a medio lungo dell’occupazione stessa. Penso ad esempio alla PA dove a scopo elettorale il corpo è inaccettabilmente alto e dove non c’è un mercato, ma solo le tasse a sostenerlo. Vedo di buon occhio la scelta coraggiosa di cominciare una politica di ricollocazione ed esuberi in questo settore. (ed io sono un dipendente pubblico)

  16. niccolò

    Brava ! Consiglierei inoltre di estendere l’attuale regolamentazione in vigore nelle aziende con più di 15 dipendenti anche a quelle con meno di 15. In fondo gli ultimi 30 anni di leggi ultraliberiste sul lavoro hanno portato l’italia al vertice delle nazioni mondiali per produttività, tasso di occupazione e attrattività di investimenti esteri. Inoltre vieterei i contratti a termine, riformerei l’apprendistato (con condanna penale con un minimo di 2 anni di reclusione per chi non conferma gli apprendisti al termine del ciclo di formazione) e limiterei il periodo di prova al massimo periodo di un giorno.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén