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Il reddito minimo sparito dall’agenda

L’introduzione di un reddito minimo per i poveri di tipo non categoriale è stata cancellata dall’agenda politica. Il Governo Renzi si interessa solo di lavoratori con scarso reddito o disoccupati. Dimenticando chi non è mai entrato nel mercato del lavoro.

SOLO LAVORATORI E DISOCCUPATI

L’introduzione di un reddito minimo per i poveri di tipo non categoriale sembra di nuovo sparita dall’agenda politica. Rimandata dal Governo Letta a un lontano futuro, a favore della carta acquisti riservata solo, in via sperimentale, a una categoria di poveri così ristretta e cervelloticamente definita che i comuni fanno fatica persino a individuarli (come hanno ammesso anche Maria Cecilia Guerra e Raffaele Tangorra su questo sito), nonostante l’evidenza dell’aumento della povertà assoluta, non fa parte delle riforme radicali che questo esecutivo ha in mente. Tra le tante raccomandazioni europee, è quella più ignorata, anche a parole, ancora più delle pur trascuratissime politiche di conciliazione tra responsabilità famigliari e lavorative.
A onor del vero, un accenno si trova nel disegno di legge delega “Disposizioni in materia di ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e politiche attive”, in cui dovrebbe concretizzarsi il promesso jobs act renziano. Ma si tratta dell’ennesima misura categoriale. All’articolo 1, comma 5 (che segue il comma sulla generalizzazione, in prospettiva e in via sperimentale, dell’Aspi), si legge: “eventuale introduzione, dopo la fruizione dell’Aspi, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell’indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti”. Ovvero, solo coloro che hanno perso il diritto all’Aspi e sono poveri potranno forse ottenere un sussidio. Coloro che non sono mai riusciti, per motivi diversi, a trovare un’occupazione che facesse loro maturare il diritto all’Aspi, ne sono esclusi e con loro anche le loro famiglie. Queste non vengono effettivamente “viste”, salvo che come base di calcolo dell’Isee.
A ben vedere, ciò che si propone qui è ciò che esisteva in Germania prima della riforma Harz del 2000: un sussidio di disoccupazione di secondo livello, destinato appunto ai disoccupati poveri che avevano perso il diritto alla indennità di disoccupazione standard senza aver trovato una nuova occupazione. Ma in Germania esisteva, ed esiste tutt’ora dopo l’eliminazione dell’indennità di secondo livello, una misura di reddito minimo per chi si trova in povertà, distinta dall’indennità di disoccupazione e senza il requisito della perdita del diritto a questa, ma solo sulla base del reddito famigliare. Non si capisce la logica per cui si introdurrebbe il secondo livello, che non esiste ormai da nessuna parte, mentre continua a mancare una misura di sostegno al reddito per tutti coloro che si trovano in povertà, che viceversa esiste nella quasi totalità dei paesi UE ed è specificamente raccomandata dalla UE stessa, a partire dal lontano 1992.
Mettendo insieme questa norma e quanto annunciato nel Dpef relativamente alla riduzione dell’Irpef per i lavoratori dipendenti a basso reddito (individuale? famigliare?), se ne deduce che i poveri “meritevoli” sono solo i lavoratori che guadagnano poco e coloro che hanno perso un lavoro che ha dato loro, per un certo tempo, accesso all’indennità di disoccupazione. Mamme sole costrette a presentarsi sul mercato del lavoro per la fine di un matrimonio, donne e uomini che non sono mai riusciti ad avere una occupazione nel mercato del lavoro formale, e i loro famigliari, continueranno, come già avviene per la social card sperimentale, a essere considerati immeritevoli di sostegno.

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UN RITORNO ALL’OTTOCENTO

Nella delega, il requisito dello status di disoccupato che ha esaurito il diritto all’Aspi per ottenere sostegno economico sembrerebbe contraddetto dal successivo comma 6, dove si propone “l’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso a servizi di carattere assistenziale”. Dato che non posso pensare che chi ha scritto i commi si sia distratto, temo che si tratti non di un allargamento delle norme di accesso all’assistenza economica, ma di una restrizione, per altro legittima, all’accesso ad altre prestazioni assistenziali: non basterà più essere disoccupati per avere l’abbonamento scontato sui mezzi pubblici o per non pagare i ticket sanitari. Occorreranno anche altri requisiti, in primis di reddito.
Per avere assistenza economica, tuttavia, non basterà essere poveri ed essere disponibili a mettere in opera tutte le attività necessarie per migliorare le proprie chances occupazionali. Occorrerà, appunto, anche aver perso il lavoro ed esaurito l’Aspi.
Un’ultima osservazione: mentre si identificano i soli disoccupati come possibili beneficiari si assistenza economica, si dà una interpretazione assistenziale anche della indennità di disoccupazione, o Aspi. Al punto c del comma 6, infatti, si propone di individuare meccanismi che prevedano un coinvolgimento attivo dei soggetti beneficiari sia di Aspi che del sussidio di secondo livello, al fine di favorirne “l’attività a beneficio delle comunità locali”. Non solo l’assistenza, anche la previdenza sono così trasformate in beneficenza da contraccambiare con lavoro gratuito, neppure con i discussi e discutibili mini-jobs imposti agli assistiti in Germania. Più che #la(s)voltabuona, sembra piuttosto un ritorno all’Ottocento.

