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Sorpresa: c’è una tassa che aumenta la disciplina fiscale

L’imposta sulla proprietà non è solo una forma di tassazione meno distorsiva di altre. Applicata a livello locale, sembra anche aumentare la disciplina fiscale generale. Meccanismi che incentivano i politici locali a essere responsabili e gli elettori a informarsi sui costi dei programmi di spesa.

TASSE SULLA CASA E FINANZE PUBBLICHE

Il rapido aumento dell’indebitamento pubblico in molte economie avanzate e la conseguente necessità di trovare strumenti efficienti per consolidare le finanze pubbliche hanno alimentato un vivace dibattito su vizi e virtù dell’imposta sulla proprietà, in particolare per quanto riguarda l’Imu. Meno di un anno fa, l’Economist scriveva che “tassare la proprietà di terreni e immobili è uno degli strumenti più efficienti e meno distorsivi che i governi hanno a disposizione per recuperare risorse”. (1)
Tuttavia, il dibattito non ha affrontato il legame tra un maggiore peso attribuito all’imposta sulla proprietà all’interno delle entrate del settore pubblico e la disciplina fiscale di un paese. È lecito aspettarsi che una diversa composizione del sistema tributario, più orientata verso la property tax, permetta di migliorare lo stato dei conti pubblici? Rispondere a questa domanda consentirebbe di inquadrare il dibattito su un piano più oggettivo, con l’intento di disegnare un piano di consolidamento fiscale che sia il più possibile efficiente ed equo.

L’EFFICIENZA E I LIMITI DELL’IMPOSTA SULLA PROPRIETÀ

L’imposta sulla proprietà risponde a un principio di efficienza generale: poiché colpisce essenzialmente la ricchezza accumulata, genera meno distorsioni nell’allocazione delle risorse e nelle scelte degli individui rispetto ad altre forme di tassazione, quali imposte sul reddito e sul “consumo”. Inoltre, poiché la sua base imponibile è per larga parte immobile (terreni, fabbricati, abitazioni, eccetera), il gettito che ne deriva si è rivelato più stabile e prevedibile rispetto a quello di altre entrate.
L’imposta sulla proprietà può dar luogo anche a un effetto di incentivo a livello locale, dato che, specialmente per la sua parte immobile, è spesso assegnata in via esclusiva ai livelli inferiori di governo. Quindi, l’imposta sulla proprietà può, da un lato, disciplinare la classe politica locale, rendendola più “responsabile”. Dall’altro lato, le imposte sulla proprietà dovrebbero rendere gli elettori più sensibili ai cambiamenti di aliquota o di perimetro della base imponibile e, perciò, più attenti all’operato degli amministratori locali. Questi meccanismi dovrebbero altresì favorire la riduzione dei costi di fornitura dei servizi locali.
Non mancano però i potenziali limiti dell’imposta sulla proprietà, che ne possono annullare l’effetto positivo sul bilancio pubblico. Un maggior ricorso all’imposta sul patrimonio potrebbe scoraggiare gli individui ad accumulare ricchezza portandoli a ridurre la loro propensione a risparmiare e investire, con effetti potenzialmente negativi sull’economia. In aggiunta, le imposte sui trasferimenti di proprietà potrebbero ridurre il numero delle transazioni sul mercato e aumentare la volatilità dei prezzi. Da un punto di vista operativo, resta poi ancora piuttosto problematica e costosa un’accurata e corretta valutazione degli immobili, con il risultato di rendere l’imposta iniqua, a causa della divergenza tra il valore legale della proprietà e il suo prezzo di mercato. Infine, va sottolineato come la property tax risulti uno strumento che incontra forti opposizioni, legate prevalentemente alla trasparenza dell’imposta, che ne rende più difficile l’evasione.

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QUALI EFFETTI PREVALGONO?

