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Sulle pensioni la manovra fa i conti con la realtà

Alcune promesse elettorali del governo si scontrano con la necessità di non aumentare la spesa pensionistica. Si spiegano così la conferma dell’attuale impianto e le restrizioni per l’accesso alla pensione anticipata contenute nella legge di bilancio.

La previdenza nella legge di bilancio

La manovra 2024 contiene diverse norme che riguardano la previdenza. Se il superamento della “legge Fornero” è indicato come uno degli obiettivi della coalizione di governo – un processo già avviato nel 2019 con la pensione a quota 100 del governo gialloverde che comprendeva la Lega – dall’esame della legge di bilancio emerge, invece, che la struttura previgente, nel suo complesso, non è stata modificata.

La preoccupazione per gli effetti dell’inflazione si allontana: negli ultimi mesi l’aumento dei prezzi è stato modesto e il 2023 si è chiuso con un valore medio tendenziale del 5,4 per cento. L’impatto dell’inflazione sulla spesa per pensioni è stato contenuto attraverso un intervento già nella manovra 2023 percepiti. L’impianto, che riconosce l’aumento in misura piena solo alle pensioni di importo complessivo non superiore a quattro volte il trattamento minimo Inps, è stato confermato dalla manovra 2024, che prevede un peggioramento per le pensioni superiori a 10 volte il minimo, per le quali la percentuale di adeguamento è passata dal 33 al 22 per cento dell’inflazione.

Le nuove restrizioni

La manovra non abroga nessun istituto vigente ma, salvo qualche eccezione, rende l’accesso più difficile o meno conveniente, intervenendo sui requisiti e sugli importi, allo scopo di diluire generalmente l’effetto della spesa. Così per la pensione anticipata (introdotta dalla legge Fornero) liquidata con il contributivo integrale (64 anni e 20 anni di contributi): viene rimodulata la soglia minima (2,8 volte l’assegno sociale), che passa a 3 volte l’assegno sociale per donne senza figli e gli uomini, 2,8 volte per donne con un figlio, 2,6 volte per donne con almeno due figli; viene introdotto l’importo massimo che non può superare 5 volte il trattamento minimo Inps fino al raggiungimento del requisito anagrafico della pensione di vecchiaia e si prevede una finestra di tre mesi dalla maturazione del diritto. Anche al requisito contributivo, oltre che all’età, viene applicato l’adeguamento alla speranza di vita.

Sono poi previste restrizioni per l’Ape sociale, indennità di sostegno fino alla pensione per alcune categorie svantaggiate, prorogata per il 2024: viene elevata l’età da 63 anni a 63 anni e 5 mesi; tra gli aventi diritto che svolgono attività gravose non vengono più considerati, tra gli altri, gli operai edili. La cumulabilità con redditi da lavoro è ora possibile solo con quelli di lavoro autonomo occasionale fino a 5 mila euro.

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Per quanto riguarda Opzione donna, dopo le limitazioni della manovra 2023, viene aumentata l’età da 60 a 61 anni e conservata la riduzione prevista in caso di figli. Per la pensione anticipata flessibile (quota 103: 62 anni di età e 41 di contributi) la finestra da 3 mesi viene portata a 7 (per i dipendenti pubblici da 7 mesi a 9). Nel 2024 è prevista la liquidazione con il sistema contributivo e il valore massimo della pensione viene portato da 5 a non più di 4 volte il minimo Inps che deve essere conservato fino al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia. 

Uno degli aspetti più contestati, anche se coerente con un fine equitativo, è stato l’intervento sui coefficienti di rendimento più favorevoli, rispetto a quelli di tutti i dipendenti, previsti per la quota retributiva della pensione dei dipendenti pubblici già iscritti ad alcune casse, tra cui quella dei sanitari e quella dei dipendenti delle amministrazioni locali. Qui il governo ha fatto un mezzo passo indietro: la riduzione è stata conservata per le sole pensioni anticipate, prevedendo, tuttavia, un incremento progressivo della finestra di accesso fissata a 4 mesi nel 2025 per arrivare a 9 mesi nel 2028. La rideterminazione dei coefficienti di rendimento dovrebbe comportare un risparmio di spesa contenuto per i primi anni, ma destinato ad aumentare con il picco di spesa previsto tra il 2035 e il 2040.

Un elemento in controtendenza è la rideterminazione dell’importo minimo per ottenere il riconoscimento della pensione di vecchiaia con il metodo contributivo che passa da 1,5 a 1 volta l’assegno sociale, anticipando l’accesso pensionistico. La misura secondo le stime della relazione tecnica di accompagnamento comporterà un maggior numero di pensioni da 5 mila nel 2024 fino a 33 mila nel 2023, ma dovrebbe avere un effetto finanziario neutro compensato dalla contrazione della spesa determinata dall’inasprimento dei requisiti previsto per la pensione anticipata contributiva. 