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  1. Roby65

    Quindi un disoccupato che ha perso il lavoro ad esempio 2 o 3 anni fa, che ha esaurito l’indennità di disoccupazione senza però riuscire più a trovare un altro lavoro, pertanto attualmente a zero reddito, ma con un po’ di patrimonio pluritassato in banca derivante dall’ex lavoro dipendente, rimane fregato perché non ha reddito ma non è povero in canna, non riesce a ritrovare un impiego né ha politiche attive di sorta.

    • C’è gente nella stessa situazione con più di 30 anni di contributi ultra 55 enni che ha perso il lavoro a fine 2012, non ha esaurito la cassa integrazione ne la disoccupazione perché non l’ha mai avuta! Si sopravvive in apnea con i pochi risparmi messi da parte e che adesso vengono tassati al 26%.

  2. piertoussaint

    Massima attenzione: il problema sta nel rischio di considerare la questione dal punto di vista assistenzialistico, per il quale essa non è risolvibile. Si può risolvere, invece, con gli strumenti della sussidiarietà e della partecipazione. Faccio una critica sintetica al Jobs Act renziano, qui:
    http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2013/12/24/il-job-act-di-renzi-il-qui-pro-quo-della-partecipazione/

  3. Questi famosi 10 miliardi potevano essere impiegati per riordinare complessivamente gli ammortizzatori sociali trasformandoli da “particolari” in universali risolvendo in parte i problemi elencati nell’articolo.
    Non non una voce contraria, non un dissenso. Eppure una riforma radicale ce la chiedono da anni l’Europa, l’Osce, l’Fmi. La manovra degli 80 euro non credo dia sollievo all’economia Italiana anche perché dare pochi soldi a chi ha già da che vivere non è come risolvere la vita a chi non ha niente. C’è da chiedersi perché in paesi più civili e meno cattolici del nostro esiste una copertura universale, poca o tanta che sia, al disagio. Basta con gli spot elettorali!

  4. plapla60

    L’articolo è molto bello e mette il dito nella piaga della povertà assoluta a cui occorrerebbe porre rimedio immediatamente.
    Nel frattempo un governo civile dovrebbe estendere a tutti i tipi di reddito, da lavoro dipendente, autonomo, immobiliare e mobiliare, la franchigia degli 8 mila euro, tanto per rispettare la Costituzione, senza dividere i cittadini in odiose categorie.
    Si potrebbe obiettare .Ma gli autonomi evadono e quindi la franchigia è minore .,il reddito da affitto immobile ha meno dignità ,è una rendita.
    Ebbene occorre prima fare Leggi giuste e poi pretenderne il rispetto.E se tassando la proprietà immobiliare come è stato fatto con l’IMU una persona con solo quel reddito scivola nella incapienza reddituale, cosa fa? Si mangia la moralità dei parrucconi con pensioni da 30mila euro al mese? O fa come alcuni artigiani del nord est che per non pagare su un capannone sfitto cifre assurde e evitare di farsi pignorare la casa da equitalia, hanno distrutto il tetto? E poi ci lamentiamo che il veneto vuole l’indipendenza!
    Povero paese, si prevedono tempi bui .

  5. cigno che sbadiglia

    Creare un reddito minimo garantito idividuale, universale, privo di requisiti prostrativi (senza cioe’ obbligo a corsi di formazione utili solo ai docenti, o accettare lavori “x”) ha almeno 2 controindicazioni, molto diverse tra loro:

    1: favorire la crescita demografica esponenziale (se manca un controllo demografico che impedisca di riprodursi eccessivamente oltre il rapporto 1:1 a chi – sostanzialmente – incapace di mantenere già solo sè stesso)

    2: privare di manodopera a basso costo, e ricattabile, gli incapaci che si attribuiscono poi il merito dei lavori eseguiti da altri in nero.

    questi i motivi per cui l’italia, fortemente condizionata da un cattolicesimo contrario al controllo demografico e in balia di caporali del lavoro in ogni dove, “fatica” ad introdurre il reddito minimo garantito.

    il punto 1 è inerente anche al sistema scolastico, e piu’ in generale al sistema dell’infanzia: bloccare la proliferazione ad libidum toglierebbe materia prima a chi ogni anno ha bisogno che tot bambini siano pretesto per mille spese che diventano sua fonte di arricchimento.

    il punto 2 è inerente anche al sistema del doppio lavoro di molti dipendenti pubblici, che sarebbero i primi a risentire di una reale politica di lotta al nero, nero che facilmente emergerebbe se le persone potessero liberamente scegliere tra lavorare in nero o avere anche solo 500 euro al mese di diritto inalienabile, con cui versimilmente organizzarsi senza l’angoscia dei soldi finiti, per trovare un lavoro civile e riconosciuto, consono alle proprie capacità e volontà.

    Quindi, per realizzare il reddito minimo garantito in Italia, bisogna prevedere un sistema di condoni tombali in mataria di “lavoro in nero” per almeno gli ultimi 20 anni (da quando cioe’ stando in europa avremmo dovuto istituire il reddito minimo, e anche da quando abbiamo cioè subito la concorrenza di paesi in cui invece il reddito minimo c’era, con i benefici che ben sappiamo – per loro), altrimenti troppe persone “insospettabili”, le stesse che hanno il potere di impedire ogni volta che il reddito minimo garantito venga istituito in italia, finirebbero nei guai.

    “..e l’italia è questa qua!”

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