Le Olimpiadi di Parigi 2024 confermano sia i trend positivi di maggiore partecipazione di donne e paesi, sia le assurdità della graduatoria ufficiale, che se ricalcolata mostra molte sorprese

A differenza del 1916 e del 1940-1944, la “terza guerra mondiale a pezzi” non ha impedito lo svolgimento dei giochi olimpici. E questo sembra un bene, poiché la compresenza delle terribili immagini di distruzione e morte da un lato e delle gare sportive dall’altro ricorda al mondo che ci può essere competizione tra Stati senza spargimento di sangue e nel rispetto di regole condivise ed eque.

Ma a parte questo implicito messaggio di pace che le moderne Olimpiadi portano con sé sin dalla loro fondazione (1896) e che è richiamato anche nel simbolo dei 5 cerchi (i continenti) intrecciati tra loro, la storia dei Giochi Olimpici ha inevitabilmente riflesso l’evoluzione della storia del mondo non solo in termini sportivi: il numero di paesi, la partecipazione femminile, e la distribuzione delle medaglie sono tutte variabili significative che fanno capire la dimensione sociale dei giochi olimpici.

Nazioni, partecipazione femminile e medaglie nella storia delle Olimpiadi

Prendendo in esame le ultime 20 edizioni, da Londra 1948 a oggi, il numero di paesi partecipanti è progressivamente salito da 59 a 205, se si escludono i tre boicottaggi di Montreal 1976 da parte di 27 paesi africani contro l’apartheid in Sudafrica, di Mosca 1980 da parte di Stati Uniti e altre 64 nazioni per l’invasione russa dell’Afghanistan, e di Los Angeles 1984 da parte di Unione Sovietica e altre 13 nazioni in risposta al boicottaggio americano nell’olimpiade precedente.

Dato il numero dei paesi partecipanti, la percentuale di chi ha vinto almeno una medaglia, dopo essere scesa progressivamente fino a fine anni ’80 (a Los Angeles 1984, e Seul 1988, appena un terzo dei paesi partecipanti portò a casa qualcosa), ha cominciato a salire ed è oggi vicino al 45 per cento.

Figura 1 – Numero paesi partecipanti e percentuale paesi vincitori

Altro dato importante è quello della partecipazione femminile: in origine del tutto assente e sotto il 10 per cento a Londra 1948, oggi ha praticamente raggiunto la parità con la partecipazione maschile.

Figura 2 – Quota di partecipazione femminile

Negli ultimi anni anche la distribuzione delle medaglie tra i diversi paesi ha visto affermarsi un trend di minore concentrazione.

Figura 3 – Grado di concentrazione delle medaglie nei paesi

Fonte: Indice di Hirschman-Herfindahl modificato: (H-1/n)/(1-1/n) con n numero di paesi partecipanti e valori tra 0 (equidistribuzione delle medaglie tra i paesi) e 1 (massima concentrazione: tutte le medaglie a un solo paese). Le medaglie di Germania Est e Germania Ovest sono state sommate anche prima della riunificazione politica del 1990.

Si nota sia una riduzione della concentrazione delle medaglie di ciascuna tipologia sia una convergenza del grado di concentrazione di oro e argento verso il valore meno concentrato del bronzo, che è sempre stato storicamente il più equidistribuito tra i paesi.

Ciò significa che le medaglie, anche quelle più prestigiose, diventano in misura crescente, alla portata di tutti i paesi partecipanti.

L’altro medagliere: le medaglie pesate

Come si è argomentato in occasione delle Olimpiadi di Tokyo 2020, il ranking olimpionico basato solo sul numero di medaglie d’oro, contando le altre medaglie d’argento e di bronzo solo in caso di parità, non ha molto senso, se non, forse, per il singolo atleta che probabilmente preferisce una medaglia d’oro a tre d’argento (con la stampa che comincerebbe a parlare dell’ “eterno secondo”). Per una nazione, al contrario, 10 medaglie d’oro e 10 d’argento sono decisamente preferibili a 11 d’oro e nessuna d’argento, anche se il ranking ufficiale dice il contrario.

Pertanto, la prima cosa da fare per valutare il risultato olimpionico di una nazione è ponderare i tre tipi di medaglie considerando che 1 oro vale 2 argenti e 3 bronzi.