Per rispondere alla domanda iniziale e capire quali tra effetti positivi e negativi prevalgono, in un recente lavoro abbiamo analizzato il legame tra l’imposta sulla proprietà e il saldo primario del settore pubblico (in rapporto al Pil). I dati utilizzati coprono un campione di ventidue economie avanzate, tra cui l’Italia, su un arco temporale che va dal 1973 al 2011. Nel campione, le entrate dovute a imposte sulla proprietà contano, in media, per meno del 6 per cento delle entrate tributarie complessive, ma costituiscono oltre un terzo delle entrate tributarie dei governi locali.
Dall’analisi dei dati non emerge alcuna correlazione tra il grado di utilizzo della property tax a livello centrale e il saldo primario. Tuttavia, se si considera il ricorso alle imposte sulla proprietà a livello locale, si osserva una correlazione significativa e positiva tra tale componente (in rapporto al totale delle entrate locali) e il saldo primario del settore pubblico.
Il risultato è direttamente imputabile a un effetto composizione della struttura di prelievo locale, poiché l’analisi tiene conto dell’impatto che il grado di decentramento delle entrate ha sulla disciplina fiscale.
Sebbene l’interpretazione di questi risultati debba tener conto di potenziali problemi di endogeneità (ad esempio, il governo centrale potrebbe dare agli enti locali la possibilità di incrementare le imposte sulla proprietà con l’obiettivo di migliorare il bilancio pubblico), il possibile effetto “benefico” della local property tax è rilevante anche dal punto di vista economico: un aumento dell’1 per cento del suo gettito è associato a un miglioramento del rapporto tra saldo primario e Pil dello 0,6 per cento.

DARE AUTONOMIA PER AVERE RESPONSABILITÀ

La nostra analisi suggerisce che l’effetto virtuoso della property tax non è imputabile a un risultato di efficienza generale, quanto piuttosto a meccanismi che a livello locale incentivano i politici a essere responsabili e gli elettori a essere informati dei costi dei programmi di spesa.
Alla luce di questo risultato, le recenti riforme istituzionali volte a rafforzare le regole fiscali e il controllo delle finanze pubbliche dovrebbero tenere in maggiore considerazione il tipo e il grado di autonomia degli strumenti fiscali utilizzati. Ferma restando la necessità di agire prioritariamente sul lato della spesa, un passo importante per garantire la disciplina fiscale a livello nazionale sembra essere quello di affidarsi, a livello locale, a basi imponibili “reattive” e capaci di responsabilizzare gli amministratori locali.

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(1)“Taxing land and property is one of the most efficient and least distorting ways for governments to raise money”, The Economist, June 29th, 2013. Studi recenti confermano questa posizione e mostrano che le imposte sulla proprietà (property tax) sono quelle che deprimono meno la crescita economica. A ciò va aggiunto che gli effetti redistributivi della property tax possono contribuire a mitigare la rapida crescita delle disuguaglianze all’interno delle economie avanzate.

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14 commenti

  1. Asterix

    Una domanda ma avete visto come funziona la property tax in Italia? Perchè è proprio l’opposto di un processo di responsabilizzazione dei Comuni. Prendiamo l’IMU che doveva colpire anche le abitazioni principali cioè quelle dei residenti nel comune che votano alle elezioni. Dopo battaglie politiche sono state tolte e contemporaneamente aumentate le tasse sulle seconde case ed sugli immobili di imprese (che non votano). Non bastavano le risorse allora hanno introdotto la TASI per reintrodurre sotto mentite spoglie la tassa sulle abitazioni principali, però anche qui per non gravare troppo sugli elettori hanno di nuovo incrementato l’aliquota TASI sulle 2 case ed immobili di imprese. Passiamo infine alla TARI tassa sui rifiuti urbani e scopriamo che con le ultime modifiche hanno spostato il peso fiscale dall’utenza domestica (che vota) alla utenza non domestica, che tra l’altro neanche produce rifiuti urbani da smaltire presso le discariche comunali ma che produce rifiuti speciali da smaltire tramite privati autorizzati a spese dei produttori (altrimenti scattano i reati ambientali). Tutto questo per assicurare gettito e non dover tagliare nel sottobosco delle partecipate comunali che gestiscono i servizi ai cittadini, evitare di ridurre sprechi e stipendi, di tagliare personale inutile (assunto per motivi elettorali) e migliorare il servizio. Questa fiscalità immobiliare responsabilizza secondo voi?

