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Transizione energetica tra dilemmi e incertezze

La transizione verde oggi non riguarda più solo il cambiamento climatico, ma offre importanti opportunità economiche. Per questo va legata a una politica industriale adeguata. A frenare quella europea sono intervenute incertezze e tensioni geopolitiche.

Una rivoluzione industriale guidata dalla transizione verde

La transizione energetica può essere vista come una risposta all’accelerazione del cambiamento climatico misurata attraverso le emissioni nette di gas a effetto serra. Da questo punto di vista, l’ultimo rapporto dell’Iea mostra che la crescita più sostenuta delle energie pulite ha permesso di limitare l’aumento delle emissioni a livello globale: circa 410 Mt in più nel 2023 rispetto al 2022, contro una crescita di 490 Mt dell’anno precedente. Oltre il 40 per cento dell’aumento delle emissioni nel 2023 è ascrivibile al calo eccezionale dell’energia idroelettrica dovuta alle siccità estreme: i paesi si sono rivolti in gran parte alle alternative fossili per colmare il divario di fabbisogno energetico.

Tuttavia, una delle maggiori implicazioni della transizione energetica riguarda la gigantesca rivoluzione industriale che dovrà essere realizzata nei prossimi decenni. Un aspetto importante è che, dalla pandemia, l’occupazione totale nelle energie pulite (compreso il nucleare) ha superato quella relativa alle fossili (figura 1).

Figura 1 – Occupazione nel settore energetico a livello globale, 2019-2023

Fonte: Iea, 2023

La politica industriale della Ue

L’Europa ha raggiunto una quota di emissioni pari all’8 per cento del totale mondiale: deve ora affrontare le sfide di competitività del suo sistema industriale in un contesto di rischio di disindustrializzazione legato soprattutto al deficit di investimenti pubblici nelle tecnologie green, accentuatosi dopo l’invasione russa dell’Ucraina. 

L’accoppiata transizione energetica-competitività del sistema industriale richiama il tema della “green industrial policy”. Nella Ue l’intervento di politica industriale “verde” si concretizza attraverso il Net Zero Industry Act (Nzia), proposto dalla Commissione nel marzo 2023, poi approvato dal Parlamento e quindi dal Consiglio, ma tuttora senza un testo ufficiale formalizzato.

Una critica all’iniziativa dello Nzia, lanciato in risposta all’Inflation Reduction Act (Ira) degli Stati Uniti, è che non crea parità di condizioni tra stati membri perché utilizza le nuove norme sugli aiuti di stato. Si beneficiano così soprattutto i paesi con ampi margini di bilancio, ad esempio Germania e Francia, rafforzando quindi le disuguaglianze all’interno della Ue.

Vi sono due altri punti importanti relativi allo Nzia. Uno riguarda l’accusa di protezionismo: se è vero che in alcuni casi l’Ira premia o richiede un effettivo local content, lo Nzia combatte l’eccesso di concentrazione della fornitura da un solo paese per alcune “tecnologie strategiche” (il 50 per cento). è dunque vero che esiste un “Buy American”, ma non esiste il “Buy European”. Un altro punto riguarda (ad esempio nel fotovoltaico) il re-shoring: occorre riportare in Europa l’intera catena del valore o solo i comparti a maggior contenuto innovativo? Anche nel secondo caso si avrebbero comunque aumenti significativi di produzione.

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L’approccio adottato dalla Commissione europea comprende quindi diversi strumenti di politica economica per lo sviluppo di energie pulite: dalla produzione nazionale di “tecnologie strategiche” ai finanziamenti pubblici per la ricerca e sviluppo, a strumenti di tipo regolatorio quali gli standard, fino al Cbam (Carbon Border Adjustment Mechanism). 

Il dilemma

La transizione energetica deve però tener conto sia del cambiamento climatico sia della politica industriale. Così le economie avanzate si trovano di fronte a un dilemma tra la necessità di aumentare la competitività delle imprese e le logiche intrinseche della transizione energetica. Ciò comporta scelte, in entrambi i campi, che devono essere compatibili e coerenti fra loro.