Da notare che questo tipo di valore relativo è confermato sia dal valore intrinseco delle tre medaglie sia dal valore dei premi agli atleti. Infatti, dal primo punto di vista la medaglia d’oro in queste Olimpiadi pesa circa 511 grammi, di cui 6 di placcatura in oro e 505 di argento puro; la medaglia d’argento è fatta di 507 grammi di argento mentre la medaglia di bronzo pesa 437 grammi ed è di rame per il 95% più un 5% di zinco. Alle quotazioni attuali la medaglia d’oro vale circa 850 euro che corrisponde al doppio della medaglia d’argento (ma più di 200 volte quella di bronzo).

Ancora più eloquente il premio riconosciuto agli atleti vincitori: ad esempio nel caso italiano, il CONI riconosce, come già a Tokyo 2020, 180 mila euro per l’oro, 90 mila euro per l’argento e 60 mila euro per il bronzo. In altri casi, anche se su valori assoluti molto diversi, il set di pesi è solo lievemente diverso: (1, 0.61, 0.41) per gli USA; (1, 0.7, 0.5) per Israele. In ogni caso, il messaggio è sempre lo stesso: le medaglie vanno pesate e, al riguardo, un accordo internazionale sul valore relativo sarebbe auspicabile. 

Sulla base del set di pesi (1, ½, 1/3), il ranking ufficiale di Parigi cambia sensibilmente. Considerando solo i 28 paesi che hanno ottenuto almeno 3 medaglie d’oro, la Francia da quinta diventa terza, la Gran Bretagna da settima passa a quarta, e anche l’Italia guadagna due posizioni, da nona a settima. Il tutto a scapito di Australia, Giappone e Olanda, che perdono posizioni.

Da notare che l’Italia, con 23.5 “medaglie pesate” ha superato il valore di 21.67 di Tokyo 2020. Naturalmente, l’assenza della Russia, espulsa per la guerra in Ucraina, ha influito sui risultati, dato che si collocava di solito tra i primi cinque (terza a Tokyo).

Tabella 1 – Ranking ufficiale e nuovo ranking con medaglie pesate

Gli effetti di popolazione e sviluppo

Ma c’è un’altra stortura implicita in questa graduatoria, anche nella sua versione “pesata”. Infatti, il numero di medaglie di un paese è il risultato di due fattori-chiave: il talento e l’allenamento, nature and nurture, secondo la nota espressione anglosassone.

In termini socio-economici li si può tradurre nella popolazione (più è numerosa, più talenti naturali nascono), e nel grado di sviluppo del paese (più il paese è ricco, più è in grado di far crescere i suoi talenti e di trasformarli in atleti).

Pertanto il numero di medaglie (pesate) cresce, di norma, con la dimensione della popolazione e col suo livello di sviluppo (salute, istruzione, reddito), e i risultati eccezionalmente “buoni” o “scarsi” di un paese si ottengono depurando per gli effetti “automatici” di entrambi i fattori.

Solo se i risultati olimpionici effettivi sono superiori a quanto ci si aspetterebbe in base alla popolazione e a livello di sviluppo, si può dire che il paese ha conseguito un risultato eccezionale (e viceversa nel caso opposto).

Una semplice regressione delle medaglie pesate su popolazione e indice di sviluppo ha un R2 dell’81 per cento, e mostra effetti positivi sul numero di medaglie sia da parte della popolazione sia da parte del livello di sviluppo. La componente di “errore” della regressione rappresenta il vero successo (se positiva) o insuccesso (se negativa) del paese nei giochi olimpici dopo aver tenuto conto sia della popolazione sia del grado di sviluppo.

Tale componente rappresenta dunque la “vera” graduatoria ai giochi di Parigi 2024.

Figura 4 – Graduatoria al netto degli effetti di popolazione e grado di sviluppo

Nella parte alta di questa nuova classifica si trovano Australia, Francia, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Kenya e la stessa Italia. Nella parte bassa si trovano, tra le altre, Belgio, Norvegia, Spagna, Germania e anche gli Stati Uniti, la cui performance, dicono i dati, non è del tutto in linea con la grande dimensione del paese (quasi 340 milioni di abitanti) e col suo elevato grado di sviluppo.

In attesa che il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) mediti con attenzione sul significato della sua graduatoria, arrivederci a Los Angeles 2028!

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