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La prima riforma è superare il bicameralismo

Prima di pensare a una riforma della legge elettorale, è necessario differenziare i compiti di Camera e Senato. Dai confronti internazionali, si vede infatti che l’Italia è uno dei pochissimi paesi che mantiene un bicameralismo perfetto. Da abbandonare anche l’idea di un Senato delle Regioni.
I COMPITI DI CAMERA E SENATO
Non si può fare una riforma elettorale, se contemporaneamente (o prima) non si definiscono i compiti delle istituzioni parlamentari, la cui revisione è già piuttosto impegnativa e urgente. La (ri-)proposta qui presentata rimanda perciò a un eventuale momento successivo modifiche costituzionali diverse dalle funzioni legislative. (1)
Tra i 193 paesi seguiti nell’Inter-Parlamentary Union database, è difficilissimo trovare un sistema di bicameralismo “perfetto” come quello vigente in Italia, con due Camere dalle identiche funzioni, che devono approvare un identico testo legislativo. In quasi tutti i paesi del mondo si è ritenuta valida la sentenza dell’abate Sieyès, per il quale due Camere che la pensano in modo identico sono inutili, mentre due Camere che la pensano in modo diverso sono dannose. E di conseguenza, si sono distinti i compiti e si sono definite regole di preminenza nell’approvazione delle leggi. Il problema, in Italia, non è che il Senato ha potenzialmente maggioranze diverse dalla Camera, ma che il Senato ha gli stessi compiti e procedure della Camera. Se i compiti sono diversi e l’eventuale approvazione bicamerale delle leggi è regolamentata opportunamente, non servono regole elettorali che portano a medesimi risultati per le due assemblee, ma possono coesistere (e sono utili) regole diverse.
Nel mondo, 114 paesi hanno un sistema parlamentare monocamerale e 79 un sistema bicamerale. In generale, hanno un sistema monocamerale i paesi piccoli, le ex colonie, gli ex paesi comunisti. Nella tavola allegata sono indicati i paesi con una assemblea di almeno 300 parlamentari (e in grassetto, quelli con assemblee di almeno 500 membri). Tra i paesi con sistema bicamerale che hanno contemporaneamente più di 500 rappresentanti nella Camera bassa e più di 200 nella Camera alta figurano Egitto, India, Francia, Italia e Regno Unito.
Il “Gruppo dei saggi”, nominato da Giorgio Napolitano, ha proposto una Camera di 480 deputati (630 attualmente) e un Senato di 120 membri (oggi 320). Sembra una scelta ragionevole. Nella nostra proposta andrebbero aggiunti, da decidere se con o senza diritto di voto, i senatori a vita, nel numero oggi previsto; e i rappresentanti delle assemblee regionali, con compiti di collegamento-coordinamento tra queste e il Senato, nel numero di 40 (due per Regione e solo uno per Valle d’Aosta e Molise).
La riduzione dei deputati e dei senatori è volta ad aumentare l’efficacia delle due Camere, e solo in seconda istanza al fine, pur lodevole, di ridurre “i costi della politica”.
In base alle esperienze internazionali, in sintesi, i compiti andrebbero così ripartiti tra Camera e Senato (ovviamente con modifica costituzionale): (2)
– la sola Camera dà e toglie la fiducia al Governo; approva il bilancio dello Stato.
– la Camera approva in prima lettura, e poi in sede definitiva, dopo una eventuale lettura limitata nel tempo e non vincolante del Senato, tutte le leggi che presentano significativi oneri finanziari, nonché quelle che riguardano compiti di legislazione esclusiva dello Stato (da definire, con maggiore precisione, al secondo comma dell’art. 117 della Costituzione). (3)
– il Senato approva in prima lettura, e poi in sede definitiva, dopo una lettura obbligatoria ma non vincolante della Camera, le leggi statali in materia di legislazione concorrente e con oneri finanziari non significativi. (4)
– la Camera e il Senato approvano le leggi in materia elettorale, di organi di governo e funzioni fondamentali dei comuni e delle città metropolitane (si concorda di eliminare qui e in ogni altra parte della Costituzione qualsiasi riferimento alle province, così soppresse come organo politico e che possono sussistere solo come modalità di decentramento amministrativo dello Stato). In caso di disaccordo tra Camera e Senato, si farà riferimento a una conferenza intercamerale paritetica, il cui testo potrà solo essere approvato o respinto dalle due Camere, senza alcuna modifica.
– per le leggi di revisione costituzionale e le altre leggi costituzionali vale l’attuale regime dell’art. 138 della Costituzione.
Il Senato perde quindi the power of the purse e il pregnante controllo politico sul Governo, ma gli vengono attribuiti significativi poteri ordinamentali in materie di interesse regionale e locale. Definiti così i loro compiti, si può pensare alle modalità d’elezione delle due Camere. (5)
QUALE SISTEMA ELETTORALE
Dalla tavola 1 si evince che il sistema proporzionale è predominante, con il 40 per cento dei casi, nei sistemi monocamerali, mentre il sistema maggioritario è il più utilizzato per la Camera bassa, in particolare per il 43 per cento nei sistemi bicamerali (il proporzionale è utilizzato nel 34 per cento dei casi).
