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Recessione da pandemia: i ritardi italiani

Tutti i principali paesi dell’Eurozona hanno adottato misure per contrastare la recessione causata dal coronavirus. In termini di entità delle risorse stanziate l’Italia fa meglio degli altri. Ma continuano a mancare velocità di decisione e procedure efficaci.

Politiche di bilancio nell’Eurozona

Il coronavirus ha causato una grave recessione in tutta Europa, spingendo i governi a varare politiche di bilancio che ne attenuino gli effetti. Un report pubblicato di recente da Oxford Economics le ha analizzate.

Per rispondere alla crisi i principali paesi europei (Germania, Francia, Italia e Spagna) si sono focalizzati essenzialmente su tre aree: 1) potenziamento della spesa sanitaria; 2) aumento di risorse per i vari schemi di disoccupazione e sostegno dei redditi; 3) mitigazione dei problemi di liquidità, tramite il posticipo o la cancellazione di alcune imposte e l’introduzione di garanzie statali sui prestiti.

Per quanto riguarda l’ammontare delle risorse stanziate, lo stimolo addizionale attuato dal governo italiano tramite i diversi decreti degli ultimi mesi è comparabile a quello della Germania (circa il 4 per cento del Pil) e maggiore rispetto ai piani annunciati finora da Spagna e Francia (tabella 1).

Se poi paragoniamo anche le risorse mobilitate per garantire liquidità alle imprese, tramite garanzie pubbliche sui prestiti, il piano italiano è di gran lunga più “espansivo” di quelli degli altri paesi. L’ammontare della liquidità messa in movimento dalle garanzie pubbliche (se sommiamo i 400 miliardi del decreto liquidità ai 350 del decreto cura Italia) è pari al 42 per cento del Pil in Italia, mentre è del 31 in Germania, del 13,1 in Francia e dell’8 per cento in Spagna.

Quindi, cosa è mancato?

Nella risposta italiana, quello che è mancato è stata anzitutto la velocità di attuazione. Come approssimazione per questa misura abbiamo considerato il numero di giorni passati tra l’annuncio del primo provvedimento fiscale e il raggiungimento del centesimo caso di Covid-19: in Italia sono trascorsi 22 giorni, negli altri paesi all’incirca una decina.

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Se poi consideriamo il pacchetto completo, e quindi per l’Italia includiamo anche il recente “decreto Rilancio”, i tempi si allungano ancora di più. Il “decreto rilancio” è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 19 maggio, oltre dopo due mesi l’inizio del lockdown, mentre la Germania ha preso le decisioni più importanti all’inizio della crisi e quindi non ha dovuto ampliare le misure in seguito. Il ritardo con cui si è arrivati all’approvazione del decreto rilancio è ascrivibile alle divergenze interne alla maggioranza di governo.

Vi sono stati poi gravi ritardi e problemi procedurali, per esempio, nella gestione degli schemi di disoccupazione. Per valutarli, basta confrontare i dati di marzo sulla cassa integrazione in Italia rispetto a quelli della Germania per una politica simile (Kurzarbeit). Secondo i dati riportati dall’Inps, a marzo il numero di ore di cassa integrazione autorizzate è addirittura diminuito rispetto a febbraio, mentre il numero di lavoratori per i quali è stata chiesta la Kurzarbeit in Germania è aumentato (grafico 1). Un riallineamento tra le due serie si è poi verificato solo ad aprile. Poiché il lockdown italiano è iniziato ben prima di quello tedesco, è evidente che questo sia stato causato da un problema procedurale.

Grafico 1 – Cassa Integrazione e Kurzarbeit.

Anche per quanto riguarda le risorse legate al decreto liquidità, ci sono stati molti ritardi. Invece di mettere a disposizione cifre un po’ spropositate per le capacità della struttura economica italiana – il totale delle consistenze dei prestiti alle aziende non finanziarie residenti in Italia è, secondo l’ultimo dato di Banca d’Italia, inferiore a 700 miliardi di euro – il governo avrebbe fatto meglio a indirizzare i suoi sforzi verso una maggiore celerità e una semplificazione delle procedure, ora abbastanza macchinose, affinché le imprese potessero usufruire più velocemente delle risorse monetarie di cui hanno necessità.

