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Un po’ di conti sul terzo valico

Per il cosiddetto terzo valico siamo ancora in attesa che il ministero diffonda un’analisi costi-benefici ufficiale. Nel frattempo, un esercizio indipendente dà risultati nettamente negativi, anche con ipotesi molto ottimistiche sia sui costi che sull’evoluzione dei traffici di merci e passeggeri.

L’ANALISI CHE NON C’È

Per uno dei grandi progetti ferroviari oggi in costruzione – il cosiddetto terzo valico della linea Tortona/Novi Ligure-Genova – non è stata presentata alcuna analisi economica, almeno a quanto ci risulta, e nemmeno è stata realizzata una molto più semplice analisi finanziaria, che evidenzi il rapporto costi-ricavi per le casse pubbliche (presumibilmente più alti di quelli della Torino-Lione, essendo il progetto tutto italiano). Sull’opportunità di quest’opera, tra l’altro, più di una volta, e anche recentemente, lo stesso amministratore delegato di Fs ha espresso perplessità.
Ci è perciò sembrato utile realizzare noi un’analisi costi-benefici del progetto e qui di seguito ne presentiamo i risultati.
Ovviamente, a causa degli scarsissimi dati disponibili e delle inesistenti risorse a disposizione per questa analisi indipendente, non si hanno pretese di esattezza. (1).
Si noti poi che, quali siano gli errori o le incertezze dell’analisi costi-benefici, il suo obiettivo non è certo solo quello di dire un “sì” o un “no” a opere pubbliche specifiche ma quello di definire in modo trasparente le priorità di spesa, soprattutto in presenza di una gravissima crisi fiscale che rende scarse le risorse pubbliche disponibili.
Non dovrebbe invece bastare l’argomento “sono decisioni europee a cui dobbiamo attenerci”, che è totalmente indifendibile per due ragioni. In primo luogo, perché chiunque conosca la genesi dei progetti europei (nuovi Ten-T) sa benissimo che si tratta semplicemente della sommatoria dei “desiderata” politici dei diversi paesi europei, priva di qualsiasi supporto o verifica tecnico-economica. Si tratta, nel linguaggio internazionale, di una “shopping list” concordata politicamente tra le parti. In secondo luogo, anche qualora fosse davvero il risultato di un piano organico supportato da solide analisi, è evidente che l’Italia non dispone delle molte decine di miliardi di risorse necessarie per finanziare contemporaneamente tutti gli investimenti che riguardano il paese inclusi nei corridoi Ten-T attuali. Se se ne avviano molti, o tutti, in contemporanea, senza disporre dei fondi necessari a finirli, il rischio (anzi, la certezza) è che si proceda per “stop and go” di infiniti cantieri, con conseguenze ovviamente devastanti sia sul piano dei costi che della funzionalità delle opere.

