Il Tfr in busta paga dovrebbe stimolare consumi, domanda aggregata e occupazione. I dati suggeriscono che una quota tra il 5 e il 16 per cento di dipendenti del settore privato potrebbe decidere di spendere in consumi il flusso annuale del Tfr. Con un aumento del Pil tra lo 0,1 e lo 0,2 per cento. 
PER MOLTE FAMIGLIE NESSUN EFFETTO
In questi giorni si discute molto dell’opportunità che i dipendenti del settore privato possano decidere di ricevere in busta paga gli accantonamenti delle imprese per il trattamento di fine rapporto. La discussione riguarda in gran parte la convenienza del dipendente a liquidare parte del Tfr, gli eventuali oneri a carico delle imprese, gli effetti di scoraggiamento sulla previdenza integrativa, il trattamento fiscale del Tfr liquidato, gli oneri amministrativi e burocratici per lavoratori e imprese. Pochi tuttavia hanno fornito indicazioni sull’effetto della riforma sui consumi. In definitiva, la riforma viene proposta proprio per stimolare i consumi, la domanda aggregata e l’occupazione, ma non vengono date informazioni su quale potrà essere l’impatto della riforma. Trascuriamo per un momento gli aspetti fiscali e amministrativi, che pure rivestono grande importanza. Trascuriamo anche l’opportunità per il dipendente di liquidare parte del Tfr per acquisto della casa o spese mediche, già previsto dalla legislazione, seppure con alcune limitazioni. Trascuriamo infine il caso del licenziamento, e cioè la circostanza in cui il dipendente riceve il Tfr al termine del rapporto di lavoro, non all’età del pensionamento. Il possibile effetto sui consumi riguarda ovviamente solo i dipendenti del settore privato con un contratto a tempo indeterminato; esclude quindi i dipendenti del settore pubblico, dell’agricoltura e i lavoratori con contratti di lavoro precario. Gli studi sul consumo suggeriscono che per molte famiglie ciò che conta è il reddito vitale, non il modo in cui il reddito affluisce in un particolare mese o anno. Questo accade perché le famiglie cercano di mantenere un livello di consumo stabile nel corso del tempo, e utilizzano il risparmio e il debito per attutire le variazioni del reddito da un mese all’altro, da un anno all’altro o nel corso della vita. Per valutare l’effetto sui consumi della riforma, occorre in primo luogo ricordare che “il Tfr in busta paga” non rappresenta per un dipendente nuovo reddito, ma una semplice redistribuzione del reddito nel corso della sua vita lavorativa. In prima approssimazione, e tralasciando gli aspetti fiscali e amministrativi, dare la possibilità a questi lavoratori di ricevere il Tfr in busta paga non ha alcun effetto sui consumi. Potrebbe avere un effetto sulla composizione della ricchezza perché alcuni potrebbero, ad esempio, decidere di non investire nella previdenza integrativa, ma in altre forme di risparmio. Potrebbe naturalmente averlo anche sull’indebitamento delle famiglie, perché alcuni potrebbero utilizzare il Tfr per ridurre i debiti, piuttosto che aumentare i risparmi; ma, appunto, in entrambi i casi non si tratta di aumento di consumo. L’errore da non fare quindi è cercare di calcolare l’effetto sui consumi a partire da coloro che dichiarano di voler trattenere il Tfr in busta paga.
NON TUTTI POSSONO PRENDERE A PRESTITO
Non tutte le famiglie possono attutire le variazioni del reddito attraverso il debito e il risparmio, mantenendo un profilo dei consumi stabile nel corso della loro vita. Alcune famiglie vorrebbero poter utilizzare già ora per consumi una parte del proprio reddito futuro, per esempio il Tfr accumulato e vincolato in un fondo aziendale o previdenziale. Sono le cosiddette famiglie razionate nel mercato del credito: avranno un reddito più elevato in futuro (al momento della liquidazione), vorrebbero poter spendere di più oggi, ma non possono farlo perché non trovano credito, o lo trovano a tassi troppo elevati. Queste famiglie, in prima approssimazione, non risparmiano e spendono tutto il proprio reddito disponibile. Se quindi il loro reddito di oggi dovesse aumentare di 100 euro e il loro reddito di domani diminuire di 100 euro, il loro consumo di oggi aumenterebbe esattamente di 100 euro. Per queste famiglie quindi la cosiddetta propensione al consumo è esattamente uguale a uno (100 euro in più reddito in busta paga oggi vengono interamente spesi oggi).
