Negli Usa l’adozione dell’IA ha rallentato la crescita dell’occupazione. Ha colpito soprattutto i lavoratori senza laurea e i settori tradizionali e ha favorito quelli con competenze tecniche, accentuando la polarizzazione del mercato del lavoro.
Come cambia il lavoro con l’IA
L’intelligenza artificiale (è spesso descritta come la nuova rivoluzione industriale. Ma chi vince e chi perde in questa trasformazione? I dati degli Stati Uniti, dove la diffusione dell’IA è più avanzata, offrono indicazioni utili anche per l’Europa.
In uno studio recente, con i miei coautori, abbiamo analizzato come l’adozione dell’IA abbia inciso sull’occupazione in 722 zone di pendolarismo statunitensi tra il 2000 e il 2020. È la fase “classica” dell’intelligenza artificiale, basata su algoritmi applicati a grandi masse di dati, prima dell’arrivo dei modelli generativi.
In mancanza di statistiche ufficiali, per misurare la diffusione di queste tecnologie, siamo partiti dall’osservazione che l’adozione e lo sviluppo dell’IA non richiede solo grandi quantità di dati e un software avanzato per gestirli e analizzarli, ma richiede professionisti che siano in grado di utilizzarli. La nostra misura di adozione di intelligenza artificiale è quindi l’aumento della proporzione di questi professionisti rispetto alla forza lavoro. Per individuare le professioni legate all’IA, ci siamo basati sulle competenze relative a 54 software specifici richieste per le 867 professioni presenti sulla banca dati statunitense O*NET.
Come ci si potrebbe aspettare, i profili identificati comprendono data scientist, programmatori, analisti e sviluppatori, la cui incidenza è aumentata in maniera rapida ma diseguale. L’IA, infatti, si è concentrata nei servizi avanzati e nelle attività professionali, lasciando indietro settori più tradizionali tra quelli manifatturieri e i servizi. La figura 1 mostra come la diffusione dell’AI sia diseguale anche a livello geografico, con maggiore concentrazione nelle aree di Boston, Seattle e Silicon Valley, ma anche nei nuovi hub tecnologici di Boulder, Bozeman e Salt Lake City.
Figura 1 – Distribuzione geografica dell’adozione di AI

Note: La mappa riporta il valore medio della misura di adozione di IA in ogni zona di pendolarismo tra i decenni 2000-2010 e 2010-2020.
L’occupazione rallenta
Il passo successivo è stato stimare l’effetto sull’occupazione complessiva. Il risultato è netto: le aree più esposte all’IA hanno sperimentato una crescita dell’occupazione più lenta. Se la zona “media” non avesse adottato l’IA, il suo tasso di occupazione sarebbe stato più alto di circa 0,6 punti percentuali.
La figura 2 illustra bene la natura diseguale di questi effetti. L’impatto negativo è concentrato nei servizi e tra i lavoratori senza laurea, mentre risulta nullo o positivo per chi ha una formazione scientifica o un reddito elevato. L’IA, quindi, non colpisce tutti allo stesso modo: favorisce chi dispone di competenze tecniche e capacità di interazione con la tecnologia, penalizza chi svolge mansioni standardizzabili o di routine.
Inoltre, quasi la metà della riduzione complessiva dell’occupazione si registra nel manifatturiero, dove l’IA – pur poco diffusa – produce effetti indiretti di automazione attraverso i servizi digitali. Ne emerge un quadro di forte polarizzazione: pochi guadagnano molto, molti restano indietro.
Figura 2 – Gli effetti eterogenei dell’IA sull’occupazione

La lezione da trarne
Questi risultati sono in linea con studi recenti, relativi alla fase successiva della intelligenza artificiale generativa, come quelli di Erik Brynjolfsson, Bharat Chandar e Raya Chen e di Seyed Hosseini e Guy Lichtinger, che basandosi su dati amministrativi, cv e annunci di lavoro, mostrano che la diffusione di ChatGPT e altre applicazioni di GenAI hanno ridotto l’occupazione tra i giovani di 22-25 anni e nei ruoli junior, senza effetti sugli altri gruppi.
Altri studi, basati sul grado di esposizione delle diverse professioni (sia in termini di complementarità che di sostituibilità) rispetto all’IA, non hanno riportato evidenza significativa sugli effetti occupazionali di questa tecnologia.
Nel complesso, queste ricerche suggeriscono che l’IA non ha ancora generato una “disoccupazione di massa”, ma sta ridisegnando la composizione del lavoro, spostando le opportunità verso le competenze più elevate e l’esperienza.
Per i decisori pubblici, la lezione è duplice. Da un lato, è necessario adottare misure per la riqualificazione della manodopera al fine di assicurare che una larga parte della forza lavoro possa beneficiare delle nuove tecnologie. Dall’altro, bisognerebbe incentivare le applicazioni dell’AI mirate a migliorare il lavoro umano piuttosto che a sostituirlo, in modo che le nuove tecnologie contribuiscano ad aumentare la produttività senza creare conflitti sociali.
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Alessandra Bonfiglioli è Professore Ordinario di Economia Politica presso l'Università di Bergamo e Research Fellow del CEPR. In precedenza ha rivestito la stessa posizione presso la Queen Mary University of London ed è stata Assistant Professor presso l'Università Pompeu Fabra di Barcellona. E' attualmente Associate Editor di Economica e in passato lo è stata del Journal of the European Economic Association. Le sue ricerche, rivolte principalmente a studiare la disuguaglianza del reddito, il commercio internazionale, la crescita e le istituzioni, sono attualmente incentrate nell'analisi degli effetti di robot e intelligenza artificiale sul mercato del lavoro e sulla performance economica a livello di imprese, settori e regioni. È redattrice de lavoce.info.
Kim ALLAMANDOLA
Correlazione non implica causa, da qualcuno che fa IT non vedo granché effetti IA nei licenziamenti, qualcosa c’è, ma è davvero poco, mentre vedo effetti da mera digitalizzazione che con decenni di ritardo sta TIMIDAMENTE avvenendo.
Digitalizzazione inteso come transizione da modelli organizzativi del mondo “della carta e dell’ufficio” al mondo “del desktop connesso”, dove l’IA ha un ruolo ma marginale, es. nella traduzione di contenuti, aiuto nella ricerca di documenti, soluzione per auto-descrivere merci con solo supervisione umana ecc, cosa che può spiegare una parte dei licenziamenti, ma una parte ben piccola.
Il trend a lungo termine è che da un lato servono soggetti competenti, dall’altro digitalizzando non serve più una marea di lavoratori “intermedi” il cui scopo principale era far da passacarte e questi possono esser riassorbiti solo in altri settori, con formazione, se la società evolvesse, ma anziché tendere all’evoluzione si fa l’opposto con ogni mezzo.