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Quando il welfare non è un investimento sociale

La crisi morde e molte Regioni varano misure di sostegno alle famiglie in difficoltà. Interventi lodevoli, ma spesso realizzati senza prima valutarne costi ed effetti. I dati su un contributo del Veneto suggeriscono che a volte le risorse si potrebbero utilizzare in modo diverso e più utile.

REGIONI E CONTRASTO ALLA POVERTÀ

La crisi ha aggravato il disagio socio-economico, colpendo anche persone e famiglie che fino a pochi anni fa non sarebbero state a rischio di impoverimento. Per far fronte a questa situazione, sono stati introdotti o potenziati diversi interventi pubblici di sostegno alle condizioni economiche delle famiglie, sia a livello nazionale (la nuova social card), sia a livello territoriale. Ad esempio, la Regione Toscana ha approvato una serie di interventi tra cui un contributo per le famiglie numerose, prestiti per i lavoratori in difficoltà, rilascio di garanzie per ottenere un credito bancario, un contributo a favore dei figli nuovi nati e uno per le famiglie con figli disabili. Tra le misure introdotte dalla Regione Calabria figurano invece un ticket per l’acquisto di beni primari per l’infanzia, un “bonus sociale” destinato ai disoccupati da più di dodici mesi e di età tra i 40 e i 55 anni, contributi a persone e famiglie in situazione di povertà estrema nel cui ambito vivono persone non autosufficienti, interventi di microcredito.
Sono interventi che, seppur ispirati da finalità condivisibili, non sempre vengono pensati e realizzati valutandone preventivamente gli impatti e i costi effettivi.

L’INTERVENTO DEL VENETO

La crisi non ha risparmiato il Nord-Est e anche la Regione Veneto ha varato misure di contrasto al disagio socio-economico. La percentuale di famiglie venete “relativamente povere” è aumentata dal 3,3 per cento nel 2007 al 5,8 per cento nel 2012: le famiglie in condizione di povertà relativa nel 2012 si possono stimare in oltre 119mila, quasi il doppio rispetto alle circa 64mila di cinque anni prima.
La Regione ha perciò istituito un fondo (di quasi 2 milioni di euro) per erogare contributi a famiglie in difficoltà economica «finalizzati al pagamento delle spese mediche, della fornitura di acqua, luce e gas e di ulteriori necessità economiche individuate dai comuni stessi per particolari condizioni di difficoltà». (1)
I destinatari del fondo sono persone e famiglie residenti in Veneto, con un Isee non superiore a 16mila euro, prive dei requisiti per accedere ad altri bandi pubblici o con relativa domanda rimasta inevasa. Il valore massimo del contributo per ciascun nucleo familiare è stato determinato in 2mila euro.  
Con la pubblicazione della graduatoria provvisoria dei beneficiari è stato possibile analizzare le principali caratteristiche dell’intervento. (2)
Sono state considerate valide complessivamente 34.479 domande e i nuclei effettivamente ammessi al contributo sono 1.233, il 3,6 per cento dei potenziali beneficiari.
L’Isee medio delle oltre 34mila famiglie con domande validate è di 5.600,74 euro. È un valore mediamente inferiore rispetto a quello dell’insieme dei nuclei familiari veneti che richiedono prestazioni sociali con presentazione della dichiarazione Isee (figura 1). (3)
Il 10 per cento (3.448) delle domande ammesse ha poi un Isee nullo.

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Figura 1 – Bando per il finanziamento ai comuni a sostegno delle persone e famiglie in difficoltà, distribuzione domande per classi Isee e confronto con distribuzione Isee complessiva in Veneto
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Tutte le 1.233 famiglie beneficiarie hanno un Isee nullo, mentre il 64 per cento delle domande con indicatore della situazione economica pari a zero non sono state ammesse al finanziamento. È un limite e una contraddizione dovuta all’ammontare di risorse destinate all’intervento dalla Regione.