Per la Camera alta predomina un sistema misto o di altro tipo (40 per cento), date le varie funzioni e tradizioni storiche delle assemblee, seguito dal sistema maggioritario (con il 38 per cento); si ha elezione indiretta dei rappresentanti nel 32 per cento dei casi e i membri sono nominati senza elezione nel 28 per cento dei paesi. L’elezione diretta aumenta ovviamente il ruolo dei rappresentanti e dell’istituzione.
Tenuto conto delle indicazioni dei confronti internazionali, ma soprattutto dell’importanza di ridare maggior ruolo agli elettori nella scelta dei propri rappresentanti, senza discutibili premi di maggioranza e limiti di voti per la presenza partitica (peraltro già limitata dalla riduzione del numero complessivo di rappresentanti) e senza preferenze multiple che favoriscono i voti di scambio, per la Camera si propone un sistema maggioritario a doppio turno, lasciando ai partiti solo alcuni posti (80 deputati?) per personalità significative a livello nazionale, da ripartirsi con un criterio proporzionale ai voti ricevuti al primo turno. Perché la scelta sia effettiva, un candidato non dovrebbe potersi presentare in più collegi uninominali (al massimo potrebbe essere consentita la copresenza nella lista nazionale proporzionale). Personalmente, non ritengo che l’introduzione di un sistema simile debba essere affiancata dall’elezione diretta del Capo dello Stato; comunque si dovrebbero avere quesiti referendari distinti, in quanto già nel giugno 2006 la maggioranza degli italiani ha mostrato uno scarso gradimento per riforme costituzionali con campo d’intervento troppo vasto.
In generale, il sistema maggioritario favorisce l’aggregazione delle forze politiche e la costituzione di un Governo più forte, favorendone contemporaneamente la sostituzione se risultasse inappropriato.
Per il Senato, alcuni vorrebbero un non meglio definito “Senato delle Regioni”, oscillando poi tra una elezione diretta (tipo il Senato americano) o indiretta (tipo il Bundesrat tedesco), senza tener conto che queste assemblee derivano da altro processo storico, in cui la rappresentanza dei “diversi stati” era molto più fondata di quello che è il peso delle Regioni in Italia. Inoltre una rappresentanza regionale paritetica (o quasi) è criticabile per il maggior peso attribuito alle realtà piccole, che favorisce la crescita della spesa pubblica, come insegna l’esperienza americana. Non sarebbe chiaro perché in Italia dovrebbero avere una sovra-rappresentanza rispetto al peso della propria popolazione lRegioni come Valle d’Aosta, Molise, Basilicata, Umbria, Trentino – Alto Adige, Friuli Venezia – Giulia, Abruzzo, Marche, Liguria, Sardegna e Calabria. Inoltre, spesso si pensa al Senato delle Regioni come al luogo in cui si ripartiscono fondi e si decidono progetti specifici, confondendo i ruoli delle assemblee legislative statali con quelli delle assemblee regionali o, peggio, con quelli degli esecutivi statali e regionali, le cui funzioni potrebbero essere coordinate nella sede della Conferenza Stato – Regioni.
Pertanto, per il Senato la rappresentanza eletta per Regione dovrebbe essere proporzionale alla popolazione e ai voti ricevuti dai singoli partiti nelle singole Regioni (mantenendo il riferimento alla base regionale esistente nella Costituzione). La scelta degli elettori potrebbe essere con doppia preferenza e distinzione di sesso. Un sistema elettorale proporzionale eviterebbe la dittatura della maggioranza nelle scelte ordinamentali, garantendo una rappresentanza anche delle forze politiche minori.
Se pure si creasse una discrasia tra le maggioranze delle due assemblee per la diversità delle leggi elettorali, date le diverse funzioni, non inficerebbe l’attività del Governo (in particolare l’attività di indirizzo economico) e potrebbe essere di stimolo a una attività ordinamentale di qualità e lunga lena. Anzi, si potrebbe addirittura pensare a un Senato di durata doppia rispetto alla Camera e con elezione di metà degli eletti a ogni elezione della Camera (come in vari paesi), con rappresentanti delle assemblee legislative regionali che cambierebbero al momento delle elezioni di quest’ultime.
(1) Per molti aspetti si ripropone qui quanto già presentato in un articolo apparso in lavoce.info del 29-08-2006 di G. Pisauro e G. Salvemini.
(2) Sulle modalità di decisione dei sistemi bicamerali si può vedere anche la tav. 3 in G. Pisauro e G. Salvemini, La riforma costituzionale dopo la prima lettura del Senato e della Camera: aspetti istituzionali e finanziari, Rivista di diritto finanziario e di scienza delle finanze, 2004.
(3) Dovranno essere definiti in sede parlamentare, o dalla Corte costituzionale, i limiti di questa significatività.
(4) Il comma 3 dell’art. 117 della Costituzione dovrebbe leggersi così: “Sono materie di legislazione concorrente tutte quelle non indicate al comma precedente. Nelle materie a legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Sarebbe soppresso nel medesimo articolo il comma 4, riguardante la legislazione esclusiva delle Regioni.
(5) Se esistesse un accordo di massima su questi punti tra la maggioranza delle parti politiche, si potrebbe anche procedere all’approvazione della legge elettorale, prima che il corso della riforma costituzionale fosse completato.
 
