Raggiungere buoni livelli di istruzione dipende ancora troppo spesso dal background familiare. Gli esigui aiuti agli studenti più fragili hanno procedure lente, macchinose e poco pubblicizzate. Così i possibili beneficiari finiscono per non richiederli.
Istruirsi? Una questione di classe
L’Italia continua a posizionarsi tra gli ultimi paesi in Europa per tasso di laureati tra i giovani, nonostante qualche miglioramento registrato negli ultimi anni. È un persistente dato negativo, che ne nasconde un altro meno noto, o, meglio, meno dibattuto: i profondi divari sociali nell’accesso all’istruzione. Come mostrato da Istat (figura 1), i giovani con genitori laureati hanno una probabilità cinque volte maggiore di conseguire una laurea rispetto ai coetanei con genitori meno istruiti (67,1 per cento contro 12,8 per cento).
I problemi però cominciano prima. L’Italia ha un record storico negativo in termini di abbandono scolastico a livello secondario. È vero che il fenomeno si è ridotto significativamente negli ultimi anni. Ma non per tutti. Nel 2023, la quota di chi aveva abbandonato gli studi senza aver conseguito un diploma era, tra i figli di genitori con bassi livelli di istruzione, quindici volte superiore a quello riscontrato tra i figli di laureati (23,9 per cento contro 1,6 per cento) (figura 2).
Le criticità non finiscono qui. Oltre all’abbandono scolastico (altrimenti detto “dispersione esplicita”) dobbiamo affrontare anche il tema della dispersione implicita, ovvero il mancato raggiungimento dei livelli minimi di apprendimento, dove le origini sociali continuano a pesare in modo rilevante.
Il completamento dei vari livelli di istruzione e la riduzione dei divari sociali sono strettamente connessi. Non si potrà colmare il gap con gli altri paesi europei rispetto alla quota di giovani in possesso di un titolo terziario, se persistono disuguaglianze così ampie e se gli studenti più fragili non riescono nemmeno a completare la scuola secondaria o lo fanno con risultati troppo bassi, compromettendo così le loro possibilità di portare a termine con successo gli studi.
Uno dei principali fattori alla base dei divari è di tipo economico. Le famiglie in cui i genitori hanno livelli di istruzione più bassi sono spesso famiglie che dispongono di minori risorse economiche. Questo incide sulla loro capacità di sostenere i costi diretti e indiretti dell’istruzione, di pianificare gli investimenti in istruzione nel lungo termine e di offrire ai figli opportunità educative di qualità. È necessario investire precocemente nelle politiche di sostegno allo studio. Ma in Italia, cosa si fa al riguardo?
Il duplice significato di “diritto allo studio”
La politica per il diritto allo studio scolastico è un ambito pressoché sconosciuto nel nostro paese, affrontato in letteratura prevalentemente sotto il profilo del diritto. Effettivamente, l’espressione “diritto allo studio” si caratterizza per contenere in sé di due significati, quello giuridico – diritto di accesso al sistema d’istruzione – e quello di policy. La sovrapposizione terminologica spiega forse perché le politiche sono state essenzialmente esaminate alla luce delle norme che l’hanno sancite, assunte come dato di realtà, quando notoriamente tra la normativa e la sua applicazione c’è una discrepanza talvolta anche profonda.
Gli aiuti: contributo statale per libri di testo e borsa IoStudio
In Italia sono previsti attualmente due tipi di aiuti monetari per sollevare le famiglie dal costo dell’istruzione: il contributo statale per libri di testo, a partire dall’anno scolastico 1999-2000, e la borsa IoStudio, dall’anno scolastico 2017-2018. Alcune regioni attuano poi ulteriori forme di sostegno, normate dalla legislazione regionale e finanziate con risorse proprie, come ad esempio i voucher in Piemonte. Come per quasi tutte le politiche in Italia, la materia è in capo a due soggetti – stato e regione – non propriamente raccordati tra loro, il che discende da un quadro di attribuzione delle competenze non risolto a livello costituzionale. La gestione degli aiuti coinvolge però sempre il livello regionale e talvolta quello comunale.