Gli ultimi dati pubblicati il 27 maggio da Banca d’Italia riportano domande per crediti potenziali di circa 36 miliardi. Di questi, 18 miliardi sono relativi al “garanzia Italia” di Sace, che però al 27 maggio aveva concesso garanzie solamente per circa 200 milioni di euro, su poco meno di una trentina di richieste ricevute.

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In Germania, i fondi già stanziati da KFW sono 47 miliardi. È vero che l’economia tedesca è quasi il doppio di quella italiana, ma è altrettanto vero che l’intensità del lockdown è stata minore: il Pil del primo trimestre in Germania è calato di circa il 2 per cento mentre in l’Italia di oltre il 5 per cento.

La conseguenza chiara è che a parità di risorse, le procedure italiane sono state meno celeri ed efficaci, aggravando molto probabilmente la posizione delle famiglie e delle aziende più deboli. In sintesi, ci siamo mossi con ritardo, all’interno di procedure non ottimali.

A livello politico manca poi una chiara strategia di finanziamento delle misure – la discussione tra le forze di governo sull’utilizzo o meno delle linee di credito del Meccanismo europeo di stabilità ne è solo un esempio. Così come manca un piano credibile di rientro del debito pubblico nei prossimi anni, quando l’ombrello della Banca centrale europea, tramite il Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme), potrebbe smettere di proteggerci.

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  1. Pier Luigi

    Ma come si può affermare per l’ Italia: “… il governo avrebbe fatto meglio a indirizzare i suoi sforzi verso una maggiore celerità e una semplificazione delle procedure, ora abbastanza macchinose, affinché le imprese potessero usufruire più velocemente delle risorse monetarie di cui hanno necessità….” quando l’Inps (in 2 mesi) scopre 2.143 imprese, piccole e grandi, che sono sospettate di aver messo in piedi un meccanismo di frode nei confronti dello stato. Oppure, come non ricordare quegli imprenditori che, dopo avere avuto accesso a questo strumento per i loro dipendenti per il Covid-19, li hanno richiamati in azienda per farli lavorare di nascosto, con un’aggiunta alla retribuzione.
    L’Italia non è la Germania, perciò fare paragoni con questa è fuorviante.
    Fa bene l’Europa ad indagare per capire che fine faranno i soldi a noi destinati.

  2. Henri Schmit

    Articolo molto interessante! Ignora la parte contributi a fondo perduto (secondo me molto discutibili, per ragioni di equità e di efficienza, se i beneficari non sono le persone fisiche (meno abbienti)), forse perché di poco peso rispetto agli altri aiuti alle aziende. Impressiona l’importanza, in Italia, della quota garanzia pubblica sui prestiti bancari. Mi domando quanto lo stato si sia tutelato contro rischi di assistenza a azienda già fallite (zombies). Per fare il triage serve una coresponsabilità delle banche erogatrici. Spero che qualcuno ci abbia pensato. L’ultimo comma dell’articolo tocca la questione più delicata. Ho sentito una conferenza sugli strumenti pubblici straordinari in Francia; la relatrice conclude esprimendo preoccupazione per la sostenbilità finanziaria delle misure. Se questo vale per Francia, che cosa dobbiamo temere per l’Italia?

    • Stefano Valenti

      La coresponsabilità delle banche erogatrici c’è già, considerato che, per i finanziamenti destinati alle aziende non piccolissime, la garanzia pubblica non è del cento per cento; poi, certo, dipende dalle banche. In quella per cui lavoro l’analisi del merito di credito si fa anche per i finanziamenti assistiti dalle garanzie pubbliche, ma per le altre banche non posso parlare.

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