Su risanamento e risoluzione delle banche e sistemi di garanzia dei depositi le lancette dell’orologio in Europa restano a dieci anni fa. Obiettivo primo è ridurre il conto per il contribuente, mentre non si fa cenno alla protezione dei risparmiatori.

Un ruolo più ampio per i sistemi di garanzia dei depositi

A giugno 2025, sulla pagina web del Consiglio dell’Unione europea è stato annunciato con enfasi l’accordo per la riforma del pacchetto normativo del 2014 su risanamento e risoluzione delle banche (dir. 2014/59/Ue) e sui sistemi di garanzia dei depositi (dir. 2014/49/Ue).

L’argomento non sembra cruciale in una fase di stabilità finanziaria, in cui le banche europee mostrano bilanci solidi. La lettura della riforma è peraltro istruttiva per capire dove va l’Europa in materia regole per la finanza. Per le istituzioni europee le lancette dell’orologio sono ferme a dieci anni fa.

Sono tante le modifiche apportate dalla riforma. In sintesi, si amplia il perimetro delle banche assoggettate alle procedure di risoluzione, oggi limitato, di fatto, alle banche di rilevanza sistemica; e si accresce il ruolo dei sistemi di garanzia dei depositi (Sgd).

Per ragioni di spazio concentriamo l’attenzione sul punto che riguarda gli Sgd, perché emblematico dell’approccio del legislatore europeo. Le nuove norme consentono l’uso delle risorse dei sistemi di garanzia depositi per raggiungere la soglia minima di capacità di assorbimento interno delle perdite (fissata attualmente all’8 per cento) per consentire alla banca di accedere al Fondo di risoluzione europeo, nel caso in cui per raggiungere la soglia sia necessario imporre perdite ai depositanti. Ma se si vogliono proteggere gli interessi dei depositanti, la riforma arriva tardi, aiuta poco ed è complicata da attuare.

Nell’impianto del 2014 il bail-in, che può comportare la riduzione del valore di azioni, obbligazioni e altre passività della banca oppure la conversione di obbligazioni e altri crediti verso la banca in azioni della stessa, è il primo strumento da utilizzare per affrontare la crisi. I depositanti sono trattati come qualsiasi altro creditore; si salvano, di fatto, solo i depositi sotto la soglia dei 100mila euro, perché a loro favore interviene, con rimborso ex post, l’Sgd, in Italia il Fondo interbancario di garanzia (o quello delle banche di credito cooperative a seconda del caso).

La possibilità di incidere sui diritti dei depositanti per gestire la crisi nel quadro della direttiva è accresciuta dall’interpretazione della Commissione europea, con il suo cappello di autorità della concorrenza (che decide, quindi, quali siano gli aiuti di stato legittimi). La Commissione, nella comunicazione del 2013, considera gli interventi degli Sgd diversi dal rimborso ex post dei depositi fino a 100mila euro e gli interventi del Fondo di risoluzione aiuti di stato, anche se le risorse finanziarie, in entrambi i casi, provengono dal sistema bancario. Questa interpretazione spiega perché bisogna abbattere azioni e altre passività fino alla soglia dell’8 per cento per poter usare le risorse del Fondo di risoluzione. Se il suo uso è aiuto di stato, bisogna prima incidere sui diritti di azionisti e creditori della banca, perché le risorse finanziarie pubbliche sono le ultime a cui rivolgersi nell’attuale impianto normativo.

Una scelta sbagliata

Prevedere sulla carta che si possano toccare i soldi dei depositanti per gestire la crisi è una scelta sbagliata. Forse poteva essere giustificata all’indomani dell’enorme utilizzo di aiuti di stato per fronteggiare la grande crisi finanziaria globale, ma non lo è oggi. Lo dimostra il fatto che la risoluzione, come confermato dalla Commissione europea, è stata usata pochissime volte (tre soli casi gestiti dal Comitato di risoluzione unico, di cui di rilievo solo quello del Banco Popular Español); sono state preferite le procedure di liquidazione nazionali, più flessibili e più attente a preservare i diritti di depositanti e obbligazionisti, oppure soluzioni “preventive” con l’aiuto di sistemi di garanzia “volontari” che sfuggono ai vincoli stabiliti dalla Commissione per il loro pieno utilizzo. Una lezione viene anche dall’esperienza extra-europea. Le crisi nel 2023 della Silicon Valley Bank negli Usa e del Credit Suisse in Svizzera sono state gestite con grande utilizzo di risorse pubbliche e con dichiarazioni delle autorità che i depositanti potevano dormire sonni tranquilli, anche se il loro deposito era superiore alla soglia che viene rimborsata dai sistemi di assicurazione dei depositi (negli Usa 250mila dollari).

D’altro canto, la scelta di prevedere il coinvolgimento dei depositanti e i limiti all’utilizzo dei sistemi di assicurazione dei depositi rinnegano fiumi di letteratura economica sulla materia (a partire dallo studio sui bank runs) e la storia della gestione delle crisi bancarie. In nessun paese a economia avanzata negli ultimi settanta anni i depositanti di una banca hanno perso i loro risparmi a seguito di crisi, per evitare di minare la fiducia dei risparmiatori. Unica eccezione la gestione della crisi del sistema bancario cipriota nel 2012. Si è trattato di una scelta tragica, fatta guardando alla nazionalità dei depositanti (in prevalenza di origine extra-europea, in particolare russa) che ha avuto un impatto drammatico sull’economia del piccolo stato. La fiducia dei depositanti garantisce il fragile equilibrio su cui si basa l’attività bancaria. Le banche sono cruciali per il finanziamento dell’economia, anche nei sistemi finanziari mercato-centrici, come quelli anglosassoni.

La filosofia della riforma è contenuta nella dichiarazione di Andrzej Domański, ministro delle Finanze polacco, che accompagna la sua presentazione: “This reform of the crisis management and deposit insurance (Cmdi) framework provides additional protection for taxpayers and citizens from the fallout from failing banks” (Questa riforma del quadro di gestione delle crisi e di assicurazione dei depositi (Cmdi) assicura ulteriore protezione per i contribuenti e per i cittadini dalle ricadute del fallimento delle banche).

Oggi, come dieci anni fa, il primo obiettivo del legislatore è ridurre gli oneri del contribuente nella gestione delle crisi bancarie; non si fa cenno alla protezione dei risparmiatori, perché anche in questa occasione, come nel 2014, la bilancia del legislatore europeo pende a favore del contribuente e a sfavore del risparmiatore. In ogni passo della gestione della crisi, regole e procedure sono costruite dando prevalenza all’interesse del contribuente, legando le mani alle autorità che la gestiscono.

Se abbiamo bisogno di un sistema finanziario composto da banche e mercati dei capitali solidi per sostenere la crescita economica dell’Europa, le istituzioni europee non sono sulla strada giusta. Ancora una volta, regole troppo complesse e poco flessibili.

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