La manovra finanziaria prevede riduzioni di aliquote dimposta per agevolare la quotazione in Borsa anche di società medio piccole. Sono interventi opportuni, anche se non mancano alcune contraddizioni. In particolare, appare criticabile la scelta di limitare a quindici mesi la durata dello sgravio. Si finisce per premiare solo quotazioni già avviate dal momento che chi volesse iniziare oggi le procedure non avrebbe tempo sufficiente a centrare il traguardo di fine 2004.
Fra le misure di rilancio dell’economia nazionale, la Finanziaria 2004 dedica un po’ d’attenzione alla borsa (articoli. 11 e 12 del Dl 269/2003).
Due diverse tipologie di intervento vengono proposte: la prima ha per oggetto la riduzione al 20 per cento, per tre anni, dell’aliquota dell’imposta sui redditi societari per le società che si quotano in una borsa UE dal 2 ottobre 2003 alla fine del 2004. La seconda riduce dal 12,5 al 5 per cento l’aliquota dell’imposta sostitutiva applicabile a fondi comuni d’investimento aperti italiani, fondi armonizzati esteri, Sicav e fondi chiusi (italiani) che investano almeno due terzi del proprio patrimonio in azioni emesse da società quotate di media dimensione (intese per tali quelle con capitalizzazione di borsa inferiore a 800 milioni di euro).
Si tratta di interventi da un lato assai opportuni, dall’altro piuttosto contraddittori.
In sostituzione della Superdit
La riduzione al 20 per cento dell’imposta sugli utili societari viene proposta in sostanziale sostituzione della SuperDit. Si trasforma, così, una misura strutturale (la SuperDit) in una congiunturale, visto che l’agevolazione proposta dura meno di 15 mesi.
Si applica a condizione che l’ammissione in borsa della società quotanda avvenga esclusivamente attraverso l’aumento del relativo capitale per una dimensione complessiva (fra capitale e sovrapprezzo) non inferiore al 15 per cento del patrimonio netto preesistente. Il che vuol dire che restano escluse dall’agevolazione quelle quotazioni che intervengono attraverso l’offerta al pubblico di azioni già emesse. Quest’ultima modalità è quella normalmente seguita per la quotazione di società di piccole e medie dimensioni, dal momento che esse vengono perlopiù accompagnate in borsa da operatori finanziari specializzati (primi fra tutti i fondi di private equity) che entrano nel capitale di società promettenti con lo scopo di valorizzarle e uscirne (con realizzo del relativo capital gain) attraverso l’offerta in borsa delle azioni possedute. L’intervento sul capitale, quindi, precede, la quotazione e non si verifica in sede di richiesta di ammissione al mercato dei titoli. Difficile, quindi, ritenere che questa agevolazione possa trovare spazio fra le piccole e medie imprese.
Le più grandi, al contrario, procedono spesso a quotazioni accompagnate da emissione di nuove azioni. Si potrebbe, allora, ritenere che il Governo, consapevole della limitatezza dei mezzi a disposizione, abbia inteso restringerne il campo d’applicazione solo a queste ultime. Ma anche questa supposizione si scontra contro altre previsioni della norma. Essa dispone, infatti, che l’aliquota ridotta si applichi solo sui primi 30 milioni di euro di imponibile: il che vuol dire che sulla parte rimanente torna a operare l’aliquota ordinaria. Ovvio concludere che un’agevolazione così limitata interessa poco la grande impresa visto che, nella migliore delle ipotesi, il risparmio sarà di 3,9 milioni per tre annualità. Da notare che la SuperDit una scelta, pur criticabile, l’aveva fatta. Era infatti applicabile solo alle società con patrimonio netto inferiore a 500 miliardi di vecchie lire.
Il limitato orizzonte temporale (15 mesi), infine, finisce per premiare in modo del tutto inappropriato solo quotazioni di fatto già avviate:chi volesse incamminarsi oggi sulla via della quotazione non avrebbe tempo sufficiente a centrare il traguardo di fine 2004.
Escluse le società quotate in precedenza
L’agevolazione non si applica alle società le cui azioni sono state precedentemente quotate in una borsa UE. Se con ciò si intendeva evitare che la duplicazione della quotazione di un titolo, già quotato a Londra o a Francoforte e che si accredita oggi a Milano, realizzasse le condizioni per il godimento del beneficio, si può comprendere la restrizione. Fatto è, tuttavia, che la lettera della norma comporta l’estensione della penalizzazione a tutti i titoli ritirati dalla quotazione in momenti di crisi (o anche per aver perso fiducia nei benefici della quotazione, esperienza che ha accomunato un buon numero di imprenditori italiani) e dei quali, invece, potrebbe essere opportuno promuovere la riammissione. Insomma, il delisting è spesso più un peccato del mercato che del titolare dei titoli delistati che sarebbe bene rimediare piuttosto che bastonare.
Ma le contraddizioni non mancano anche nella disposizione che riduce (dal 12,5 al 5 per cento) l’aliquota dell’imposta sostitutiva applicabile ai fondi comuni che investono in “medium & small caps” (società di piccola e media capitalizzazione). Qui l’obiettivo è chiaro: rendere più appetibili le azioni delle società che, proprio per la ridotta dimensione, potrebbero essere meno trattate, magari solo perché meno conosciute, sui mercati internazionali.
L’agevolazione funziona per i fondi italiani aperti, per i fondi esteri e per le Sicav (soggetti, peraltro, tutt’altro che specializzati in medium & small caps). Non funziona affatto, invece, per i fondi chiusi italiani, cioè proprio per i soggetti finanziari che operano prevalentemente con piccole e medie imprese (italiane ed estere). Tali fondi, infatti, proprio perché ne sia chiara la vocazione a dedicarsi a imprese medio piccole, sono obbligati a limitare l’investimento in titoli quotati al 20 per cento del proprio patrimonio. Consegue che mai potranno investire i richiesti due terzi dello stesso in titoli quotati, ancorché emessi da società di medio-piccole dimensioni. L’agevolazione dovrebbe semmai spingere questi operatori a uscire dalle imprese in cui hanno investito, attraverso operazioni di quotazione: il che si tradurrebbe in un ulteriore incentivo ad allargare la platea delle società quotate e potrebbe collegare le agevolazioni già ipotizzate con quella (non nuova, ma solo meglio mirata) più coerentemente indirizzata verso le piccole e medie imprese.
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