L’IMPATTO

I dati a disposizione consentono di stimare l’impatto del bando regionale, tenendo presente che non si tratta dell’unica prestazione pubblica di natura economica a supporto delle persone e famiglie in condizione di povertà e disagio socio-economico.
Le risorse impiegate (mediamente 1.590 euro circa una tantum per famiglia assegnataria) corrispondono a meno dell’1 per cento delle risorse che i comuni del Veneto destinano annualmente al contrasto di povertà e disagio economico: erano circa 216 milioni di euro nel 2010.
L’impatto atteso in termini di riduzione della povertà può essere desunto commisurando il numero di nuclei familiari coinvolti nel bando alla diffusione della povertà in Veneto. Si stima che più di 119mila famiglie siano in condizione di povertà relativa e circa 113mila in condizione di povertà assoluta. (4) Le 34.479 famiglie la cui domanda è stata validata corrispondono al 29-30 per cento delle famiglie venete povere in senso relativo o assoluto. Sono percentuali che tuttavia diventano poco rilevanti se si considerano solo le famiglie ammesse al finanziamento: i 1.233 nuclei assegnatari del contributo equivalgono all’1 per cento delle famiglie venete in condizione di povertà relativa o assoluta. L’impatto atteso è quindi pressoché nullo (tabella 1).

Tabella 1 – Famiglie partecipanti al bando: incidenza sulle famiglie residenti e su quelle povere, Veneto
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D’altra parte, la normativa regionale attribuisce ai comuni veneti un ruolo importante nelle procedure di assegnazione del finanziamento (raccolta delle domande, istruttoria, validazione e invio alla Regione, verifica della veridicità dei dati, erogazione del contributo). Quante risorse potrebbero avere assorbito queste attività?
Ipotizziamo che per ogni domanda ricevuta sia stata necessaria un’ora e mezza di tempo lavoro. Le 34.479 domande avrebbero quindi richiesto complessivamente 51.720 ore di lavoro “amministrativo” a livello comunale, equivalenti a circa 7.180 giornate. Per ogni domanda ammessa sarebbero state necessarie 42 ore di lavoro (quasi sei giornate) e per ogni mille euro erogati sarebbero state impiegate 26,4 ore di lavoro (tre giornate e mezza). Valorizzando economicamente il tempo lavoro, sulla base della retribuzione contrattuale del personale dipendente, la spesa totale sarebbe stata di circa 672mila euro, corrispondente a quasi 550 euro per ogni domanda ammessa al finanziamento e a circa 340 euro ogni mille euro erogati alle famiglie assegnatarie (tabella 2).

Tabella 2 – Stima del carico di lavoro amministrativo dei comuni e del relativo costo
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Ogni euro trasferito alle famiglie destinatarie sarebbe costato complessivamente 1,34 euro alla collettività. Le “procedure amministrative” avrebbero pertanto assorbito risorse equivalenti ad almeno un terzo dell’importo stanziato dalla Regione ed erogato alle famiglie (tabella 3). Le stime si basano su ipotesi prudenziali, la quota di risorse “consumate” a livello burocratico è sicuramente superiore.

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Tabella 3 – Stima del costo complessivo dell’intervento regionale, valore in euro e per euro erogato
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SOLUZIONI ALTERNATIVE