SUGGESTIONI E RISULTATI

Entriamo ora nel merito dell’analisi effettuata e dei suoi risultati (incerti, come si è detto), ricordando tre principi irrinunciabili delle buone pratiche internazionali in questo settore: a) le analisi debbono essere effettuate da soggetti neutrali; b) devono essere trasparenti, cioè devono consentire di ripercorrere le assunzioni e i calcoli fatti senza alcuna ambiguità; c) debbono rimanere on the safe side, cioè tendenzialmente sovrastimare i costi e sottostimare i benefici: così si comporterebbe un soggetto privato che investisse risorse proprie e per il quale un’analisi finanziaria anche di poco errata comporta il rischio del fallimento di un progetto imprenditoriale. Come attesta una ricchissima letteratura internazionale, di norma accade invece l’opposto nel caso di investimenti pubblici, in cui i promotori, politici e industriali, mettono a rischio il denaro dei contribuenti.
Prima di descrivere le assunzioni adottate per l’analisi e di presentare sommariamente i risultati vorremmo però ancora sgombrare il campo da due “suggestioni” che vanno per la maggiore tra i sostenitori del “terzo valico”. La prima: grazie alla realizzazione dell’opera, il porto di Genova ritornerebbe a essere competitivo rispetto a quelli del mare del Nord. Non è così, come risulta evidente dall’analisi del rapporto Doing Business realizzato dalla World Bank. Lo studio mostra come l’importazione/esportazione di un container dal porto di Genova necessita in media di 17,5 giorni di tempo di cui ben dodici per espletare le formalità amministrative, e comporti un costo di 940 dollari; nel caso dei Paesi Bassi il costo è analogo, ma il tempo medio è di soli 6,5 giorni (e la varianza minore rispetto all’Italia). Il divario non verrebbe modificato, se non in misura marginale, da un’infrastruttura che permetterà una riduzione del tempo di inoltro di circa un’ora (lo 0,24 per cento del totale) e una diminuzione del costo dell’ordine del 2 per cento.
La seconda suggestione suggerisce che l’opera consentirebbe a Genova di arrestare il declino economico. Analoga argomentazione era diffusa a Torino con riferimento alla realizzazione della linea alta velocità che collega il capoluogo piemontese a Milano. Nei sette anni successivi all’apertura della linea (e allo svolgimento delle Olimpiadi invernali, altro esempio di ingente investimento di risorse pubbliche presentato come foriero di grandi ricadute sul territorio), Torino e provincia hanno visto il Pil contrarsi ancor più rapidamente della media italiana (- 11,5 per cento contro un -8,4 per cento a livello nazionale).
Le ipotesi e i parametri adottati per l’analisi vengono illustrati in dettaglio nella tabella allegata. Come si potrà vedere, si è parzialmente derogato, in favore del progetto, al “principio di precauzione”. Ad esempio:
1) si è supposto che il divario fra i costi del progetto a preventivo e a consuntivo sarà del 20 per cento quando, in media, lo scostamento reale in ambito internazionale per i progetti ferroviari è del 45 per cento (ed è stato ancora superiore per la rete alta velocità/alta capacità in Italia);
2) non è stato introdotto un coefficiente che espliciti il costo marginale dell’uso di risorse pubbliche;
3) si sono assunte ipotesi di crescita del traffico passeggeri e merci assai ottimistiche rispetto al trend storico di lungo periodo e si è volutamente ignorata la forte contrazione dei flussi registrata negli ultimi sette anni;
4) per quanto concerne il traffico indotto sono stati ipotizzati valori di elasticità della domanda alquanto elevati;
5) si è ipotizzato che attualmente tutti i convogli merci necessitino di doppia trazione che nella realtà è invece necessaria solo per una parte (probabilmente minoritaria) di essi;
6) la valutazione della riduzione dei costi esterni prescinde da quelli generati nella fase di costruzione dell’opera;
7) soprattutto, si è assunto che le tariffe non recuperino nulla dell’investimento, cioè che tutti i costi siano a carico delle casse pubbliche. Altrimenti i risultati di traffico, ambientali eccetera sarebbero ben peggiori.
Ciò nondimeno, il risultato dell’analisi è fortemente negativo: il valore attuale netto del progetto è di -4,24 miliardi e il rapporto benefici/costi è stimato pari a 0,33. Non è possibile definire un tasso di rendimento interno (con un tasso di attualizzazione pari a zero il VAN si attesta a -1,15 miliardi). I benefici ambientali nell’arco di trent’anni ammontano a circa 300 milioni, ossia circa il 5 per cento del costo dell’investimento.
Anche qualora si adottino ipotesi ancor più ottimistiche sia sul versante dei costi che dell’evoluzione dei traffici, il bilancio rimane nettamente negativo. Ad esempio, supponendo che non vi sia alcuno sforamento dei costi e che i traffici di merci e passeggeri crescano a un ritmo doppio rispetto a quello registrato nel periodo pre-crisi, il Van si attesterebbe a -2,81 miliardi e il rapporto benefici / costi a 0,46 e il tasso di rendimento interno a 0,37 per cento.
Qualche giorno fa, a vent’anni dalla prima presentazione del progetto, il ministro Lupi ha affermato che a breve verrà resa nota un’analisi ufficiale. Ci auguriamo di poterne analizzare metodologia e risultati e di raffrontarli a quelli del nostro modesto esercizio.

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(1) La Banca Mondiale stima che per le analisi costi-benefici e finanziarie siano necessarie risorse dell’ordine di un millesimo del costo dell’opera: in questo caso si tratterebbe di circa 6 milioni di euro.

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  1. eliana rossi

    La linea era stata raddoppiata durante la grande guerra per sostenere i rifornimenti alle forze armate. Altre guerre in vista non ce ne sono, e quindi, salvo sorprese, l’opera non si farà mai, anche se sarebbe non utile, ma utilissima

  2. piertoussaint

    un grande grazie ancora una volta a Ponti e a Ramella, per la consueta serietà del loro lavoro, che ho segnalato sulla pagina facebook del Ministro alle infrastrutture, Maurizio Lupi. Purtroppo, è una lotta impari, contro i “poteri forti” che – questo è il nocciolo della questione – non avranno pace finché, keynesianamente, avranno completamente bancarottato e devastato il Paese, pur di favorire i loro amici costruttori di “opere grandi” inutili, con i soldi del contribuente. Pur da semplice autodidatta, provo a spiegare in maggior dettaglio questo meccanismo, qui: http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/01/22/non-basta-la-riforma-della-legge-elettorale-il-problema-e-nei-limiti-strutturali-della-democrazia-rappresentativa/

