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Piano strutturale di bilancio: resta una visione di corto respiro

Il Piano strutturale di bilancio ha una durata pluriennale. Ma l’unico vincolo sono i tetti massimi di spesa primaria netta, senza alcun impegno sulle politiche future di spesa e di entrata, sulla loro articolazione per settori e per livelli di governo.

Il vincolo delle nuove regole europee

L’innovazione fondamentale delle nuove regole di bilancio europee, che hanno trovato la loro prima applicazione nazionale nel Piano strutturale di bilancio (Psb) da poco presentato dal governo, consiste nella fissazione, paese per paese tenendo conto delle loro specificità, di una traiettoria pluriennale per la finanza pubblica, non modificabile nel corso dell’attuazione del Piano, come è stato già evidenziato qui e qui.

La traiettoria è definita in termini di correzione minima annua del saldo primario strutturale (cioè del saldo del bilancio dell’intera pubblica amministrazione al netto delle spese per interessi e degli effetti che il ciclo economico ha sulle spese pubbliche) che deve essere applicata nei successivi quattro anni (estendibili fino a sette) per porre il rapporto debito/Pil (l’obiettivo ultimo della disciplina di bilancio) su un sentiero di riduzione «plausibile e continuo». La correzione minima annuale del saldo primario strutturale viene poi “tradotta” in un corrispondente tetto di crescita annuale della spesa primaria netta (al netto cioè degli interessi sul debito e di una serie di altre voci, tra cui le variazioni delle entrate determinate da interventi discrezionali del governo), forse nella convinzione che sia più immediatamente riconoscibile dai decisori politici e dall’opinione pubblica come riferimento operativo per la sorveglianza di bilancio durante l’attuazione del Piano.

Il Piano italiano

La nuova prospettiva di medio termine rappresenta certamente un cambiamento radicale nelle regole europee – prima i vincoli di finanza pubblica da applicare nel paese erano determinati anno per anno – ma la sua effettiva ricaduta sulla decisione di finanza pubblica va meglio specificata. Se i tetti massimi della spesa pubblica da rispettare (o, equivalentemente, i livelli minimi del saldo primario strutturale da conseguire) sono oggi fissati per i prossimi quattro anni, lo stesso non è certamente vero per la dimensione della manovra di finanza pubblica che dovrà essere realizzata anno dopo anno, né tanto meno per la sua composizione tra spese ed entrate. La dimensione effettiva della manovra di finanza pubblica verrà determinata in ogni anno del periodo di aggiustamento sulla base dell’evoluzione tendenziale delle entrate (nella componente sia strutturale sia ciclica) e delle spese per interessi, e degli errori di previsione del passato, sotto l’unico vincolo dei tetti massimi della spesa primaria netta (e delle ulteriori ”salvaguardie” che alla fine sono state introdotte nellagovernance europea per iniziativa dei paesi rigoristi). Nessun impegno pluriennale vincolante viene assunto sulle politiche future di spesa e di entrata, sulla loro articolazione per settori (ad esempio, quanto intervenire sulle pensioni? E quanto sulla sanità?) e per livelli di governo (quale aggiustamento grava sul bilancio dello stato? E quanto invece sui bilanci di regioni e comuni?). Tutto è modificabile, basta che si stia prima e, sperabilmente anche dopo in fase di realizzazione, al di sotto dei tetti di spesa netta fissati dal Piano.

Non c’è una vera programmazione di bilancio pluriennale, intesa come qualcosa che vada al di là della coerenza con la traiettoria di spesa.

Questa limitazione, che deriva dall’impianto delle nuove regole europee, trova puntuale realizzazione concreta nel Piano da poco licenziato dal governo italiano, che non sembra innovare la sostanza della decisione di finanza pubblica: la sua struttura ripropone quella della vecchia Nadef – anzi, con qualcosa in meno, come le informazioni sullo scenario a politiche invariate –, la discussione politica è tutta incentrata sulla manovra per il solo prossimo anno, lo stesso Documento programmatico di bilancio (Dpb) che il nostro governo trasmetterà entro metà ottobre alla Commissione europea riguarderà, come nel passato, il progetto di manovra per il solo 2025 (che poi verrà espresso in dettaglio nel successivo disegno di legge di bilancio). Insomma, tutta la politica di bilancio resta imbrigliata in una visione di corto respiro.

