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Decreto carceri, è tutta una questione di selezione

Sta per arrivare un decreto per ridurre il sovraffollamento degli istituti di detenzione. Lo farà attraverso la modifica dei flussi in entrata e di quelli in uscita. Dovrebbe però tenere fermo il principio della selezione dei criminali meno pericolosi e meno propensi a essere recidivi.
CARCERI SOVRAFFOLLATE DA 25 ANNI
In questi giorni si discute molto del decreto legge sulle carceri che verrà presentato dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, il cui obiettivo è la riduzione della pressione sugli istituti di detenzione, da attuare attraverso la modifica dei flussi in entrata e di quelli in uscita. Muovendo dall’analisi di dati italiani sui criminali e sulle carcerazioni, vogliamo qui evidenziare alcuni aspetti di cui il decreto dovrebbe tenere conto. In particolare, vogliamo sottolineare come qualsiasi modifica ai flussi in entrata e in uscita dovrebbe tenere fermo il principio della selezione dei criminali meno pericolosi e meno propensi a essere recidivi.
Il sovraffollamento carcerario è un problema che assilla il nostro paese da ormai venticinque anni e che può essere risolto in due modi: costruendo nuove carceri oppure modificando i flussi in entrata e in uscita negli istituti di pena. Sebbene esista un piano di costruzione di nuove carceri, fino al 2006 si è cercato di affrontare il problema ricorrendo a indulti e amnistie. Tali provvedimenti, che determinano la scarcerazione di massa dei detenuti (un terzo del totale con l’indulto del 2006) lungi dall’essere risolutivi, si sono dimostrati un semplice palliativo.
Due lavori di ricerca  mostrano un incremento della criminalità nel periodo successivo alle scarcerazioni per indulto o amnistia (1). L’aumento è niente affatto sorprendente alla luce di due considerazioni: innanzitutto, un mancato aumento del crimine all’indomani delle scarcerazioni per indulto o amnistia significherebbe che la quasi totalità dei detenuti non sono socialmente pericolosi e che il carcere ha quindi una funzione meramente punitiva. In tal caso, il sistema andrebbe forse riformato, perché la carcerazione spesso non è il metodo più efficiente per punire. In secundis, gli ultimi atti di clemenza del 1990 e del 2006 hanno disatteso un’importante prescrizione di legge secondo cui l’amnistia e l’indulto non si applicano ai recidivi, cioè a chi non è alla prima esperienza carceraria. Il motivo per cui il legislatore ha previsto tale norma è estremamente razionale: i recidivi tendono a recidivare in futuro. Una recente ricerca presentata alla XV conferenza organizzata dalla Fondazione Rodolfo De Benedetti sul tema “Legal and illegal careers” mostra che la tendenza ad avere comportamenti criminali recidivi cresce all’aumentare del numero di carcerazioni: un detenuto con una carcerazione in più ha una propensione a recidivare che è più alta del 7 per cento. (2) È dunque questa la ratio della cosiddetta “legge ex-Cirielli” del 1995, che stabilì che i criminali recidivi potessero essere sottoposti a un aumento della pena. In realtà norme sulla recidiva erano presenti anche prima del 2005, ma venivano solitamente disattese a livello processuale: i dati del ministero della Giustizia mostrano come, prima della legge ex-Cirielli, all’aumentare delle carcerazioni, e quindi del grado di recidiva, non fosse associato alcun aumento di pena, mentre dopo l’introduzione della legge, ai pluri-recidivi sia stata comminata una pena che è superiore di circa un quarto rispetto a quella di chi non è pluri-recidivo. È bene sottolineare che questo non implica assolutamente la necessità di  inasprire, a livello generale, le pene. Ciò che conta è che i recidivi abbiano pene più dure rispetto a chi è alla sua prima detenzione. Insomma, ciò che è importante è quella che potremmo definire “la distanza relativa delle pene”.
UNA “SCUOLA” DI CRIMINE
Un ulteriore motivo per essere più severi con i pluri-recidivi, e invece pensare a pene più blande o a pene alternative per chi è alla sua prima detenzione, riguarda le molteplici funzioni che il carcere si ritrova ad avere. L’evidenza empirica dimostra, infatti, che il carcere non svolge soltanto funzioni riabilitative, deterrenti, e incapacitanti (cioè impedisce ai criminali più pericolosi di commettere ulteriori crimini), ma spesso rappresenta anche una vera e propria scuola di crimine. Il carcere è un luogo dove i detenuti incontrano potenziali maestri, allievi, o collaboratori. Questo aspetto perverso della vita in carcere sembra essere predominante durante le primissime carcerazioni, mentre le funzioni di deterrenza e di riabilitazione prevalgono dopo la seconda e crescono all’aumentare del numero di carcerazioni. Ne consegue che essere meno esposti alla vita carceraria all’inizio della propria carriera criminale riduce la probabilità di commettere altri crimini in futuro. L’“effetto-scuola” invece tende a scemare all’aumentare del numero di carcerazioni, probabilmente perché il detenuto ha raggiunto la “piena maturità criminale” e ha oramai poco da imparare.
Un altro importante indicatore della pericolosità del detenuto è il tipo di crimine che ha commesso. Il motivo è che i detenuti recidivi tendono a commettere gli stessi crimini commessi in passato. Sarà quindi poco saggio ridurre o modificare la pena nello stesso modo per piccoli ladruncoli e per rapinatori incalliti. Eppure è esattamente ciò che è avvenuto con gli ultimi indulti e amnistie ed è esattamente ciò che qualsiasi automatismo genera.
Infine, un importante segnale della pericolosità è l’età del detenuto. I detenuti più anziani sono molto meno propensi alla recidiva e quindi ben vengano delle norme che ne favoriscono una fuoriuscita privilegiata. In realtà, esistono già norme che stabiliscono soglie di età che determinano l’accesso a pene alternative. L’aspetto critico di queste soglie è che rappresentano dei veri e propri punti di discontinutà, mentre la riduzione della pericolosità non avviene a una determinata età, ma è graduale nel tempo. Allora perché non prevedere sconti di pena che aumentino all’aumentare dell’età?
Naturalmente tutte le nostre considerazioni sono basate su un approccio probabilistico, che guarda a come i detenuti si comportano in media e non ai singoli casi. Non vi è dunque alcuna pretesa di separare i detenuti in chi, per certo, non commetterà più crimini e in chi, con altrettanta certezza, tornerà in carcere. Nondimeno, utilizzare segnali passati è utile per predire comportamenti futuri. Questo non vuol dire che i dati riguardo alle caratteristiche dei criminali e ai loro comportamenti debbano essere gli unici segnali da utilizzare. Spetterà ai giudici, che dispongono di informazioni dettagliate sui singoli casi, supportati da commissioni di esperti psicologi, la decisione ultima delle pene da comminare. L’importante è evitare che i segnali (soprattutto quelli molto forti) che possono predire comportamenti futuri, e quindi la pericolosità dei detenuti (numero delle recidive, età), vengano sistematicamente disattesi come è avvenuto in passato con le recidive.
Concludiamo ribadendo che, per qualsiasi norma che determini automatici sconti di pena è possibile idearne una con gli stessi effetti sui flussi che tenga conto della pericolosità del criminale, ed è esattamente quello che spererremo venisse fatto dal legislatore.
 