Sono risultati che testimoniano una quantità notevole di lavoro “socialmente inutile”, per il carico amministrativo richiesto e per la natura del sostegno dato alle famiglie. È lavoro incapace di aiutare le persone in condizione di povertà: si tratta di lavoro gestito “a costo” anziché “a investimento” sociale.
Alla luce di queste considerazioni, le risorse complessivamente stanziate con il bando regionale avrebbero forse potuto essere impiegate in altro modo. (5) Ad esempio, con il medesimo importo si sarebbe potuto finanziare 650 borse lavoro finalizzate all’apprendimento professionale, equivalenti a quasi 600mila ore di lavoro in sei mesi. Un intervento di questo tipo avrebbe consentito di “investire” le risorse disponibili nell’attivazione di competenze e capacità dei destinatari, oltre il semplice soddisfacimento (“a costo”) di necessità impellenti quali il pagamento di spese mediche e bollette.
Quello veneto è purtroppo l’ennesimo esempio di come le risorse siano utilizzate in modo non efficiente ed è un esempio di welfare «de-generativo».
Se ne possono però trarre alcuni suggerimenti da considerare nel delineare misure di contrasto alla povertà – nazionali o regionali – che siano «generative» e non «dissipative» di risorse. Interventi che inducono grandi aspettative nella platea dei potenziali beneficiari, rischiano di avere effetti reali pressoché nulli – o addirittura controproducenti – se non vengono disegnati e realizzati in modo adeguato. È inoltre necessario considerare preliminarmente i costi complessivi degli interventi da attuare e fare un uso responsabile delle risorse – anche umane – impegnate.

 

(1) Lr n. 3/2013. Si veda in proposito Bezze M. e Geron D., “Welfare degenerativo: il caso del contributo alle famiglie in difficoltà”, Studi Zancan, 2, 2014.
(2) https://sociale.regione.veneto.it/web/sociale/documenti/bandi-e-concorsi/bando-emergenza-sociale.
(3) Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, 2013, Appendice al Rapporto Isee 2012 – Tavole provinciali
(4) Il numero di famiglie relativamente povere è calcolato sulla base del dato Istat di incidenza della povertà relativa familiare in Veneto (5,8 per cento nel 2012). Il numero di famiglie assolutamente povere è stimato ricorrendo al dato Istat di incidenza della povertà assoluta familiare nel Nord Italia (5,5 per cento nel 2012).
(5) Vecchiato T. (2012), “Welfare generativo”: da costo a investimento, in Fondazione “E. Zancan”, Vincere la povertà con un welfare generativo. La lotta alla povertà. Rapporto 2012, Bologna, il Mulino.

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  1. Ezio Pacchiardo

    Siamo alle solite, ovvero i problemi vengono gestiti secondo concetti e strutture operative vecchie, superate e farraginose. Oltre a ciò si continua con il modello assistenziale della donazione piuttosto che sostituirlo con quello della qualificazione e inserimento nel nuovo contesto socio-economico. Si continua cioè a dare da mangiare a chi ha fame piuttosto che insegnargli a procurarselo responsabilmente e con piena dignità. E’ ora di dare la canna da pesca affinché imparino a pescare e non a ricevere in continuazione il pesce senza alcun impegno-

  2. Matteo

    Dal 2002 ad oggi il progetto di autocostruzione assistita “Un tetto per tutti”, avviato in 5 regioni italiane, avrebbe dovuto realizzare circa 1000 unità abitative, allo scopo di fornire a giovani famiglie di italiani e di immigrati, con un Isee compreso fra i 15.000 e 31.000 € , di acquisire una casa in proprietà, accessibile grazie al ridotto costo dovuto al lavoro attivo degli stessi destinatari in cantiere, assistiti da maestranze specializzate.
    Ad oggi, luglio 2014, solo 3 cantieri sono stati conclusi come da contratto, mentre una ventina sono i cantieri bloccati e abbandonati, oppure realizzati solo grazie ad un ulteriore sforzo finanziario non preventivato.
    Sono circa 200 le famiglie che dopo avere lavorato per anni non hanno mai visto la propria casa realizzata, nonostante gli impegni presi da amministrazioni locali e Alisei Ong, la Onlus regia dei cantieri. Una vera e propria truffa sociale che per anni è stata insabbiata, per ovvie speculazioni politiche. Sono ad ottobre dello scorso anno il Movimento 5 Stelle ha presentato una interrogazione in Senato, chiedendo ai Ministri se fossero a conoscenza dello stato dell’opera dei cantieri e del fatto che Alisei Ong percepisce ancora finanziamenti pubblici. Ad oggi nessuna risposta è stata da loro fornita, ma a giugno di quest’anno il Ministero degli Esteri ha revocato l’idoneità alla Ong Alisei.

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