Nel pacchetto presentato dalla Commissione europea nel febbraio 2024, dove è stato raccomandato un nuovo obiettivo climatico per il 2040, si pone l’accento sull’importanza di un “industrial decarbonisation deal”. Segue la dichiarazione di Anversa per un patto industriale verde, sottoscritta da 640 aziende e organizzazioni, che collega il green deal con le esigenze del sistema. Nel suo preambolo, afferma che “per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e l’obiettivo per il 2040, la produzione europea di energia elettrica dovrà moltiplicarsi e gli investimenti industriali essere di sei volte superiori rispetto al decennio precedente. La sfida arriva proprio mentre sia le grandi sia le medio-piccole aziende affrontano la più grave recessione economica dell’ultimo decennio, la domanda è in calo, i costi di produzione aumentano e gli investimenti si spostano in altre regioni”. Tuttavia, il calo del prezzo della CO2 nell’ambito del sistema di scambio di quote di emissione Ets dell’Ue, causato dagli alti prezzi dell’energia e dall’incertezza politica, mette a rischio la credibilità del mercato del carbonio e può diventare un ostacolo alla decarbonizzazione industriale europea.

Gli investimenti

Nella Cop 28, l’Ue si è impegnata a triplicare gli obiettivi per le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica. In realtà, ciò che all’inizio fu denominato un fondo sovrano è stato ridotto all’iniziativa Step (Strategic Technologies for Europe Platform) con 10 miliardi di euro. Dopo la revisione di medio termine del bilancio Ue, la dotazione è scesa a 1,5 miliardi di euro, solo per il Fondo europeo di difesa, senza risorse addizionali per le tecnologie pulite. Invece, i fondi strutturali e di coesione possono essere usati in modo “flessibile”. In ogni caso, i finanziamenti europei per sostenere le cleantech sono sostanzialmente ridimensionati.

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Nonostante gli investimenti “verdi” abbiano avuto un certo slancio negli ultimi anni resta un gap di 406 miliardi di euro per il rispetto degli obiettivi climatici europei. La cifra è stata avanzata dall’European Climate Investment Deficit Report”. A livello globale, gli investimenti sono triplicati rispetto a prima della pandemia, raggiungendo circa 1.800 miliardi di dollari (figura 2). 

Figura 2 – Investimenti nella transizione energetica globale, per settore (in miliardi di dollari)

Produrre o importare?

Nel caso delle energie rinnovabili la Cina prevede di aumentare la sua capacità installata di oltre 2 mila GW, l’Europa cinque volte di meno. Attraverso una pianificazione pluridecennale, il gigante asiatico è diventato leader nelle principali tecnologie legate a questa fonte energetica, incluse le batterie e la produzione di veicoli elettrici. L’ascesa ha generato reazioni da parte delle altre potenze economiche, che hanno contestato a Pechino l’utilizzo di massicci aiuti di stato concessi a tali settori attraverso l’adozione di politiche e strategie per svilupparli. 

In una competizione economica destinata a diventare sempre più accesa, l’Ue teme soprattutto la dominazione cinese nelle catene del valore delle tecnologie pulite. Nasce da qui il dilemma “make or buy” per un’Unione europea orientata verso una maggiore autonomia strategica nei settori legati alla transizione energetica (e sulle materie prime critiche). Si tratta di scelte che possono comportare costi enormi e mettere a rischio gli obiettivi di decarbonizzazione nei tempi fissati. 

La buona notizia è che la transizione energetica è passata dall’essere un argomento di nicchia a fonte di opportunità economiche, attraendo sempre più investimenti e assumendo un peso politico sempre maggiore rispetto alla mera dimensione climatica.

La cattiva notizia è che la situazione è gravata da forte incertezza, a causa della frammentazione geoeconomica e delle tensioni geopolitiche nonché dei rischi degli scenari elettorali in Europa e negli Stati Uniti, che potrebbero inficiare le azioni politiche per la transizione verde.

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  1. Savino

    Le date tassative poste nero su bianco da provvedimenti UE sono ipotetiche e avvenieristiche, non tenendo presente che la capacità decisionale è vero che deve essere esercitata da chi fa politica, ma in nome e per conto del popolo che sia ha onore di rappresentare (tanto per elezione diretta, tanto senza elezione diretta). Le tecnologie che oggi si vogliono sperimentare non sono state sufficientemente collaudate. Bisognava muoversi almeno dalla prima crisi energetica degli anni ’70 , del secolo scorso, o, comunque, negli spensierati anni ’80 e ’90, per avere oggi dei risultanti di una certa rilevanza. Attualmente, il tutto impatta sul portafoglio della capacità di investimenti di aziende e privati che non è certamente quello di 30 o 40 o 50 anni fa.

  2. B&B

    Il riscaldamento con raditori elettrici, consuma elettricità ma non costa piu’ del gas. Inoltre non ci sarebbe necessità della caldaia e dell’impianto con risparmio di circa 10.000 euro/alloggio.
    Inoltre non ci sarebbe bisogno della revisione caldaia annuale.
    Ma far risparmiare soldi ai cittadini con conviene alla politica. I sindaci si sonno raddoppiati lo stipendio arbitrariamente e abusivamente.

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