Dal 2009 al 2022 Alitalia prosegue nelle scelte sbagliate. Si concentra sui voli domestici e subisce la concorrenza di low cost e alta velocità ferroviaria. Tornata in mano pubblica, tratta con partner non troppo affidabili, fino all’arrivo di Lufthansa.
L’avventura dei “capitani coraggiosi”
A partire dagli anni Novanta, la liberalizzazione europea del trasporto aereo ha imposto alle aziende aeronautiche vincoli di mercato molto più stretti rispetto ai precedenti regimi regolatori. I grandi vettori di bandiera hanno saputo adattarsi, effettuando gli investimenti necessari per accrescere flotta e offerta, ricercando azionisti privati al posto degli stati, contenendo i costi, privilegiando il lungo raggio esente dalla concorrenza dei nuovi vettori low cost e creando aggregazioni attraverso fusioni e incorporazioni. Alitalia ha invece continuato a essere condotta business as usual, come se l’Europa non avesse aperto i cancelli alla concorrenza e restasse il mercato a doversi adattare all’azienda anziché l’azienda al mercato. È in questo contesto che falliscono i due processi di aggregazione con Klm nel 2001 e Air France nel 2008.
Con la “privatizzazione” del 2009 e l’arrivo dei “capitani coraggiosi”, una cordata di imprenditori nazionali, diversi dei quali concessionari pubblici, assemblata dalla politica, le regole e i suggerimenti del mercato continuano tuttavia a essere ignorati. Benché nel trasporto aereo le dimensioni contino, e la sostenibilità economica dei vettori dipenda dalla loro capacità di crescere almeno alla stessa velocità del mercato, il piano Fenice fa decollare la nuova Alitalia privata con una flotta ridotta del 40 per cento, meno personale e minore capacità della precedente, pur prevedendo una miracolosa crescita del traffico e dei ricavi. Anche il lungo raggio viene tagliato, riducendo la relativa flotta alla metà esatta di quella del 2000.
La concorrenza dell’alta velocità ferroviaria
Se i mercati consigliavano di crescere nei segmenti con minor concorrenza, evitando di combattere sul loro terreno i vettori low cost, favoriti da un rilevante vantaggio di costo, la nuova Alitalia sceglie di concentrare l’offerta sui voli domestici. Lo fa, tra l’altro, nello stesso anno del completamento dell’alta velocità ferroviaria sull’asse Nord-Sud che, grazie alla successiva concorrenza tra Italo e Frecciarossa avrebbe poi svuotato la rotta chiave Linate-Fiumicino. La concorrenza sempre più forte dei nuovi treni e dei vettori low cost porta Alitalia a disavanzi nuovamente fuori controllo – 2,1 miliardi di perdite in sei anni – che impongono agli azionisti di cedere nel 2015 la conduzione aziendale a Etihad. I nuovi azionisti si presentano con un interessante piano di rilancio del lungo raggio, che però non realizzano: non procurano gli aerei promessi. Si limitano invece a ridimensionare ulteriormente il breve raggio, rimpicciolendo ancora di più flotta e offerta e regalando altre quote di mercato ai vettori low cost. Travolti anche i nuovi azionisti da consistenti perdite – oltre 1,3 miliardi in un solo biennio – il 2 maggio 2017 fanno richiesta di amministrazione straordinaria e consegnano nuovamente le chiavi aziendali allo stato.
Appena otto anni dopo la pessima privatizzazione, la gestione ritorna pubblica, seppure nella forma dell’amministrazione straordinaria. Servono vari prestiti ponte, chiaramente non restituibili perché utilizzati per continuare a volare in perdita, per un totale di 1,4 miliardi. In base al mandato del governo, i commissari avrebbero dovuto vendere rapidamente l’azienda, ma nel quadriennio dal 2017 al 2021 non ci riescono e alcuni possibili compratori, tra cui il fondo Usa Cerberus, non sembrano essere stati molto bene accolti. In base alle regole europee sugli aiuti di stato, i commissari avrebbero dovuto utilizzare il primo prestito di salvataggio per un brevissimo periodo, nel quale predisporre un piano di ristrutturazione in grado di contenere i costi di produzione e risanare la gestione. Anche questo non è stato fatto.
