Il diritto all’apprendimento permanente e la certificazione delle competenze sono finalmente riconosciuti anche in Italia. Possono aiutare a superare le difficoltà strutturali delle dinamiche di domanda e offerta di lavoro. Ma le norme vanno attuate in modo efficace, omogeneo e in tempi certi.
IL CONTESTO
Il decreto legislativo 13/2013, entrato in vigore il 2 marzo 2013 in attuazione della riforma Fornero (legge 92/2012), introduce nell’ordinamento italiano il diritto all’apprendimento permanente e, per promuoverne l’effettivo esercizio, il riconoscimento e la certificazione delle competenze comunque acquisite dalla persona. Il provvedimento riorganizza, in un’unica cornice, una serie di istituti, alcuni previgenti la norma (come la certificazione a conclusione dei percorsi di studio e formazione di ogni ordine, grado e territorio), altri di nuova introduzione (come ad esempio la validazione degli apprendimenti comunque acquisiti nei diversi contesti di vita della persona).
L’Italia è in una fase di emergenza occupazionale, con quella giovanile in particolare che va assumendo connotati di allarme sociale. Le misure di contrasto alla disoccupazione messe in cantiere – da quelle appena decise dal Governo, a più voci valutate necessarie ma insufficienti, a quelle più organiche, quali la youth guarantee – non possono ignorare le difficoltà strutturali che gravano sulle dinamiche di domanda e offerta e sulla mobilità professionale e territoriale: ne hanno dato ampiamente conto nei propri studi i tre premi Nobel del 2010 e nel nostro paese mostrano effetti ed evidenze macroscopiche.
UN SISTEMA CHE AUMENTA LE OPPORTUNITÀ
In questo senso, l’apprendimento permanente e la certificazione delle competenze rappresentano una potenziale leva, ancora culturalmente e socialmente sottostimata in Italia, per coordinare gli attuali interventi più emergenziali e compensativi con le misure più attive necessarie a rendere più dinamici tutti i processi di transizione vita-studio-lavoro in modo strutturale, continuo e sostenibile. Vediamo perché.
– La certificazione delle competenze comunque acquisite è lo strumento principale per promuovere e consolidare il diritto all’apprendimento permanente;
– viene riconosciuta pari dignità e rigore di valutazione a tutte le forme di apprendimento a prescindere dai contesti di acquisizione;
– al centro dei servizi di istruzione, formazione e lavoro c’è la persona e il suo bagaglio culturale e professionale acquisito nella sua storia di vita, di studio e di lavoro;
– si indica il percorso più fattibile ed economico per costruire un repertorio nazionale dei titoli di istruzione, formazione e di qualificazione professionale, attraverso un processo di correlazione e progressiva standardizzazione degli elementi descrittivi dei repertori esistenti dell’ordinamento italiano che, a diverso titolo e sino a oggi con grandi eterogeneità, contengono declaratorie di competenza (attraverso la referenziazione al quadro europeo delle qualificazioni Eqf e l’indicizzazione ai codici di classificazione statistica delle attività economiche Ateco e della Classificazione delle professioni);
– vengono avvalorati processi di governance allargata e sussidiarietà, puntando su linguaggi comuni, interoperatività dei sistemi informativi e strumenti di coordinamento aperto. Tutti segnali molto concreti di una pubblica amministrazione che rilegge i propri modelli di mission, di organizzazione e relazione, secondo rinnovati approcci, privilegiando una cultura più aperta e partecipata. (1)
Come dimostrato dall’esperienza di altri paesi europei, quali la Francia, la Germania e il Regno Unito, la costruzione di un sistema nazionale di riconoscimento delle competenze può costituire una piattaforma di raccordo tra le politiche di istruzione, formazione, lavoro, sviluppo economico, cittadinanza attiva e welfare e agire così da leva per la crescita, l’occupazione, e la qualità dei servizi per le persone e per le imprese. Perché ciò si realizzi, tuttavia, il sistema deve essere in grado di:
– aumentare le opportunità di orientamento e apprendimento lungo tutto l’arco della vita, contribuendo sia alla lotta alla dispersione e all’inattività giovanile (agevolando ad esempio l’attuazione della youth guarantee) sia all’innalzamento complessivo dei livelli di qualificazione;
