Bisogna intervenire subito per ristabilire la fiducia sui mercati finanziari e fermare il circolo vizioso avviato dai dazi americani. Perché in un’economia basata sulla finanza, gli shock di politica economica si propagano ben oltre il loro ambito iniziale.
I dieci giorni che hanno sconvolto il mondo
All’inizio di aprile 2025, l’amministrazione Usa ha annunciato un aumento generalizzato dei dazi, con aliquote comprese tra il 10 e il 50 per cento, destinato a colpire quasi tutti i partner commerciali. Quella che inizialmente sembrava una misura di politica commerciale si è rapidamente trasformata in uno shock finanziario globale.
Tutto ha avuto inizio il 2 aprile, quando il presidente Trump ha annunciato un nuovo pacchetto di dazi. Due giorni dopo, il 4 aprile, Pechino ha prontamente reagito con misure di ritorsione, mentre il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, si diceva preoccupato per il persistere di pressioni inflazionistiche, il che non ha mancato di aggiungere altra incertezza a una situazione già incerta.
Il 7 aprile si sono diffuse indiscrezioni su una possibile moratoria di 90 giorni sui nuovi dazi, che però avrebbe escluso le importazioni provenienti dalla Cina.
Il 9 aprile è arrivata la conferma ufficiale: la sospensione delle tariffe riguarda tutti i paesi tranne, appunto, la Cina, alla quale si applica anzi un ulteriore aumento, che porta l’aliquota al 145 per cento. Queste notizie, giunte in rapida successione, hanno alimentato incertezza, instabilità e reazioni a catena sui mercati finanziari, che negli ultimi giorni hanno vissuto momenti drammatici.
La figura 1 mostra l’andamento di alcuni indicatori chiave negli ultimi dieci giorni. Il rendimento del Treasury a 10 anni, tradizionalmente considerato un bene rifugio, ha registrato oscillazioni marcate. Altrettanto è successo al Vix, la “proxy della paura nei mercati”, che ha avuto impennate che sono un chiaro segnale dell’incertezza diffusa. L’indice azionario S&P 500 ha avuto forti perdite, mentre lo spread del Cdx Na Investment Grade, una misura del rischio percepito nel credito corporate, ha subìto aumenti significativi. Le variazioni repentine sono avvenute non nell’arco di giorni, ma talvolta nell’arco di pochi minuti.
Figura 1

Perché è diverso dal 2018?
Tensioni commerciali si erano già avute del biennio 2018-2019, sempre a causa dei dazi introdotti da Trump nel suo primo mandato. Erano state però più limitate e avevano colpito principalmente la Cina. Lo shock di oggi appare molto più ampio e profondo. Colpisce infatti un numero molto più ampio di paesi e settori. Si è manifestato in modo inatteso: i mercati non avevano dato molto molto peso alle promesse elettorali di Trump e dunque non avevano anticipato e prezzato i possibili dazi. Ha poi un carattere sistemico: ormai non si tratta solo di una disputa commerciale, ma di un segnale di rottura tra l’economia statunitense e il sistema commerciale globale.
Insieme, i tre fattori (dimensione, sorpresa, portata) hanno innescato un crollo delle aspettative sugli utili futuri delle imprese e sulla crescita dei paesi e sull’integrazione globale. E i mercati hanno reagito con le vendite. Ma a rendere l’episodio un evento di natura finanziaria è la struttura attuale dei mercati.
Il canale finanziario: come funziona il ciclo
I primi mesi del 2025 si sono caratterizzati per i mercati finanziari come una fase euforica, con valutazioni elevate e un ampio uso della leva finanziaria. Ma quando i prezzi iniziano a scendere, gli investitori ricevono richieste di garanzie aggiuntive (margin call) per far fronte alle quali vendono altre attività. A loro volta, le vendite, spesso generalizzate, causano ulteriori cali di prezzo, innescando nuove margin call, in una dinamica che si autoalimenta.
Il meccanismo non è dunque psicologico, ma del tutto meccanico: è così che i mercati finanziari reagiscono quando sono fortemente indebitati.
Questo meccanismo segue la sequenza classica descritta da Charles Kindleberger (ispirato da Hyman Minsky) nel descrivere l’evoluzione di una crisi finanziaria: Senza un chiaro intervento di politica economica (quello che in gergo si chiama “put”), il ciclo si autoalimenta, peggiorando la stabilità finanziaria.
Le tariffe portano inflazione o deflazione?
Molti vedono le tariffe come uno shock inflazionistico perché alzano i prezzi delle importazioni. Ma in un contesto finanziario fragile, il risultato può essere opposto, perché il meccanismo che abbiamo appena descritto tende a peggiorare le condizioni creditizie.
Il peggioramento del sistema creditizio, insieme alla caduta della domanda aggregata causata dalla perdita di ricchezza (dovuta ai ribassi dei corsi azionari), può determinare una deflazione di origine finanziaria.
Un nuovo modo di leggere il rischio finanziario
Con i miei coautori Ozge Akinci, Marco Del Negro e Albert Queralto, ho proposto il concetto di R**, un tasso di interesse reale di riferimento per valutare lo stress di carattere finanziario in relazione al tasso di interesse reale di mercato.
Figura 2

Lo shock tariffario può essere interpretato come una diminuzione di R** (proprio perché scendono i prezzi dell’azionario e si allargano gli spread creditizi): se i tassi di interesse reali restano alti, il sistema entra in zona di stress finanziario. Il concetto di R** aiuta a capire come le condizioni del sistema finanziario possano diventare restrittive anche senza aumenti dei tassi nominali. Monitorare indicatori ad alta frequenza legati a R** è cruciale per valutare l’intensità dello shock.
Cosa può fermare questo ciclo?
Per contrastare questa dinamica, servono strumenti straordinari. Una possibile risposta potrebbe arrivare sotto forma di un intervento esplicito della banca centrale – il cosiddetto “put” – oppure tramite misure di liquidità dirette ai settori più colpiti. Naturalmente, anche un ripensamento sulle nuove tariffe o l’avvio di un percorso negoziale credibile potrebbero contribuire a ristabilire fiducia.
Se non si fa niente, il canale finanziario reale prevale sul canale commerciale tradizionale e il rischio di recessione aumenta.
Una crisi finanziaria, non solo commerciale
Siamo di fronte a uno shock macro-finanziario, non solo geopolitico o commerciale. E dunque la crisi segue il copione descritto da Kindleberger: uno shock iniziale, amplificato da una struttura di mercato fragile, genera vendite forzate, stress e contagio.
La lezione più ampia? In un’economia basata sulla finanza, gli shock di politica economica si propagano ben oltre il loro ambito iniziale, influenzando bilanci, valutazioni e flussi di credito.
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Savino
Sono le istituzioni che governano il mondo, i singoli continenti ed i singoli Stati ad essere diventate fluide e leggere . E’ a causa dalla debolezza democratica e del tallone d’Achille istituzionale che è possibile tutto questo. Ormai, nel governare le masse di esseri umani, le priorità sembrano essere altre. Ne vien fuori un concetto di istituzioni, che dovrebbero garantire l’ordine mondiale economico, politico e militare, assai limitato e dalla propensione egoistica anzichè umanistica. Non viene più supportato nè chi ha bisogno, nè chi produce e lavora, nè chi merita ed ha talento. Non solo sono state ripudiate le idee solidaristiche, ma anche quelle liberali e liberiste, dal momento in cui tutto il mondo rende omaggio , prostandosi, ad un uomo assorbito nella sua paranoia psicolabile da possesso. Siamo in serio pericolo ed il peggio potrebbe non essere finito qui.