Coi commissari che non vendono né risanano si arriva nel 2020 alla costituzione da parte del governo Conte II, in piena epoca Covid, della nuova azienda pubblica Ita, istituita atipicamente con norme di legge e destinata a subentrare ad Alitalia, acquisendone gli asset industriali, ma non i consistenti debiti. Dopo una lunga trattativa con l’Unione europea, l’azienda è riconosciuta in discontinuità con Alitalia e ottiene a luglio 2021 il via libera al subentro, seppure con un ridimensionamento dell’investimento pubblico ammesso da 3 a 1,35 miliardi. Il 14 ottobre 2021 si fermano i voli Alitalia e il 15 partono quelli di Ita. Solo pochi mesi dopo decolla anche la procedura per l’individuazione di un acquirente o socio industriale.
L’ultima chance
Dopo Klm nel 1998, Air France nel 2008 e il fondo Cerberus nel 2018, a fine gennaio 2022 si manifesta come nuovo acquirente il gruppo Msc dell’armatore italo-svizzero Gianluigi Aponte, con un’offerta che riguarda il 70-80 per cento del capitale per un investimento compreso tra 1,2 e 1,4 miliardi. Lufthansa è prevista come socio industriale con una partecipazione di minoranza. Tuttavia, il governo non accetta la richiesta di trattativa in esclusiva e avvia invece una procedura aperta al termine della quale risulteranno pervenute due offerte: quella di Msc-Lufthansa e quella del fondo Usa Certares in partnership commerciale con Delta e Air France-Klm. La prima è ritenuta più solida dal punto di vista industriale e finanziario da tutti gli analisti, ma a fine agosto e in prossimità delle elezioni politiche anticipate, il ministero dell’Economia decide inaspettatamente di avviare trattative in esclusiva con Certares. Non arriveranno a buon fine, mostrando anzi l’inconsistenza dell’offerta, probabilmente formulata con l’obiettivo di contrastare quella rivale, nel frattempo decaduta. Siamo a questo punto a quota quattro possibili compratori del vettore di bandiera mandati via in poco più di un ventennio.
Come nel gioco dell’oca a fine del 2022 si ritorna per l’ennesima volta alla casella di partenza e la procedura riparte da zero, con un nuovo Dpcm che ne riscrive le regole, questa volta restringendo i possibili partecipanti ai soli operatori del settore aereo. Ciò permette a Lufthansa, non più in cordata con Msc, di formulare una nuova offerta di acquisto, inizialmente del 41 per cento delle quote azionarie ma con la prospettiva di acquisire nel tempo il completo controllo. A gennaio 2023, non essendo state presentate offerte concorrenti, si avvia una trattativa in esclusiva, che a giugno 2023 porta alla sottoscrizione di un accordo di cessione. Sottoposto all’approvazione dell’antitrust europeo, ottiene il via libera a luglio 2024, dopo un anno intero di trattative. È tuttavia subordinato ad alcuni rimedi concorrenziali, che consistono nella cessione da parte di Ita di un certo numero di slot a favore di altri vettori. Saranno utilizzati per offrire voli in concorrenza su rotte principalmente verso la Germania, ma anche verso il Nord America, che altrimenti sarebbero rimaste coperte solo da Ita e Lufthansa o da vettori come United o Air Canada, che fanno parte della stessa alleanza globale della compagnia tedesca.
Con l’approvazione definitiva da parte dell’Ue, arrivata a fine novembre come ultimo atto della Commissione uscente, dovremmo finalmente giungere alla fine di questa storia, iniziata 25 anni fa col primo accordo con Klm.