    • AM

      Condivido al 100% questo commento. Asterix ha centrato in pieno il problema e ha tracciato obiettivamente la storia della tassazione delle proprietà immobiliari. Dovrei aggiungere che in realtà esisteva già una patrimoniale occulta prima dell’introduzione dell’ICI, aggravata dal passaggio all’IMU. Si trattava dell’IRPEF sulle case sfitte che colpiva un reddito solo figurativo. Espediente per una patrimoniale mascherata da imposta su redditi inesistenti. Certo in economia vi sono anche redditi figurativi, ma non meno importanti sono i costi figurativi di cui il Fisco non ha mai tenuto conto. Per un minimo di coerenza se si tiene conto dell’elemento figurativo non lo si può ignorare quando fa comodo.

  2. MG_in_Progress

    In effetti non si é mai capito (ovvero si sa, ma l’abolizione dell’IMU é stata profondamente sbagliata, distorsiva e non in linea con il resto dei paesi europei oltre che ad avere coperture balorde tip Banca d’Italia) perché si sia spinto per l’abolizione della tassa sulla proprietà che è l’unica veramente federalista e poteva permettere un controllo delle spese locali e comunali da parte degli stessi cittadini.

  3. piertoussaint

    grazie agli autori, e grazie ad Asterix, che ha ben commentato. Qui, mi permetto di aggiungere solo che, a mio parere, è bene tener presenti -tasse locali o tasse centrali – i mega-sprechi, fatti dallo Stato, del soldo pubblico.

    Mi sa che ormai, purtroppo, siamo alla frutta…

  4. Riccardo

    Uno dei problemi di una tassazione patrimoniale è che questa è slegata al reddito. Certo è lecito aspettarsi una correlazione positiva e statisticamente molto significativa, ma si tratta sempre di una relazione imperfetta. In un paese come il nostro dove la proprietà della prima casa è (per fortuna, visto il poco welfare che abbiamo) molto diffusa, questa tassa rischia di colpire in modo sproporzionato chi non può pagare perché, pur avendo una casa, non ha al momento un reddito sufficiente.
    Esempio: una famiglia con lavoratore di 50 – 55 anni che ha una casa di proprietà ma ha appena perso il posto di lavoro (con zero speranze di poterne trovare uno nuovo). Una tassa come questa rischia di togliere a questa famiglia perfino la casa, dopo aver già perso il lavoro. E’ un problema serio e importante per la tipologia di proprietario immobiliare che abbiamo in Italia.
    Aggiungo, ma avevo già accennato sopra, che incentivare le famiglie ad acquistare una casa genera importanti ricadute positive per i conti pubblici: il mutuo è una forma di risparmio forzoso che, al termine, produce un capitale (la casa). Inoltre una persona con una casa sua peserà meno sulle spalle dello stato se in difficoltà (quantomeno ha un tetto dove stare).
    Insomma a mia opinione personale una tassa sulla proprietà della prima casa in Italia non può essere applicata in modo meramente proporzionale ma dovrebbe essere fortemente progressiva e prevedere un’ampia area di esenzione (tra il 30 e il 50% delle prime case in Italia).

