Precisi impegni pro-concorrenza hanno garantito il “sì” europeo alla fusione tra Telepiù e Stream. Ne dovrebbero beneficiare gli operatori che utilizzano piattaforme alternative al satellite. Che però in Italia sono deboli per i ritardi nella diffusione del digitale terrestre e del cavo e con il rischio che i grandi gruppi televisivi e di Tlc riescano ad impedirne lo sviluppo. Un “quasi-monopolio”. Così il commissario europeo alla Concorrenza Mario Monti ha definito la costituzione di un unico operatore satellitare nel mercato italiano della pay-tv, Sky Italia, nato dalla concentrazione delle due piattaforme satellitari esistenti, Telepiù e Stream. Il sì condizionato di Monti Per i non addetti ai lavori l’autorizzazione di un “quasi-monopolio” deve apparire ben strana, specie dopo le polemiche suscitate dalla bocciatura dell’operazione GE/Honeywell. Ma il “quasi”, sussurrato da Monti, è riferito all’impatto pro-concorrenziale degli impegni assunti dalla nuova entità. Per l’accesso alle infrastrutture trasmissive, Sky ha garantito la possibilità di accedere alla propria piattaforma satellitare e la rinuncia alla trasmissione Dtt. Per l’accesso ai contenuti, Sky Italia si è impegnata su tre fronti. Innanzitutto, la riduzione della durata dei nuovi contratti in esclusiva per la trasmissione sulla piattaforma satellitare (fino a un massimo di due anni per le partite del campionato di calcio e di tre anni per i film). In secondo luogo, vi è l’impegno a rinunciare a ogni forma di esclusiva per piattaforme trasmissive diverse dal satellite (quali il cavo e il digitale terrestre). Infine, Sky Italia ha assunto l’obbligo di formulare un’offerta wholesale dei canali e dei singoli contenuti premium (ad esempio la partita di calcio) a tutti gli operatori attivi su piattaforme alternative al satellite e sulla base del principio retail minus derivato dall’esperienza delle telecomunicazioni. Le opportunità La liberazione delle frequenze digitali e l’accesso alla piattaforma satellitare potranno consentire l’ingresso di nuovi operatori anche selettivi (le squadre di calcio, i canali tematici e così via). Gli impegni più dirompenti riguardano tuttavia il trattamento delle esclusive sui contenuti premium. Fino a oggi la Commissione le ha sempre giustificate come una condizione necessaria per valorizzare la programmazione televisiva a pagamento. Con la decisione su Sky Italia, la Commissione sembra abbandonare il modello della “concorrenza per il mercato” (nel quale gli operatori satellitari si contendono le esclusive pluriennali sugli eventi premium) per passare a un modello di “concorrenza nel mercato” tra piattaforme trasmissive alternative. Gli operatori satellitari e operatori via cavo possono trasmettere i medesimi contenuti e la concorrenza inter-piattaforma può così manifestarsi non già in ragione dell’esclusività dei contenuti offerti, ma grazie alla qualità dei servizi prestati e alle condizioni economiche offerte. La ragione di questa posizione risiede nell’idea che l’acquisizione esclusiva dei diritti di eventi premium da parte dei “first comer” può eliminare ogni possibile confronto concorrenziale tra operatori esistenti e nuovi entranti attivi in piattaforme alternative, inibendo ogni forma di sviluppo tecnologico e di concorrenza per lo standard tecnologico. Sotto questo profilo, particolarmente innovativa appare la creazione di un mercato wholesale dei contenuti (non solo dei pacchetti e dei canali premium, ma anche dei singoli contenuti per la pay per view e il video on demand) che permetterà l’accesso immediato di operatori attivi nell’offerta di contenuti audiovisivi in larga banda, come dimostra l’offerta wholesale di BskyB in Inghilterra. Nuovi operatori cavo e Dtt potranno in tal modo assicurarsi subito un’adeguata base clienti, prima di acquistare direttamente i contenuti dai fornitori con contratti che prevedono elevati “minimi garantiti”. Le ambiguità Nella decisione della Commissione resta una forte ambiguità di fondo sul modello concorrenziale che dovrebbe caratterizzare la pay-tv. Il modello che la Commissione sembra suggerire è quello di una concorrenza tra piattaforme trasmissive alternative, che possono tuttavia disporre dei medesimi contenuti (non esclusiva). Un nuovo operatore satellitare non potrà invece beneficiare dell’offerta wholesale di contenuti e dovrà contenderli all’operatore dominante in prossimità della scadenza dell’esclusiva. Ciò sembra implicitamente suggerire l’idea di un “monopolio naturale” nella trasmissione via satellite. Una tesi che non viene mai né esplicitata né argomentata. Ne deriverebbe il paradosso che mentre due operatori cavo possono disporre della medesima offerta wholesale di Sky , un nuovo operatore satellitare non potrà replicarla se non sottraendo a Sky l’acquisto diretto in esclusiva dei contenuti. Ma chi avrà mai tanto coraggio da sfidare l’operatore dominante sulla piattaforma satellitare? Ne può derivare la mancata contendibilità di almeno due terzi del mercato potenziale, rappresentato da tutti gli utenti che dispongono già di parabola e decoder. I rischi I rischi del “quasi-monopolio” sono collegati alla circostanza che la concorrenza potenziale sui contenuti può contare, nel breve periodo, solo su un assetto infrastrutturale decisamente modesto. Il maggior problema è rappresentato dal ritardo dell’avvento del digitale terrestre e dalla limitata penetrazione del cavo. L’Italia (insieme alla Grecia) è agli ultimi posti in Europa, con una penetrazione inferiore all’1 per cento (mentre ad esempio la Gran Bretagna supera il 40 per cento). Nuovi entranti hanno cablato diverse città e potranno promuovere nei prossimi mesi un’offerta competitiva, limitatamente però ai segmenti territoriali di mercato nei quali sono presenti. L’operatore dominante di Tlc potrà disporre di una rete capillare, con l’offerta Adsl, ma l’elevata partecipazione azionaria di Telecom Italia in Sky (20 per cento) potrebbe indurre incentivi perversi a segmentare il mercato, con un coordinamento implicito con Sky, e non ad alimentare la concorrenza tra piattaforme alternative. Ne deriva che in assenza di misure regolatorie asimmetriche in favore di nuovi entranti in piattaforme trasmissive alternative, il grado di contendibilità che potrà svilupparsi sul mercato della televisione a pagamento in Italia appare quantomeno limitato. Molto dipenderà dagli esiti prodotti dalla legge di riordino del settore attualmente in discussione in Parlamento
L’auspicio è che nel definire nuove forme di regolazione della convergenza tra piattaforme alternative si permetta ai nuovi operatori di consolidare la propria posizione, e non ai grandi gruppi televisivi e di Tlc di impedirne lo sviluppo.
*L’autore è stato consulente di e-Biscom nel procedimento antitrust C5109 – Groupe Canal+/Stream presso L’Autorità antitrust italiana.
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