  3. Carlo Simeone

    Non metto affatto in discussione la bontà e i numeri dell’analisi svolta. Che, per la verità, si potrebbe applicare e si dovrebbe ( soprattutto) applicare anche alla gestione dell’attuale rete ferroviaria. Il tema, fondamentalmente, è quello della gestione di una linea rispetto a quello che accade sulle linee concorrenti delle altre modalità. Se fino a qualche anno fa l’obiettivo era quello di trasferire più traffico dalla strada alla ferrovia, perchè ora non se ne parla più? Per essere più chiari, se la gestione delle ferrovie continuerà così, dovremmo chiudere altre tratte ferroviarie interne. La bontà di una linea ferroviaria è data dai treni che possono percorrerla quotidianamente, dal grado di riempimento dei treni ( load factor in termini di merci e persone) e dalla qualità del servizio per le diverse tipologie di clienti. Chiedete, allora, alle imprese perché preferiscono la gomma alle ferrovie ? Le ferrovie tagliano i treni perché ( dicono) che non c’è traffico. Ma cosa fanno, invece, le ferrovie per intercettare il traffico, per aggredire il non mercato che non hanno?

  4. Paolo Rossi

    Mi par di capire che siamo alle solite.
    Infrastrutture costosissime promosse trasversalmente da larghe fasce della classe politica senza minimamente preoccuparsi dei costi, del ritorno economico, della tutela delle risorse pubbliche, semplicemente perché in questo modo si creano grandi centri di spesa controllati dai soliti amici che divengono quindi il braccio operativo di questo e quel politico per dispensare “favori” e quindi accrescerne il potere e la base di “consenso”. Questo non è scritto nell’articolo, è un mio personale pensiero, ma mi si conceda il credito di ritenere non essere molto lontano dal pensiero della maggior parte dei lettori.

    L’analisi oggettiva, con questi risultati, non può peraltro essere l’unico parametro di valutazione di una tale opera che, per la sua lunga durata, va decisa e programmata anche in un’ottica di più lungo termine e più vasto respiro. Da quanto leggo peraltro i politici che sponsorizzano questo terzo valico non hanno alcuna “più ampia visione”, “visione della società futura” ma solo l’obbiettivo inconfessabile e devastante di creare un forte centro di spesa sotto il loro controllo.

    Quello che si vorrebbe invece dalla Politica (con la P maiuscola… utopia!), è un messaggio che possa risuonare più o meno così: “sappiamo che i conti ora non tornano, li abbiamo già fatti anche noi e concordiamo in pieno con quelli, pur critici, delle fonti indipendenti, ma quest’opera è fondamentale per il modello di società che vogliamo costruire, che darà benefici di ben più vasta scala, per cui intendiamo realizzarla per il bene futuro del Paese.
    Intendiamo evolvere la società verso un modello economico tale per cui quest’opera sarà allora pienamente giustificata.”

    Questo è ora solo un sogno, ma se non ci si dà qualche obbiettivo non si va da nessuna parte.
    Quello che va assolutamente fatto in Italia, come in qualsiasi Paese evoluto, è di indirizzare l’economia verso la maggiore sostenibilità possibile; questo metterebbe il Paese al riparo da sbalzi dei costi delle materie prime, dei prodotti energetici, ecc. garantendo un’economia più stabile e forte.

    Questa sostenibilità va raggiunta in primis attraverso una forte riduzione dei consumi energetici, ed in particolare la graduale riduzione del fabbisogno di combustibili fossili. Il trasporto ferroviario è in tale ottica una componente essenziale. So bene che basandoci sui numeri attuali i conti sopraesposti sono corretti, ma come si potrebbero modificare se il costo dell’energia triplicasse o quadruplicasse nei prossimi 20 anni? Quanta percentuale del traffico passeggeri potrebbe migrare verso la rotaia solo per via dell’esorbitante costo del combustibile? E quali sono i costi indiretti dovuti alle soluzioni attuali di trasporto su strada? (mi riferisco soprattutto ai costi sociali legati all’inquinamento prodotto dal traffico automobilistico).

    Probabilmente, includendo nella valutazione questi fattori (che attengono certamente più ad una valutazione politica che ad un’analisi di economia dei trasporti), anche in un’ipotesi di crescita zero del business globale del trasporto, le conclusioni potrebbero cambiare significativamente rispetto a quanto sopra.

    E’ pur vero che quando di valichi ne esistono già due come tra Genova ed il Nord, quasi certamente il terzo è di troppo, ma per altre direttrici il discorso potrebbe essere ben diverso.

    Invece il guaio è che i nostri politici (con la p minuscola) si preoccupano più di creare falsi documenti e false dichiarazioni (o di pubblicare montagne di fuffa inutile) per tentare di smentire e svalutare il sempre ottimo Ponti & Co., onde difendere il loro orticello, invece di presentare ai cittadini visioni lungimiranti ben meditate che proprio non hanno… Caro Lupi, riesci a smentirmi?

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