  5. Bumblebee

    Anche nell’amministrazione del prelievo fiscale l’Italia, purtroppo, si rivela un paese di serie B se non C, D, E, eccetera. Come nel Servizio della giustizia: 160mo su 180, nel Servizio delle galere- l’Italia è uno stato compreso tra quelli torturatori, eccetera).
    Non riesce a far funzionare neanche il Catasto, che nei paesi del nord Europa funziona da oltre due secoli. Poi ci raccontano dell’informatizzazione della P.A; sono ormai più di dodici anni che ci hanno promesso la Carta di Identità elettronica e l’anagrafe centralizzata della popolazione, eccetera.
    Lo Stato italiano non ha credibilità fiscale, continuando a modificare il sistema in modo irragionevole, e fingendo di diminuire il carico fiscale, mentre, invece, lo aumenta.
    Gli italiani si difendono in modo altrettanto irragionevole, comportandosi malissimo ed evadendo se possono.
    Ma questo comportamento è, anche, un “fallo di reazione” – una specie di autodifesa. Tutto fuorché la razionalità e la programmazione fiscale; precedenti regimi – vedi quello imperiale regio in Lombardia, e, forse, quello di Quintino Sella in Piemonte, funzionavano meglio.
    Se lo Stato italiano vuole ricuperare credibilità e prestigio, deve cominciare a comportarsi meglio, con una visione di medio-lungo periodo. La prima cosa da fare è quella di mettere a posto il Catasto, magari adottando il regime tavolare, che non lascia spazio all’evasione. Poi evitare l’attuale regime di espedienti irragionevoli, indegno di un paese civile. Finché il cattivo esempio verrà dall’alto, non ci si può aspettare che gli Italiani si comportino meglio.

  6. GianLuigi Miglio

    Oggi la tassa sulla casa è una patrimoniale sugli sfigati che hanno investito in una proprietà e non si sono tenuti i soldi nel materasso o in Svizzera. Io ho ereditato la casa dei miei genitori: ora sono ricco,
    anzi straricco. Il mio isee è all’ultima fascia.
    Peccato che la casa sia una fonte solo di spesa (Imu e rifiuti su tutti perché i non residenti bisogna tassarli di brutto visto che non votano) e i tentativi di svenderla andati a vuoto. Patrimonio è diverso da reddito. Poi andiamo anche a vedere quante nuove villette sono con piani interi agibili ma non abitabili che tutti sanno ma nessuno sanziona.

  7. Enrico

    Ho fatto i conti della Tasi leggendo la delibera del comune dove risiedo. Ah ma è l’Imu al 3,3 per mille, ed io che pensavo fosse una nuova tassa. E poi la giustificano con i servizi indivisibili, ma non mi torna che la base imponibile sia come quella dell’Imu e non a numero di componenti famigliari (le persone che godono dei servizi indivisibili lo fanno sia abitando in un monolocale che in un attico).

    • IlGranchio

      Perché qualcuno pensava veramente che l’IMU fosse veramente sparita? Qualcuno pensa veramente che si possano far sparire tasse senza ridurre le spese?

  8. IlGranchio

    Direi che è l’effetto di una tassazione trasparente e che si tocca con mano. Il contribuente deve tirare fuori i soldi dalle sue tasche.
    Molte altre tasse sono nascoste dai vari sostituti di imposta o incorporate nei prezzi. Non si vedono e quindi non si chiede conto di come vengono spesi i soldi ricavati dalle stesse.

  9. IC

    Imposta sulla proprietà meno distorsiva di altre? Mi pare un’affermazione generica e di controversa interpretazione. Lo stesso commento andrebbe bene per qualsiasi tipo di imposta dato che si potrebbero sempre immaginare altre imposte più inique e più distorsive. E poi quale imposta sulla proprietà? Un’imposta sul patrimonio complessivo dei residenti (sfuggirebbero sia gli italiani che hanno secretato parte il loro patrimonio e gran parte degli stranieri residenti in Italia che usualmente non compilano il Quadro WR) oppure solo su quello immobiliare presente in Italia? E poi un’imposta proporzionale o progressiva? Quest’ultima più distorsiva perchè colpirebbe soprattutto la parte alta del ceto medio mentre avvantaggerebbe i contribuenti ricchi che possono permettersi di pagare consulenti e banche in Italia e all’estero per mascherare o suddividere le loro proprietà