Il contributo per libri di testo è un importo monetario finalizzato al pagamento delle spese per libri di testo degli studenti della scuola secondaria di 1° e 2° grado, statale o paritaria, con Isee fino a 15.748,78 euro. Lo stato trasferisce le risorse alle regioni, che nella maggior parte dei casi trasferiscono il finanziamento ai comuni, i quali indicono il bando per individuare i beneficiari. Ciò porta a iter amministrativi lunghi e, di conseguenza, a tempi lunghi per ricevere il contributo.
La borsa IoStudio, istituita espressamente al fine di contrastare la dispersione scolastica, è destinata agli studenti della scuola secondaria di 2° grado per l’acquisto di libri di testo, per mobilità e trasporto, o per l’accesso a beni e servizi di natura culturale. Le regioni ne fissano sia l’importo, entro un range compreso tra 150 e 500 euro, sia la soglia Isee per averne diritto, fino a un massimo di 15.748,78 euro. Diverse sono le problematiche:
- la procedura di assegnazione è farraginosa: i beneficiari sono individuati dalle regioni, che trasmettono l’elenco al ministero dell’Istruzione, il quale, se non li trova nel proprio dataset, ritrasmette i nominativi alle regioni, che si interfacciano con le istituzioni scolastiche, e infine ricomunicano i beneficiari al ministero;
- il mancato ritiro della borsa, accreditata sulla carta Postepay, di quota parte degli studenti beneficiari.
Di recente è stata almeno risolta la questione della tempistica dell’accredito, che fino al 2022-2023 avveniva oltre un anno dopo l’avvio dell’anno scolastico per cui era erogata.
Poche risorse, beneficiari non pervenuti
Quanto investe lo stato per il diritto allo studio scolastico? Risorse assai esigue. Negli ultimi tre anni, lo stanziamento è stato di 133 milioni di euro per il contributo statale e meno di 40 milioni di euro per le borse IoStudio (figura 3). Lo 0,008 per cento del Pil.
Quanti studenti ne hanno beneficiato e che importo hanno ricevuto? Sono dati ignoti, perché il ministero distribuisce le risorse, ma non effettua alcuna rilevazione dati, o nel caso della borsa IoStudio, non li rende pubblici. Ne consegue l’impossibilità non solo di valutare gli effetti di questi interventi – per sapere se le risorse sono ben spese, ovvero se l’investimento serva a ridurre i divari sociali e a contenere la dispersione scolastica – ma anche solo di monitorarne l’attuazione.
L’Italia non riuscirà a colmare il divario con i paesi europei rispetto alla quota di giovani con un titolo di istruzione terziaria se non ridurrà il peso delle origini familiari, ancora troppo determinanti nel conseguimento di una laurea. Ed è necessario intervenire tempestivamente, senza attendere che si arrivi al percorso universitario, considerato che un giovane 25-34enne su cinque, nel 2023, nel nostro paese non ha neanche un diploma di scuola superiore.
Il sostegno economico diretto alle famiglie e agli studenti non è evidentemente una misura che può essere da sola risolutiva, ma di sicuro non può esserlo se è sottofinanziata e misconosciuta.
* Le opinioni espresse da Federica Laudisa non impegnano l’Istituto d’appartenenza.
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lorenzo
Zitti che qualcuno potrebbe voler imitare Trump [https://www.aclu.org/news/racial-justice/trumps-attack-on-the-department-of-education-explained]
Lucia Sironi
In questo interessante articolo non si cita un fattore, secondo me, decisivo per aiutare gli alunni più fragili a conseguire buoni risultati a scuola: i professori. In Italia bisognerebbe pagare molto di più i docenti ma pretendere molto di più. Ora insieme a professori e professoresse fantastici vivacchiamo “a ufo” persone assenteiste e che vengono (quando non si assentano) solo scaldare la sedie senza fare nulla.
Il diritto allo studio sarà effettivo solo quando anche questa situazione sarà affrontata e risolta. Purtroppo non mi sembra ci sia volontà politica di farlo.