In tutto questo tempo, le ragioni industriali all’origine dell’integrazione promossa dall’allora ad di Alitalia Domenico Cempella non si sono attenuate, ma moltiplicate. All’epoca in Italia non si sapeva neppure cosa fossero le compagnie low cost e Ryanair vi aveva fatto solo una timida apparizione con voli da Londra a Treviso. Ora detengono circa due terzi del nostro mercato di breve raggio, domestico ed europeo. I precedenti quattro tentativi d’integrazione non sono tuttavia falliti per caso, generando costi notevoli al paese, In realtà, il mantenimento del controllo pubblico dell’azienda non serviva obiettivi come la creazione di benefici per i consumatori e l’azienda, bensì serviva ad attori collaterali come la classe politica, le burocrazie ministeriali, inclusi anche i manager pubblici e, last but non least, talune aggregazioni sindacali.
Bisogna dare atto alla politica di aver fatto, questa volta, la cosa giusta: ha finalmente perseguito con convinzione una soluzione industriale. Non è mai troppo tardi.
Ugo Arrigo è stato consigliere di amministrazione non esecutivo di Ita Airways da novembre 2022 a luglio 2023. Attualmente non riveste alcun incarico nell’ambito del trasporto aereo.
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Lorenzo Luisi
Interessante. Non citare Berlusconi, responsabile di aver fatto fallire il patto fra Air France e Alitalia che versava un miliardo di euro allo Stato Italiano e venduta oggi a Lufthansa per 1/3 della cifra e che vinse le elezioni proprio per quel motivo, desta tenerezza. Complimenti prof. Arrigo.
Henri Schmit
Ugo Arrigo è notoriamente pro-Berlusconiano. 😂
Francesco Ceccarelli
Buonasera, da ex dipendente Az ancora leggo articoli, brani e letteratura varia ma stavolta osservo una profonda conoscenza della storia.
Avrei tanto voluto lavorare in un’azienda sana e scevra da ingerenze politiche bieche ed ottuse, soprattutto senza accollare deficit e perdite al costo del lavoro.
Grazie del suo studio.
Francesco Ceccarelli
Tomassi Giancarlo
È stato deciso che il Popolo Italiano e la ex Nazione Italia non possa più avere la Compagnia Aerea di Bandiera!
Di fatto siamo diventati una Colonia…
Il ricchissimo mercato è sfruttato da Forze Economiche non identificabili!
Il tutto a scapito dei Lavoratori !
Purtroppo la Politica Italiana si è sottomessa a questa vergognosa situazione!
Angelo
Da appartenente al Popolo Italiano della ex Nazione Italia ad essere sincero non sono così dispiaciuto di non avere più una compagnia di bandiera. E senza mancare di rispetto, io non salvo nessuno: né le Colonie, né le Forze Economiche non identificabili, né la Politica Italiana e tanto meno i Lavoratori che sono anni che ne approfittano come tutti gli altri attori di questa ignobile farsa. Finalmente sembra che sia finita e che smetterò di pagare con le mie tasse. Amen.
Luca Malfatti
Grazie per l’analisi interessantissima e puntuale. Difficile (quasi impossibile) trovarne una simile nell’ambito dei canali di informazione tradizionali (stampa e TV) che sempre più predilogono la semplice narrazione di fatti di cronaca, inseguendo la notizia del giorno e dimenticandosi di fare vera informazione e approfondimento dei fatti.
BT
Per condo di plurimi assistiti mi sono insinuato al passivo di Alitalia in As nel 2009.
Poi la stessa cosa nel 2017.
Sarebbe opportuno spiegare al pubblico che l’unica cosa che ha fatto lo Stato é stato creare non una ma due bad company insolventi cioè procedure concorsuali con costi di gestione incredibili.
Ogni volta a detrimento di creditori.
Sarebbe bene chiarire cosa é stato finanziato e quali costi assurdi sopportavano queste società rispetto alle concorrenti…
Paolo
Ma sei serio?