MA QUANTE SONO QUESTE FAMIGLIE?
Calcolare il numero di famiglie che hanno una propensione al consumo unitaria, e che quindi spenderebbero in consumi il “Tfr in busta paga”, è possibile con l’aiuto di indagini sul comportamento dei consumatori. La tabella 1 sintetizza alcune informazioni disponibili per l’Italia. Un primo modo per calcolare il numero delle famiglie è chiedere se in un certo anno una domanda di finanziamento non è stata accolta. A questi vanno aggiunti coloro che non hanno chiesto un prestito semplicemente perché ritenevano che il credito non sarebbe stato concesso (i cosiddetti “debitori scoraggiati”). Si tratta di una percentuale di famiglie compresa tra 3,5 e 6,9, a secondo che si considerino dati relativi al 2010 o al 2012, il totale del campione o solo i dipendenti del settore privato.
Tabella 1 – Famiglie che spenderebbero il Tfr e quota di reddito

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% razionati nel mercato del credito % con propensione al consumo pari a 1
Tutto il campione (2010) 4,7 16,1
Solo dipendenti privati (2010) 6,9 15,2
Tutto il campione (2012) 3,5 11,2
Solo dipendenti privati (2012) 5,5 8,8
% di reddito da lavoro % di reddito da lavoro
Tutto il campione (2010) 5,1 12,6
Solo dipendenti privati (2010) 5,9 12,0
Tutto il campione (2012) 3,5 9,5
Solo dipendenti privati (2012) 4,2 8,4
Modello econometrico 1989-2006 16,0

Nota: I dati sono tratti dall’Indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie. Il dato riportato nell’ultima colonna si riferisce al periodo 1989-2004.
Un secondo modo è chiedere agli intervistati cosa farebbero se avessero un reddito aggiuntivo. Nel 2010 l’Indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie pone agli intervistati la seguente domanda: “Supponga di ricevere improvvisamente un rimborso pari a quanto la sua famiglia guadagna in un mese. Di questa somma quanta parte ne risparmierebbe e quanta ne spenderebbe?” (la domanda per il 2012 è simile, ma non identica). Complessivamente tra l’8 e il 16 per cento degli intervistati dichiara che spenderebbe il 100 per cento del reddito aggiuntivo in consumi. La seconda parte della tabella riporta la percentuale di reddito da lavoro delle famiglie razionate o con propensione al consumo pari a 1. Questa è generalmente minore della percentuale di famiglie razionate, perché i loro redditi sono inferiori alla media. Considerando i dipendenti del settore privato, la tabella 2 indica che si tratta di una percentuale compresa tra il 4 e il 12 per cento del reddito da lavoro. Infine, un modello econometrico che ho elaborato con Luigi Pistaferri, basato sulla relazione tra consumo e reddito in Italia, calcola che la percentuale del reddito complessivo delle famiglie razionate è pari al 16 per cento. In sintesi, l’evidenza di cui si dispone in Italia suggerisce che la quota di reddito delle famiglie razionate è compreso tra il 4 e il 16 per cento del reddito complessivo delle famiglie.
QUAL È L’EFFETTO SUI CONSUMI?
La tabella 2 indica il possibile effetto sui consumi della riforma del Tfr per valori della percentuale di reddito che potrebbe essere spesa in più compresi tra il 4 e il 16 per cento.