La differenza che passa tra un aggiustamento in quattro o in sette anni

Il Piano strutturale di bilancio presentato dal governo ha poi un’altra carenza rilevante, sempre nell’ottica degli impegni per il futuro, che riguarda il capitolo delle riforme e degli investimenti. Nella formulazione del Psb il governo ha scelto di spalmare l’aggiustamento di finanza pubblica su sette anni (anziché i normali quattro) a fronte dell’impegno a proseguire il percorso di riforme e investimenti previsto dal Pnrr (ora però a carico non più delle risorse europee ma di quelle nazionali). Si tratta di una possibilità che rende il percorso di consolidamento fiscale meno gravoso perché, a parità di obiettivo sul controllo del debito, è distribuito su più anni. Tuttavia, le nuove regole europee condizionano l’allungamento all’impegno del governo a realizzare nel periodo di attuazione del Piano, un insieme adeguato di riforme e investimenti che soddisfino una serie di condizioni: producano miglioramenti del potenziale di crescita e della resilienza del paese, affrontino le priorità comuni dell’Unione e le criticità nazionali evidenziate dalle raccomandazioni specifiche formulate dalla Commissione, garantiscano che il livello complessivo programmato degli investimenti pubblici finanziati a livello nazionale per tutto il periodo del Piano non sia inferiore al livello di medio termine precedente tale periodo. Nello spirito del Pnrr – dove riforme e investimenti sono scanditi da milestone e target da raggiungere con scadenze ben precise fissate a priori – anche per le riforme e per gli investimenti che possano consentire l’allungamento dell’orizzonte di aggiustamento fiscale, le regole europee richiedono che il Psb specifichi, anche mediante apposite tabelle, gli impegni che il governo assume mediante la descrizione dell’intervento, l’indicazione della data di attuazione, l’individuazione di indicatori se possibile quantitativi che consentano di monitorare la realizzazione.

Nel Piano inviato al Parlamento, il governo ha indicato cinque ambiti di intervento il cui miglioramento dovrebbe giustificare l’estensione del periodo di aggiustamento di bilancio: la giustizia, il sistema di tassazione, l’ambiente imprenditoriale, la pubblica amministrazione e la programmazione della spesa pubblica. Tuttavia, la descrizione dettagliata degli obiettivi di queste riforme, delle date di attuazione, delle indicazioni quantitative per il loro monitoraggio manca o è formulata in termini generali, senza impegni precisi. Così come manca il corredo di tabelle specificamente richieste dalle regole europee. Oscura resta poi la dimensione finanziaria di questi interventi di investimento e di come si raccordino con le altre politiche di bilancio per restare entro i vincoli fissati dalle regole europee.

Riusciremo, con questi impegni così generici, a giustificare agli occhi della Commissione la diluizione del percorso di consolidamento fiscale? Oppure il governo provvederà a integrare il testo del Psb con le informazioni richieste prima di inviarlo a Bruxelles, violando però il requisito del pieno coinvolgimento del Parlamento nella definizione del Piano?

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  1. Savino

    E’ incredibile come l’unico richiamo a limitare la spesa sia, a tutt’oggi, l’apertura di una procedura d’infrazione comunitaria, nel senso che non si parla di tetto alla spesa fino a quando non lo si infrange. La dimensione finanziaria degli interventi, in questo senso, dovrebbe anzitutto focalizzarsi sulla limitazione delle spese, con restrizioni soprattutto di quelle correnti, prima ancora di verificare l’introito.

  2. Gini

    Le auto elettriche scoppiano e ti incendiano la casa se le tieni in garage.
    Gli autobus cinesi a trazione elt provocano incidenti come a MESTRE e nessuno allerta.
    Ha ragione TRUMP a vietare la vendita di auto elettriche?

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