– valorizzare tutte le metodologie di apprendimento attivo, le esperienze di tirocinio, alternanza e apprendistato e in generale il potenziale educativo del lavoro e il protagonismo delle parti economiche e sociali;
– sostenere la mobilità geografica e professionale di studenti e lavoratori nonché l’integrazione di lavoratori provenienti da altri paesi europei o extraeuropei;
– agevolare la trasparenza degli apprendimenti e dei fabbisogni nonché l’affidabilità, la sostanzialità e la spendibilità delle certificazioni in ambito nazionale ed europeo anche in un quadro di maggior tutela del consumatore (agevolando ad esempio l’attualizzazione del tanto atteso Libretto formativo del cittadino, in una prospettiva digitale e in coerenza la futura Tessera professionale europea);
– facilitare, nella concentrazione di reti integrate, dei poli, degli sportelli unici, il coordinamento, l’integrazione e la personalizzazione “sartoriale” dei servizi in una logica di presa in carico totale della persona sulla base delle specificità e dei fabbisogni reali, riducendo i rischi di inefficacia e gli sprechi di risorse;
– rendere più dinamici i meccanismi di accesso e mobilità nel mondo del lavoro, alle professioni e all’imprenditorialità, offrendo nuove e maggiori opportunità ai lavoratori e alle aziende in crisi occupazionale nonché alle donne in cerca di occupazione;
– supportare i processi di riforma: dalla digitalizzazione della Pa, al rilancio del ruolo delle università e della ricerca, dal riordino dell’educazione degli adulti, alla riforma del mercato del lavoro e dei servizi per l’impiego, in una prospettiva di flexycurity e welfare to work;
– promuovere il coordinamento e l’integrazione degli investimenti di politica attiva, passiva e di sviluppo industriale e territoriale, con particolare riguardo ai settori produttivi trainanti, strategici o ad alto valore aggiunto per il paese o per i territori di riferimento (turismo, made in Italy, edilizia…).
Quanto maggiori sono le innovazioni introdotte sul piano normativo, tanto più queste necessitano di essere chiarificate e sostenute innanzitutto sul piano sociale e culturale, al fine di promuoverne una diffusa condivisione e presa in carico delle effettive opportunità e convenienze.
Questo si rende tanto più necessario nel caso del decreto legislativo 13/2013 che per la sua natura pattizia richiede per la fase di attuazione il più alto livello possibile di partnership tra le istituzioni e i soggetti del partenariato economico e sociale nonché il maggior equilibrio possibile tra la sostenibilità e l’affidabilità di sistema e l’essenzialità e la trasparenza delle procedure. L’arricchirsi del dibattito rappresenta un passaggio ineludibile per sostenere e accompagnare i processi di condivisione politica e di avanzamento tecnico al fine di garantire una attuazione efficace e omogenea, in tempi certi, e con un proficuo livello di mediazione e consenso del sistema della certificazione delle competenze: a più riprese l’Unione europea lo ha collocato nelle raccomandazioni all’Italia a crocevia e condizionalità di tutte le iniziative in favore dell’occupazione, sia nel piano europeo per il sostegno al lavoro giovanile sia nella più complessiva programmazione dei fondi strutturali per il periodo 2014-2020.
(1) Vedi L. Hinna e M. Marcantoni, La riforma obliqua. Come cambiare la pubblica amministrazione giocando di sponda, Donzelli Editore, Roma, 2012.
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rap
Ottimo articolo e ottima iniziativa del governo e della Fornero. Iniziativa da premio Nobel. Per contrastare la dispersione e favorire il recupero, bisognerebbe recuperare anche chi non ha terminato gli studi universitari riconoscendogli tutti gli esami sostenuti, ed uniti ad un periodo di tirocinio permettergli di conseguire la laurea, o riprendere gli studi da dove interrotti e poter terminare senza rifare tutto da capo. Per la gioia delle mamme e guaglioni 🙂 . O comunque valorizzare quegli esami sostenuti anche se non conseguita la laurea.
umbeD
Un paio di anni fa ho partecipato ad un progetto (Fondazione Politecnico di Milano, Regione Lombardia, Aziende accreditate dalla regione ) sulla certificazione delle competenze.