Tabella 2 – L’effetto della riforma del Tfr sui consumi del 2015

% di reddito delle famiglie razionate o con propensione al consumo pari a 1 Incremento assoluto del consumo (miliardi di euro) % del consumo aggregato % del Pil
4 0,8 0,09 0,05
8 1,6 0,18 0,11
12 2,5 0,27 0,16
16 3,3 0.36 0,22
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Nota. Si suppone che il flusso annuale del Tfr sia di 26 miliardi di euro, il consumo aggregato di 934 miliardi, il Pil di 1518 miliardi.
Il flusso annuale del Tfr è di circa 26 miliardi di euro all’anno. Poiché il Tfr in busta paga sarà sottoposto a tassazione ordinaria, in tabella si applica un’aliquota fiscale media del 20 per cento. La seconda colonna della tabella 2 indica che l’effetto aggiuntivo sui consumi nel 2015 sarà probabilmente compreso tra 0,8 e 3,3 miliardi di euro. La terza colonna indica che l’incremento del consumo sarà probabilmente compreso tra 0,1 e 0,36 per cento, e che questo si traduce in un incremento di Pil compreso tra uno e due decimi di punti percentuali di Pil (tra 0,05 e 0,22). È importante ribadire che questa stima – necessariamente approssimativa – rappresenta l’effetto aggiuntivo sui consumi della riforma e non il flusso di Tfr che i dipendenti decideranno di ricevere in busta paga (che potrà essere risparmiato, utilizzato per ridurre i debiti, o per aumentare i consumi). I dati dell’Indagine della Banca d’Italia indicano anche che è probabile che il maggior incremento dei consumi si verificherà nelle regioni meridionali, dove la percentuale di famiglie potenzialmente interessate alla liquidazione del Tfr è sensibilmente maggiore di quella delle regioni centro-settentrionali. Le conseguenze più importanti della riforma saranno quindi che circa il 10 per cento dei dipendenti del settore privato, oltre un milione di famiglie, con prevalenza di famiglie a basso reddito, giovani e residenti nelle regioni meridionali, potrebbe decidere di incrementare il proprio consumo, in linea con il proprio reddito vitale. L’effetto indicato in tabella 2 è sul livello del Pil nell’anno della riforma, quindi l’effetto sulla crescita del Pil si manifesterebbe solo il primo anno di applicazione della riforma, e non negli anni successivi (la Legge di stabilità prevede che la scelta sia per tre anni, dal 2015 al 2017). È importante notare che questo semplice calcolo non tiene conto del fatto che durante una recessione l’effetto moltiplicativo dei consumi sul Pil potrebbe essere più ampio di quanto indicato in tabella. Inoltre, nel lungo periodo altre circostanze potrebbero attenuare tale effetto. Tra queste, la più rilevante è che attualmente le imprese e i fondi pensione finanziano con il Tfr una parte del proprio attivo: ad esempio, le imprese possono usarlo per attuare progetti di investimento e i fondi pensione per investire in altre attività finanziarie. A livello aggregato, cioè dell’intera economia, queste risorse sono un’aggiunta netta alla formazione di capitale. Dopo la riforma, una parte del flusso annuale del Tfr sarà utilizzato invece per finanziare direttamente i consumi. Nel lungo periodo la quota di fondo che sarà liquidata per consumi e la conseguente diminuzione del risparmio privato potrebbe quindi ridurre gli investimenti e l’accumulazione di capitale, a meno che non sia compensata da investimenti esteri aggiuntivi.
Riferimenti bibliografici
Tullio Jappelli e Luigi Pistaferri, “Fiscal policy and MPC heterogeneity” American Economic Journal: Macroeconomics, vol. 6(4), 107-36, ottobre 2014, http://www.csef.it/WP/wp282.pdf
Tullio Jappelli e Luigi Pistaferri, “Intertemporal choice and consumption mobility”, Journal of the European Economic Association, marzo 2006, vol. 4, n. 1, 75-115, http://www.csef.it/WP/wp23.pdf.

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