La vigilanza del ministero dell’Economia sulle fondazioni bancarie doveva essere una soluzione transitoria, in attesa dell’Authority per il controllo di tutte le organizzazioni non profit. Che però non è mai stata varata. Una riforma semplice permetterebbe di risolvere la questione.
La ormai annosa vicenda della partecipazione delle fondazioni bancarie al capitale della Cassa depositi e prestiti (v. Tito Boeri e Luigi Guiso Per una Cassa senza Fondazioni – 2 0ttobre 2012) e del contenzioso con il ministero del Tesoro relativo alla conversione delle azioni privilegiate non si è ancora conclusa, ma al di là dei suoi esiti (le voci parlano della faticosa ricerca di un compromesso tra le due distanti ipotesi di valorizzazione) testimonia ancora una volta le ambiguità e le carenze di una regolamentazione che necessita di una rapida e relativamente semplice riforma.
CHI CONTROLLA CHI
Sin dalla loro nascita le fondazioni sono state sottoposte alla vigilanza del ministero dell’Economia, con una soluzione in origine transitoria; si aspettava, infatti la modifica del codice civile e la costituzione di una Authority per il controllo di tutte le organizzazioni non profit, che poi, secondo la tipica italica modalità, non è mai nata e quindi ciò che era transitorio è diventato definitivo.
Anzi, in un primo momento si giustificavano le competenze del ministero con la “bancarietà” delle fondazioni e cioè il loro strettissimo legame con la banca conferitaria, tanto è vero che se si scorrono i poteri di vigilanza prudenziale previsti dall’articolo 7 del Dlgs 153/1999, questi evocano chiaramente le modalità di controllo (la “sana e prudente gestione”) che insistono sulle banche. Successivamente, una modifica legislativa del 2010 ha chiarito che comunque tutte le fondazioni, a prescindere dal fatto che controllino o meno una ente creditizio, rimangono assoggettate al ministero dell’Economia, facendo venir meno anche la giustificazione della “bancarietà”.
UN RAPPORTO “INCESTUOSO”
La trasformazione del provvisorio in definitivo ha generato evidenti elementi di ambiguità, perché la natura della vigilanza presuppone (è lo stesso legislatore a riconoscerlo) che il controllore sia un soggetto dotato di quei requisiti di autonomia e indipendenza tipici, appunto, di una Authority e che la pubblica amministrazione non ha assolutamente, come dimostra quello che sta succedendo in questi giorni, con controllore e controllati che partecipano insieme a una società e non riescono a mettersi d’accordo su quanto indirettamente il primo deve sborsare ai secondi.
Un contesto, in altri termini, dove l’efficacia dei controlli finisce con l’essere inevitabilmente indebolita dalla esistenza di interessi in totale contrasto con la necessaria indipendenza, e dove la tentazione di chiudere uno, se non tutti e due gli occhi, può essere troppo forte.
D’altronde se, e anche queste sono cose fin troppo note, una delle fondazioni più grandi (Mps) ha operato fino a ricorrere all’indebitamento e a “mettere a rischio la propria struttura finanziaria” vuol dire che i controlli di sana e prudente gestione hanno mostrato più di una falla. (1)
LA VIGILANZA ALLA BANCA D’ITALIA
È innegabile che oggi le fondazioni stiano attraversando un momento difficile, con il ritardo nella diversificazione patrimoniale che le costringe, nella maggior parte, a essere sempre più dipendenti dai magri dividendi bancari e quindi a ridurre le risorse per quella che dovrebbe essere la loro vocazione principale di enti non profit; il vecchio periodo delle vacche grasse è destinato ormai a diventare un nostalgico ricordo del passato. Va dato atto che le fondazioni hanno mostrato maggiore consapevolezza di un contesto così profondamente trasformato, con alcune iniziative di autoregolamentazione che cercano di qualificare le strutture di governance e valorizzare i principi di salvaguardia, redditività e diversificazione del patrimonio. (2) Ma non basta: è la loro stessa autonomia statutaria di enti di diritto privato, da un lato, e l’interesse a mostrarsi sempre più trasparenti e intenzionate a perseguire come loro stesse dichiarano “le logiche dell’investitore istituzionale” a richiedere un distacco da un rapporto “incestuoso” con la pubblica amministrazione e una collocazione in un sistema di controllo in grado di scrutinare con la necessaria professionalità e autonomia il rispetto dei presidi di vigilanza.
La nuova autorità sul non profit dopo più di vent’anni non ha visto ancora la luce, e presumibilmente non la vedrà, e quindi una riforma che prevedesse il passaggio delle competenze di vigilanza direttamente alla Banca d’Italia, lo si ribadisce in presenza di strumenti di controllo in larga parte ispirati a quelli per le banche, potrebbe rappresentare una soluzione coerente con la reale volontà del legislatore, e di maggiore garanzia per una efficace e autonoma vigilanza. Nell’interesse di tutti noi ma anche, e soprattutto, delle fondazioni.
(1) L. F. Signorini, Senato della Repubblica . Commissioni V e VI riunite, Audizione sulla conversione in legge del Dl 27 giugno 2012, n. 87 , 10 luglio 2012.
(2) Acri, Carta delle Fondazioni approvata il 4 aprile 2012 sul sito www.acri.it
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