Da allora il buio…
La strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni…
Umbe
ro55ma
Con tutto il rispetto per l’entusiasmo mostrato dall’autore vorrei però sottolineare alcuni particolari della vicenda “apprendimento permanente&certificazione competenze” che paiono contraddirne la visione proposta.
L’Italia non possiede nessuno strumento procedurale, organizzativo o anche solo, di indirizzo, in materia di certificazione delle competenze, che possa materalmente realizzare/documentare, al di fuori di quanto stabilito nei singoli contratti collettivi di lavoro, profili professionali individuali spendibili nel mercato del lavoro nazionale.
Le stesse declaratorie contrattuali non vanno oltre lo stretto ambito aziendale e sono gestite in completa autonomia dal datore di lavoro (privato) che, a volte, condivide parte della mobilità e progressione di carriera del singolo lavoratore con le parti sociali (in realtà con la rappresentanza sindacale delegata – più raramente con RSU).
Ogni Regione ha titolo ad operare e definire la materia dei profili professionali (di cui ad attività di formazione professionale “certificate”) in modo autonomo e completamente avulso dal mercato del lavoro: un datore di lavoro emiliano, laziale o siciliano non considera miinimamente i suddetti profili e, dall’assunzione di un operaio con contratto di apprendistato a quella del dirigente, decide in completa autonomia (pur cercando di rispettare formalmente le eventuali prescrizioni contrattuali – mai regionali – in termini di inquadramento e salario relativo).
Le Agenzie per il Lavoro, che dovrebbero gestire tutto lo snodo fra istruzione (studenti), formazione (disoccupati, in mobilità, ecc.) e occupati in riqualificazione sono, nella migliore delle ipotesi, attori passivi di parte della gestione del welfare perchè non hanno né competenze né ruolo per intervenire concretamente.
Purtroppo assistono – insieme ai vari assessorati regionali e provinciali alla formazione – ad attività di formazione professionale che definire svincolate dalla realtà produttiva, dalla domanda delle aziende, dalle strategie di sviluppo, ecc., è assolutamente eufemistico: questo è il Paese dei corsi di informatica base e di inglese (120 ore….) con cui gli enti di formazione campano (legittimamente, visto che non spetta a loro definire le politiche occupazionali).
Gli Istituti professionali sono stati ridotti al lumicino per la controriforma dell’istruzione degli ultimi trent’anni, che una parte della politica, le baronie universitarie di “scienza della formazione e della comunicazione” e tanto menefreghismo (visto che le pagava Pantalone le Analisi dei Fabbisogni inutili mentre chiudevano i laboratori di saldatura..), ha prodotto.
Il mondo delle migliaia di italiani che vivono di tutto ciò, che raccontano del mitico libretto formativo “di ogni cittadino” e che scrivono i discorsi per l’amico Assessore, farciti di life long learning e di skills.
Un’Italia dove si immagina – contro ogni realtà ed evidenza – l’esistenza di imprenditori impegnati a valorizzare competenze informali e non formali invece di cercare bravi elettricisti, ottimi manutentori o semplicemente “dieci aiuto cuoco”, all’inizio della stagione turistica.
Savino
Gli operatori del mercato del lavoro hanno il dovere di valorizzare di più chi studia e ricerca in questo Paese, i cosiddetti capaci e meritevoli. In Italia, invece, li consideriamo inadatti, mentre continuiamo a mandare avanti l’ignoranza che si fa carne ed ossa, gente che non sa dire, scrivere o leggere 4 parole in italiano in fila. La vergogna dei curricula di tanti bravi ragazzi buttati nel cestino, a fronte dell’assunzione per corsia preferenziale degli ignoranti grida vendetta.
Giovanni Volpe
La cultura, l’aggiornamento continuo, sono alla base di una società più sana, basata sul merito,… sulle pari opportunità.