Al di là dei suoi contributi di studioso o dei suoi ruoli istituzionali, oggi vogliamo ricordare Marco Onado per la “semplice profondità” del suo pensiero, per lo stile fatto di intelligenza, rigore e indipendenza. Per tutti gli insegnamenti che ci lascia.
Una triste notizia
La notizia della morte di Marco Onado, studioso profondo dei mercati e della finanza, uomo delle istituzioni e limpido divulgatore, sempre chiaro ma mai banale, rattrista profondamente chi lo ha conosciuto e i suoi numerosi lettori. Ci mancheranno molto la forza pacata ma rigorosa del suo ragionare, l’onestà intellettuale e la totale indipendenza delle sue posizioni, la saggezza acquisita senza perdere freschezza e passione, il calore umano che pur nella sua discrezione e garbo sapeva trasmettere.
Ho conosciuto Marco verso la fine degli anni Novanta dello scorso secolo, io giovane dottorando in diritto commerciale, lui già – tra le altre cose – commissario della Consob e componente del gruppo di lavoro che, col coordinamento di Mario Draghi, scriveva il Testo Unico della Finanza. Nel corso degli anni, a qualche veloce incontro nei corridoi dell’Università – nei quali tuttavia avvertivo una certa spontanea e reciproca simpatia –, si sono aggiunte occasioni di discussione più articolata sui nostri temi. La conoscenza si è poi approfondita perché Marco si è reso disponibile per essere nominato nel comitato scientifico di un’associazione di intermediari che presiedo e, anche in quel ruolo, ci ha offerto analisi importanti, punti di vista nuovi e interventi vivaci.
Indipendenza e rigore: il tratto del suo stile
Non ho però intenzione di soffermarmi sui suoi contributi di studioso, sui suoi ruoli istituzionali o sulla sua prolifica attività di editorialista (anche qui su lavoce.info, cui teneva parecchio). Moltissimi i contributi, frutto di un lavoro e di una curiosità vivi e vitali sino all’ultimo. Ci saranno altre occasioni per farlo e, d’altro lato, almeno per gli aspetti strettamente economici altri colleghi e amici sono più titolati di me a parlare. Vorrei invece spendere qualche parola, spero senza la retorica e l’enfasi che Marco ha sempre evitato, su quello che potrei definire il suo stile, dal quale davvero abbiamo tutti da imparare e che pare, purtroppo, sempre più raro.
Innanzitutto, Marco ha sempre avuto un rapporto di sano distacco e diffidenza dal potere. Economista impegnato, con ruoli importanti nelle istituzioni, in università e in numerosi organismi pubblici e privati, ha sempre inteso il suo ruolo di servizio non solo con indipendenza e rigore, ma in modo quasi schivo, temporaneo, pacato, con una sorta di timidezza che lungi dall’essere segno di debolezza o ingenuità, era semmai espressione della forza della sua intelligenza. In un tempo spesso caratterizzato da un esercizio muscolare del potere, e di commistioni tra poteri, l’unico potere nel quale Marco pareva credere e davvero rispettare era quello delle idee, dell’etica, della libertà dello spirito e della critica.
Altro segno caratterizzante di Marco erano i modi gentili, mai urlati, e il rispetto dell’interlocutore. Se le sue posizioni sono state talvolta anche dure e nette, si sono sempre concentrate sui fatti. Lontanissimo dalle personalizzazioni e dalle polemiche di piccolo cabotaggio, ha sempre preferito tenere lo sguardo fisso, e alto, sui problemi sostanziali. A questo atteggiamento ascrivo anche l’indifferenza verso il protagonismo e la superficialità dell’apparire: nell’epoca dei social, nella quale l’egotismo da social media conduce troppe persone (e chi è senza peccato scagli la prima pietra) a ritenere materia di interesse pubblico anche la brioche presa a colazione o il proprio ultimo pensierino della sera, Marco apparteneva a quella sempre più rara schiera di accademici che partecipava ai convegni anche come ascoltatore, interessato al pensiero e alle idee altrui, pronto a contribuire senza bisogno di palcoscenico.
La vastità degli interessi culturali
Non posso poi non citare la ricchezza e diversità dei suoi interessi culturali, che si riflettevano in particolare nella attività di divulgatore, dove sapeva spiegare una complessa vicenda bancaria o discutere di cripto-attività appassionando il lettore con un aneddoto storico, un riferimento al cinema (sua grande passione, ben rappresentata in un vivace libro sulla finanza nei film), ma anche al calcio o a fenomeni ancor più pop. Agganci efficaci, concretamente utili e misurati, alieni sia dalla ricerca “piacionesca” della battuta sia dalla vuota erudizione: una “leggerezza”, come la definiva Calvino, che però rendeva molti suoi scritti godibilissimi e memorabili. Anche in questo si vedevano le doti di docente che aiuta a capire, ma anche a ricordare. Non solo: a livello accademico Marco era un economista veramente interessato alle cosiddette variabili istituzionali, alle dinamiche del diritto, al ragionamento giuridico. Un interesse probabilmente indotto anche dalle sue responsabilità pubbliche e dalle esperienze sul campo, ma certamente questo tratto gli ha consentito un proficuo e reciproco scambio anche con questo mondo, ben sintetizzato dal suo ancora attuale manuale sull’economia e la regolamentazione dei mercati finanziari.
La poliedricità di interessi, l’ampia cultura devono pure essere – speriamo – di ispirazione per tutti noi. In un periodo di iperspecializzazione talvolta un po’ arida o, al contrario, di diffuso effetto Dunning-Kruger per cui tutti si sentono esperti di tutto dopo qualche interlocuzione con la IA, l’umile curiosità dello sguardo di Marco sulla realtà e la vastità del suo orizzonte erano e sono rinfrescanti. Di recente, ho avuto l’opportunità di leggere a fondo Watchdog – titolo ispirato anche al suo amore per i cani –, uno dei suoi ultimi lavori che raccoglie gli interventi degli ultimi anni sulla rivista Investire, perché Marco mi chiese una breve premessa al volume. Ebbene, lo consiglio per una bella carrellata su diversi problemi della attualità economica che dimostra, pagina dopo pagina, la brillantezza e la “semplice profondità” del suo pensiero.
Scrivo “semplice profondità” e subito mi viene in mente un ultimo punto. Le osservazioni di Marco sulle vicende economiche e giuridiche dei nostri tempi erano caratterizzate da scelte etiche molto precise, sostanziali, prive di estremismi e guidate da un concreto buon senso, ma non per questo ambigue o indebolite da distinzioni inutilmente sottili. Parlava con pacata trasparenza, e il suo parlare era davvero «sì, sì» e «no, no», mentre lasciava il di più al Maligno.
Non appartenevo alla schiera degli amici stretti di Marco, forse anche per ragioni anagrafiche, ma proprio per questo desidero lasciare, per ora, almeno questa piccola testimonianza. Anche una frequentazione limitata, qualche discussione e riflessione comune, alcuni caffè presi parlando di università o di mercati finanziari mi hanno consentito di cogliere appieno alcuni tratti della sua personalità e apprezzarli. Abbiamo bisogno di persone così, Marco lascia un vuoto, ma possiamo onorare la sua memoria anche rammentandone e, per quanto ci riuscirà, seguendone gli insegnamenti di stile.
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