    • GB57

      Condivido il tuo commento, e francamente trovo piuttosto debole la costruzione dell’articolo, che a me sembra non dimostri niente. Il vero problema è che lo stato italiano non è mai stato capace di controllare il livello di evasione fiscale – che tutti sappiamo essere diffusa – ed ora sta inventandosi forme di tassazione patrimoniale nella speranza di recuperare sui patrimoni quello che ha perso sui redditi. Facendo finta di non sapere che chi ha evaso quasi sempre tiene anche il proprio patrimonio lontano dai radar dell’amministrazione finanziaria. Quanto al tema del controllo degli elettori sulla tassazione locale, vorrei ricordare che una quota crescente delle imposte locali è scaricata sulle seconde abitazioni, i cui proprietari non sono in condizione di controllare un bel niente. E’ il rovesciamento del principio della “no taxation without representation”.

      • IC

        Condivido pienamente il commento sulle seconde case. In molte località turistiche i proprietari delle seconde case sono spremuti dalla fiscalità locale e non ricevono servizi adeguati, mentre le amministrazioni comunali privilegiano in molti modi i pochi elettori (assunzioni in comune e nelle società comunali, parcheggi gratuiti, permessi di costruzione, di ampliamento e ristrutturazione, negligenza voluta nel controllo degli abusi edilizi, anche minori, etc). Quando si parlava di fare votare alle amministrative comunali anche gli stranieri avevo proposto di concedere il voto anche ai proprietari non residenti. Del resto un risparmiatore che ha investito in azioni può partecipare all’assemblea di Banca Intesa e a quella di Bpm. Sarebbe ingiusto ad esempio che alle elezioni comunali di Rapallo potesse votare un tunisino, che vota per posta anche alle elezioni in Tunisia e si negasse il voto a un pensionato milanese che vive a Rapallo almeno 6 mesi all’anno e che paga le imposte.

  10. Luigi Calabrone

    Parlare di “disciplina fiscale” tramite la “tasi” è puro umorismo nero. Basta leggere i giornali in questi giorni per vedere come l’Amministrazione dello Stato abbia toccato il fondo in termini di disordine, approssimazione, millantato credito e vessazione nei confronti degli italiani, che, oltre che a pagare in modo affannoso, saranno costretti a ricorrere a professionisti – pagati da loro – per adempiere a quanto richiesto.
    E’ una pagina nera del fisco, che, probabilmente, da quando esiste l’Unità d’Italia non aveva fatto peggio.
    La “tassa sul macinato” era certamente più motivata, più trasparente e meglio riscossa.
    Siamo il paese che qualche anno fa aveva promulgato una legge che si auto proclamava “Statuto dei diritti del contribuente”: una beffa vergognosa scritta sulla Gazzetta Ufficiale. Così gli Italiani perdono la fiducia verso chi li governa.
    Eppure, negli ultimi centocinquanta anni, non sono mancati in Italia studiosi di scienza delle finanze, che hanno insegnato che cosa e come tassare; evidentemente, l’Italia nel frattempo si è imbarbarita ed assomiglia sempre più ai paesi della sponda sud del Mediterraneo. Il prodromo dell’imbarbarimento era stato Amato nel 1993, che aveva cominciato con la patrimoniale al 6 per mille sui depositi, oggi confermata per sempre con la riscossione annuale al 2 per mille
    Ha ragione “il Granchio” che scrive qui sotto: meglio le accise occulte – le più ben nascoste quella sulle bollette dell’energia elettrica, fantasiosamente motivate con la scusa delle energie alternative – che spennano il contribuente, ogni due mesi, senza farlo gridare, facendogli almeno il piacere di evitargli la fila dal commercialista o dai Caf dei sindacati, a sua volta, finanziati dallo Stato mediante il prelievo fiscale/contributivo.

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