(1) Barbarino & Mastrobuoni e Buonanno & Raphael, entrambi in corso di pubblicazione.
(2) Mastrobuoni & Owens, 2013

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  1. antonio puglisi

    Ripensare la Fini Giovanardi non sarebbe più utile? soprattutto guardando in prospettiva europea dove Francia, Spagna, Repubblica Ceca, Portogallo, Olanda, Belgio, fanno sicuramente molto meglio di noi.

  2. AM

    Giusto adottare criteri che siano più guardinghi verso criminali pericolosi e recidivi. Al fine di contribuire alla riduzione del sovraffollamento delle carceri senza attendere la disponibilità di nuove carceri penserei ad accordi con i paesi d’origine dei detenuti stranieri. Si potrebbero rimpatriare questi detenuti, che potrebbero scontare le pene residue nelle carceri vicino alle loro case. Se pensiamo che circa un terzo dei detenuti sono cittadini stranieri non è difficile comprendere i benefici, anche in termini di costi, che il rimpatrio potrebbe consentire, pur considerando l’anomalia italiana di un gran numero di reclusi in attesa di giudizio (che evidentemente non potrebbero essere rimpatriati prima della eventuale condanna). Mi rendo conto che non sarebbe facile stipulare accordi con certi paesi, ma si potrebbe cominciare con i membri dell’UE e in particolare con la Romania. Purtroppo pare che la Cancellieri non pensi affatto a questo tipo di soluzione e quindi non siano neppure iniziate trattative in questa direzione.

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