Per permettere agli investitori di ottenere le detrazioni fiscali previste, le startup e le Pmi innovative devono descrivere nell’iniziale business-plan le exit strategy e le prevedibili successive necessità di capitali di rischio. È una norma paradossale

Agevolazioni per gli investimenti in startup

Gran parte degli investimenti in startup e Pmi innovative godono di detrazioni fiscali, necessarie per equilibrarne il rapporto rischio-rendimento e rendere possibili impieghi di denaro che altrimenti difficilmente avverrebbero. Ancor oggi i business plan devono però rispettare poco razionali regolamenti e decisioni Ue del 2013-2014. 

Gli investimenti effettuati da persone fisiche e società godono degli interessanti incentivi fiscali riepilogati in tabella 1.

I “requisiti fiscali” del business plan

Non tutti sanno (e talvolta le startup stesse non vi prestano l’adeguata attenzione) che, perché gli investitori possano godere delle detrazioni fiscali indicate in tabella 1 sugli investimenti, la startup o Pmi, nel primo business plan redatto all’inizio dell’attività, deve illustrare anche le probabili “exit strategy”. E, al fine di rendere agevolabili anche gli investimenti “ulteriori” (il cosiddetto “follow-on”), deve indicare anche le prevedibili successive necessità di raccolta di capitali di rischio.

L’Agenzia delle entrate, in sede di controllo, lo verifica in modo rigoroso e se exit strategy e ulteriori necessità non sono state indicate richiede agli investitori la restituzione delle detrazioni fruite, il tutto maggiorato di sanzioni e interessi.

Le exit strategy

È evidente che chi effettua investimenti così rischiosi punti, quando ve ne sono le condizioni, a “uscirne”. Né la norma di legge né il decreto attuativo (tabella 2) richiedono di prevederne anni prima le modalità.

Invece l’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 16/E dell’11-6-2014 (§6.6), è andata oltre: il tutto motivato dall’orientamento sul capitale di rischio (punto 4.3.5) contenuto nella decisione Ue del 5-12-2013 diun meccanismo di uscita che consente agli investitori di realizzare profitti o di uscire tempestivamente da un’impresa in perdita”. 

Paiono però ovvietà, senza necessità di doverle precisare nel business plan, sia l’intento di chi investe di realizzare profitti che di “uscire tempestivamente se in perdita”: chiunque cerca di ridurre il proprio danno se può. 

Le exit strategy possono richiedere tempi lunghi, non ben prevedibili all’inizio del progetto. Ad esempio, Bending Spoons, la startup italiana di maggior successo e in impetuoso sviluppo, solo ora, a 13 anni dalla sua costituzione, valuta per i prossimi anni la quotazione in borsa (possibile “exit” per chi ha investito).  

In ogni caso, è l’investitore che “esce” dall’investimento; è quindi paradossale che debba essere la startup a prevedere comportamenti altrui. Per quanto riguarda la società, l’exit dallo stadio di startup è un conto economico in equilibrio e una stabile generazione di cassa: ciò è “l’essenza” del business plan e vi è già in tutti.

I successivi round di investimento 

Dovrebbe essere considerata la normalità che l’investitore non investa tutto all’inizio e che il suo apporto finanziario, anche in ottica di riduzione del rischio, si declini in relazione alle varie fasi di finanziamento necessarie per lo sviluppo della startup (fasi “seed”, “series A”).

Logico che ai vari round di finanziamento partecipi chi è già socio, altrimenti può diventar difficile raccogliere ulteriori capitali. Ad esempio, Cassa depositi e prestiti (fra i principali investitori ed emanazione dello stato italiano) correttamente pretende il coinvestimento di privati. 

Invece il Dm 7/5/2019 [art. 2 c. 3 lett. d)], rifacendosi al regolamento Ue n. 651/2014 (art. 21- §6), prevede che le agevolazioni non si applichino ai soggetti che possiedono già partecipazioni nella startup a meno che la possibilità di investimenti “ulteriori” sia prevista dal piano aziendale iniziale. 

Prevedere gli scenari finanziari futuri è difficile per imprese consolidate, immaginarsi per le startup. È quindi necessaria una ampissima tollerabilità di errori previsionali.

Possibilità di sviluppo senza contestazioni fiscali

Le prescrizioni su exit strategy e successive necessità di capitali di rischio da inserire nel business plan iniziale contraddicono le finalità agevolative volute dal legislatore e sarebbero da abolire perché si declinano di fatto in inutili mere indicazioni formali, oltretutto paradossali se si considera che molte startup devono il loro successo all’essere state capaci di stravolgere in breve tempo i loro progetti iniziali.  

Come acutamente osservato da Giuliano Noci “mentre altri paesi costruiscono il futuro, noi europei, convinti che il futuro si governi con le note a piè di pagina, compiliamo l’autocertificazione per poterlo osservare da lontano”.

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