Il nuovo Codice degli appalti “cancella” la certificazione della parità di genere. Ma se le politiche non sono più vincolanti o premianti, le adotterà un numero minore di aziende. Mettendo a rischio anche il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr.

Cos’è il “bollino rosa”

La certificazione della parità di genere (cosiddetto bollino rosa) è scomparsa dallo schema di decreto legislativo che contiene la riforma del Codice degli appalti, approvato nel dicembre scorso dal Consiglio dei ministri, esercitando la relativa delega (Dlgs n. 78/2022), e attualmente all’esame delle Camere.

La certificazione – inserita nel Codice per le pari opportunità (Dlgs n. 198/2006, art. 46-bis) nel 2021 (legge n. 162) – è un’attestazione relativa alle politiche e alle misure concrete adottate per «ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale e parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità». Il rilascio della certificazione deve avvenire in conformità alla prassi di riferimento UNI/PdR 125 da parte di organismi di valutazione accreditati (Dpcm 29 aprile 2022). Tale prassi consente di misurare l’efficacia delle azioni intraprese per un’effettiva parità attraverso indicatori suddivisi in sei aree (cultura e strategia, governance, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità ecc.).

La cancellazione della certificazione mette a rischio il percorso fatto in questi anni nel perseguimento di una effettiva eguaglianza tra uomini e donne in ambito lavorativo.

Il passo indietro del nuovo Codice degli appalti

Il primo passo indietro del nuovo Codice appalti è segnato innanzitutto dalla disposizione ai sensi della quale le stazioni appaltanti «possono» prevedere nei bandi, negli avvisi e negli inviti «meccanismi e strumenti idonei a realizzare pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa» (art. 61, c. 2). Quella che nel nuovo codice è una mera facoltà, costituisce invece un obbligo ai sensi del cosiddetto “decreto Semplificazioni”, riguardante la realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Dl n. 77/2021, art. 47). Infatti, nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti relativi al Pnrr le stazioni appaltanti devono indicare «i criteri premiali che intendono applicare alla valutazione dell’offerta in relazione al possesso da parte delle aziende private (…) della certificazione della parità di genere». Peraltro, l’inserimento di requisiti premiali volti a promuovere la parità viene subordinato dal nuovo codice a diverse condizioni, come l’oggetto del contratto, la tipologia del progetto e altro. (Allegato II.3).

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E non è tutto. Il vigente Codice degli appalti, modificato dalla legge contenente misure urgenti per l’attuazione del Pnrr (legge n. 36/2022), incentiva in vario modo il ricorso da parte delle imprese alla certificazione prevista dal Codice delle pari opportunità. Ad esempio, solo le imprese che adottino politiche mirate alla parità di genere comprovate dalla certificazione fruiscono del «maggiore punteggio» indicato dalle stazioni appaltanti (art. 95, c. 13). Il nuovo codice, invece, non prevede il ricorso alla certificazione per attestare l’adozione di politiche per la parità di genere. Parimenti, slegati da essa, e quindi dagli specifici criteri definiti dall’UNI/PdR 125, sono gli impegni che, ai sensi della normativa di prossima emanazione, devono essere assunti dagli operatori economici al fine di garantire pari opportunità di genere – oltre che generazionali e di inclusione lavorativa – per persone con disabilità o svantaggiate (art. 102, c. 1, lett. c).

All’attestazione della parità di genere redatta secondo la norma tecnica si fa riferimento solo nella disposizione in base alla quale la garanzia a corredo dell’offerta è ridotta «fino ad un importo massimo del 20 per cento» quando l’operatore economico possegga una o più delle certificazioni indicate dall’allegato II.13: tra di esse c’è anche quella rilasciata ai sensi dell’UNI/PdR 125 (art. 106, c. 8). Ma mentre oggi, grazie a tale certificazione, il beneficio della riduzione della garanzia è pari al 30 per cento dell’importo previsto (art. 93, c.7), con il nuovo codice il beneficio sarà comunque di 10 punti percentuali inferiore. Dunque, c’è un passo indietro anche per questo profilo. Le aziende che hanno investito sulle politiche di genere in vista dei vantaggi che ne sarebbero derivati con la norma di prossima emanazione se li vedranno diminuire.

La missione 5 del Pnrr

La circostanza che, nel nuovo codice degli appalti, la certificazione che attesta l’attuazione di politiche tese all’uguaglianza di genere all’interno delle imprese non sia più vincolante o premiante probabilmente determinerà anche una minore adozione di tali politiche.

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Ciò potrà pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi legati al Pnrr di cui alla missione 5 (“inclusione e coesione”). Va detto altresì che la parità di genere è uno degli obiettivi fissati nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile, nonché uno dei parametri contenuti nei criteri Esg (Environmental, Social and Governance), in quanto indice di progresso ed equità sociale.

Il nuovo Codice dei contratti pubblici determina una regressione nell’adozione di strumenti che promuovono l’empowerment femminile. Il governo è ancora in tempo per evitarla.

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