 
Tavola 1 – I sistemi parlamentari nel mondo, modalità d’elezione
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  1. Roberto Simone

    Forse uscire dal bicameralismo perfetto implica anche rivedere il sistema di pesi e contrappesi che deve rendere possibile l’equilibrio fra i poteri dello stato, cosa che tanto banale non dev’essere dal momento che se ne parla da vent’anni con i risultati che abbiamo tutti sotto gli occhi.
    Forse sarebbe il caso di sistemare la legge elettorale in modo da rendere il sistema funzionante e impedire che si ricada un’altra volta nello stallo che abbiamo vissuto in caso di elezioni anticipate e solo dopo discutere di come rendere più efficiente lo Stato. Anche in considerazione di una crisi economica sempre più grave che dovrebbe essere urgentemente “governata” e non subita.
    Forse non è solo il bicameralismo perfetto il problema del nostro paese, dal momento che l’intera nostra classe politica ha abdicato al suo ruolo prima rifugiandosi in un governo tecnico poi nascondendosi dietro le fragilissime spalle di un uomo di 88 anni eletto per la seconda volta Presidente della Repubblica (caso unico nella storia repubblicana) infine salendo su un unico carrozzone in cui tutti sembrano uguali e tutti si sentono ir-responsabili e come tali si comportano.
    Forse la Costituzione sta diventando un comodo alibi: sono le regole che non funzionano non le teste bacate della peggiore “classe dirigente” (non solo politica) della storia.
    Forse la statistica su come funzionino gli altri stati in questo caso è abbastanza insignificante e sarebbe meglio partire da un punto di vista storico per decidere la strada da intraprendere.
    Da un uomo con un curriculum così ammirevole sinceramente mi aspettavo un contributo decisamente superiore.

  2. paolo

    concordo in pieno sul superare questa unicità italiana del bicameralismo “perfetto” che, nei fatti, ha prodotto solo allungamento dei tempi, impennata dei costi e soprattutto una produzione normativa caotica che non favorisce -anzi ostacola- la vita della comunità.

  3. Libero pensiero

    Editoriale condivisibile, in toto. Proposte da associare- sulla scorta dei rilievi espressi da Roberto Simone – ad un CURSUS HONORUM. Servono manager, non albatros urlatori, nè bivaccatori.

  4. antonio gasperi

    ringrazio il professore per l’accurata analisi di diritto costituzionale comparato, tuttavia mi permetto un’osservazione sul cronoprogramma suggerito: che sia indifferente riformare prima il bicameralismo piuttosto che la legge elettorale potrà essere vero in riferimento alle funzioni delle due camere, tuttavia non lo è per la forma di governo, dal momento che l’attuale legge elettorale, con l’indicazione del candidato premier, implicherebbe quella modifica della costituzione che è stata respinta nel 2006, una sorta di premierato forte. è questa la ragione principale per la quale una parte politica si è finora nei fatti opposta alla modifica del cd. Porcellum.

  5. henricobourg

    Condivido quasi tutto, ma non capisco perché il professor Salvemini appoggia o accetta un sistema misto con 80 deputati eletti sul liste suppongo bloccate, una soluzione nell’interesse dei partiti e partitini. Non si può avere tutto, rispettare le regole della democrazia (cioè i dritti elettorali attivi e passivi dei cittadini) e accontentare le segreterie dei partiti. Se l’attuale legge è di dubbia conformità costituzionale (Cass. 17 maggio) perché tutti i deputati sono nominati, perché lo stesso vizio diviene un tecnicismo accettabile di ingegneria elettorale se viene applicato a solo un quinto o un sesto di loro? Non comprendo. La tabella comparativa ha poco valore, perché se dovessimo fare come gli altri e solo come la stragrande maggioranza in Europa (l’80% dei parlamenti europei è sono eletti con sistemi proporzionali di lista, di solito rigide o bloccate), dovremmo tenerci la 270/2005, ripristinando magari le preferenze facoltative della tradizione repubblicana. Non comprendo nemmeno perché le preferenze multiple si presterebbero al voto di scambio e quelle singole no; meno forse, perché gli addetti dell’ufficio elettorale possono aggiungere la preferenza di mano loro solo sulle schede dove la preferenza non è espressa. L’alternativa vera è fra voto per candidati o voto di lista; il sistema francese come quello delle democrazie più antiche e più robuste sono tutti individuali, mentre i paesi di tradizione corporatista hanno scelto dopo la prima guerra il sistema proporzionale di lista che ha creato il potere dei partiti, un potere che adesso più nessuno riesce a toglierli, nemmeno in Germania! Henri Schmit

  6. Fabio Trentin

    Per quali ragioni tecniche non abolirlo del tutto?

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