Le decontribuzioni

Sebbene l’intervento abbia carattere straordinario, ha una centralità politica sottolineata dal governo la conferma, per il solo 2024, della riduzione del prelievo contributivo per il lavoratore dipendente (di norma 9,19 per cento), in vigore dal 1° luglio 2023. L’operazione è in deficit, l’impegno di spesa stimato in circa 11 miliardi. L’esonero contributivo è del 6 per cento se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 2.692 euro, del 7 per cento se la retribuzione imponibile non eccede l’importo mensile di 1.923 euro, l’esonero non si applica alla tredicesima mensilità. La riduzione del prelievo contributivo determinerà l’incremento del reddito da lavoro e, quindi, un aumento del prelievo fiscale. L’esonero contributivo si applica per importi fissi e non per scaglioni di reddito, il superamento anche minimo delle soglie esclude il beneficio. In via sperimentale, per il triennio 2024-2026, è stata prevista e variamente articolata la decontribuzione integrale per le lavoratrici madri con figli. La riduzione non produrrà effetti sull’aliquota di computo pensionistica che verrà conservata nella misura integrale inclusa la quota del lavoratore. Qualunque intervento di agevolazione contributiva, anche se eccezionale, porta all’allargamento del gap, ormai strutturale, tra prestazioni per pensioni ed entrate contributive cui deve necessariamente sopperire lo Stato con il ricorso alla fiscalità generale.

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L’alternativa

Il peso della spesa per pensioni, che nel periodo 2035-2024 toccherà il 17,2 per cento sul Pil, non è certo attribuibile a questo governo, risale a scelte politiche errate e a cambi di rotta rispetto a linee di indirizzo che avrebbero potuto deviare la traiettoria assunta, certamente anche all’eccessiva timidezza nell’introduzione del metodo di calcolo contributivo. Si può, però, segnalare il contrasto tra il messaggio politico e la realtà delle misure adottate con la manovra, che ha dovuto tenere conto del livello della spesa pubblica, limitandosi a operare sull’esistente a volte in modo restrittivo. Si è aggiunto l’impegno, anche se straordinario, dell’esonero contributivo che ha la funzione di protezione dei redditi medio bassi e di sostegno ai consumi.

Se la riduzione della spesa per pensioni nella sua incidenza sul Pil appare uno sforzo politicamente non sostenibile, l’alternativa è nel miglioramento del denominatore del rapporto finanziario e quindi del Pil. Arrivarci presuppone però la necessità di affrontare una serie di questioni, tra cui il basso livello dei salari e della produttività del lavoro e l’avvio di una seria politica contro l’evasione fiscale.

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Perché l’impiego pubblico piace meno di un tempo

  1. Savino

    L’OCSE è stato preciso sulle pensioni. Gli italiani devono capire l’antifona senza continuare a farsi illudere dai partiti.

  2. EMILIO

    MANCANO ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE PENSIONI: RIDURRE I CONTRIBUTI METTENDOCI 11 MILIARDI ALL’ANNO (QUALCUNO DICE 15) DETERMINA ASSIEME A TUTTI I PREPENSIONAMENTI A TUTTE LE CASSE INTEGRAZIONI E TUTTE LE AGEVOLAZIONI CONCESSE A VALERE SUI CONTRIBUTI VERSATI ALL’INPS LO SQUILIBRIO TRA ENTRATE ED USCITE E QUINDI RENDE INEVITABILE RIDURRE LE PENSIONI PER CHI GIA’ LAVORA E NON E’ LONTANO DALLA PENSIONE. E’ UN ASPETTO MOLTO SPESSO NON BEN VALUTATO INOLTRE BISOGNEREBBE GUARDARE I BILANCI DELL’INPS E NON SOLO LE ENTRATE E LE USCITE L’INPS INFATTI HA COME TANTI FONDI PENSIONI UNA SERIE DI INVESTIMENTI MOLTI IN OMMOBILI CHE SONO STATI DEPREDATI DALLA NOSTRA CLASSE POLITICA … INSOMMA L’ANALISI E NTRATE USCITE NON E’ DEGNA DI UN VERO ECONOMISTA. IN SOSTANZA SI STANNO CREANDO VOLUTAMENTE UNA SERIE DI SQUILIBRI CHE E’ STATO GIA’ NEI FATTI DECISO VERRANNO SCARICATI SU CHI ANDRA’ IN PENSIONE NEI PROSSIMI 7-8 ANNI PUR AVENDO LAVORATO OLTRE 40 ANNI A FRONTE DI PENSIONI EROGATE PER 40 E PASSA ANNI A CHI HA A STENTO LAVORATO 20 ANNI … INOLTRE GLI SQUILIBRI SI GENERANO CON UN OCCHI ALLA CLASSE ECONOMICA DEI MINIMALISTI OVVERO LE PENSIONI MINIME CIOE’ QUELLI CHE OGGI PRENDONO IL MAGGIOR BENEFICIO PENSIONISTICO IN RAPPORTO AI CONTRIBUTI VERSATI (20 ANNI ORA E 67 ANNI DI ETA) E ALLE CLASSI ECONOMICHE EVASIVE OVVERO LE PARTITE IVA CHE HANNO IL REGIME FORFETTARIO FINO A 65/100 MILA EURO L’ANNO PAGANDO CONTRIBUTI MINIMI PER FORZA CHE POI IL FONDO E’ IN PERDITA.. E QUINDI CI SFOGHIAMO SUI LAVORATORI CHE STANNO PER ANDARE IN PENSIONE DOPO OLTRE 40 ANNI DI LAVORO …

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