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Banana Republic

È comprensibile che nessuno voglia scorie nucleari nel cortile di casa. Ma in Italia il rischio vero è quello di non decidere niente per non scontentare nessuno. Si procede di rinvio in rinvio.  Mentre una soluzione per il sito nazionale delle scorie va trovata anche se richiede coraggio e senso di responsabilità. E se una scelta unilaterale dello Stato centrale è improponibile per la frammentazione dei poteri locali, si potrebbe iniziare a riflettere su modalità di compensazione per le comunità che dovessero accettare lo stoccaggio di rifiuti pericolosi nel loro territorio.

Il tema delle scorie radioattive è tornato. Dopo i rumors che avevano fatto agitare (e non poco) il sonno dei sardi la passata estate, la decisione sul sito unico continua a essere al centro di una polemica che coinvolge diversi livelli di governo, dal presidente del Consiglio fino al sindaco del comune interessato.

La questione

Com’è noto, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto con il quale si individua in Scanzano Jonico (Potenza) il luogo dove accogliere le scorie nucleari accumulate dalla dismissione delle centrali italiane e da attività di ricerca. Successivamente ha emendato il decreto togliendo ogni riferimento a Scanzano Jonico, prendendo l’impegno di trovare entro 18 mesi un sito  unico nazionale.  Questo sito dovrebbe accogliere scorie di rifiuti nucleari di varia pericolosità. Si tratta di trasportare nel sito circa 60mila metri cubi a una profondità di 800 metri in una grande “lente” di salgemma, sottile ai lati e spessa al centro, presente da sette milioni di anni e quindi, fanno sapere i tecnici, in grado di dare il meglio delle garanzie di stabilità.

Ricapitoliamo brevemente i passi principali di questa storia che, possiamo star sicuri, non è ancora finita.
La Sogin Spa è una società statale, ex società Enel, oggi del ministero dell’Economia, nata nel 1999 con circa settecento dipendenti. Presieduta dal generale Carlo Jean, è stata creata con l’obbiettivo principale di gestire lo smantellamento delle centrali nucleari italiane e dei depositi di materiali radioattivi, la messa in sicurezza delle aree contaminate e l’individuazione di un sito nazionale per lo stoccaggio delle scorie radioattive.

Il compito è complesso per diversi ordini di motivi. Non si tratta solo di gestire uno stock che proviene dalla dismissione delle centrali nucleari, ma anche di pensare a un flusso significativo di rifiuti radioattivi (circa 500 tonnellate all’anno) prodotti da ospedali e imprese.

Che nessuno voglia sotto casa un sito del genere (così come molti altri impianti industriali) è un fenomeno talmente ovvio e noto che gli americani, sin dagli anni Sessanta, lo hanno ribattezzato sindrome Nimby (“Not In My Back Yard”). Le proteste (e talvolta le vere e proprie rivolte) non sono caratteristica unica del nostro paese. Dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Corea del Sud al Regno Unito, le cronache sono piene di gruppi di cittadini che fanno ciò che oggi i cittadini di Scanzano Jonico ripetono. E va sottolineato che a questo comportamento non va associata necessariamente una connotazione negativa. Le comunità hanno il diritto (e in qualche misura il dovere) di difendere il proprio territorio.

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La sindrome Nimby

A chi ha intenzione di fornire suggerimenti su come uscire da questa situazione, deve essere dato almeno il merito di averci provato, poiché nel dibattito nazionale sono sostanzialmente assenti le indicazioni su possibili vie di uscita, o almeno così sembra.
Potrebbe essere utile segnalare come sono stati utilizzati diversi approcci al problema della sindrome Nimby, nell’esperienza dei paesi industrializzati. Quello che appare inquietante è che, a un primo esame, il nostro paese non sembra in condizioni di gestire alcuna delle diverse soluzioni proposte. Sembra invece dirigersi a grandi passi verso quella situazione che gli americani, che amano molto gli acronimi, vedono come una degenerazione del Nimby, e cioè la sindrome Banana (“Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything”).

Il primo approccio, che chiameremo alla francese per semplificare, è tipico delle società in cui il peso dello Stato sulle realtà regionali è molto forte. Solo la presenza (massiccia e tecnocratica) dello Stato ha permesso in Francia la costruzione e la gestione di numerose centrali nucleari o, se si vuole un altro esempio, la realizzazione dell’alta velocità in tempi tutto sommato ristretti. Non che le cose siano sempre filate lisce e senza conflitti. Ci sono state proteste in diverse aree; tuttavia, dopo un lavoro capillare ed estremamente accurato relativo all’insediamento di queste infrastrutture, alla decisione è seguita la realizzazione. Rimane anche interessante osservare come la stampa francese cominci a occuparsi con un occhio differente di questi problemi. (vedi, per esempio, “La France cède au syndrome Nimby” su Libération del 26/12/2002).

È l’Italia in grado di perseguire questa strada? Non sembra. Sebbene sia esattamente il mestiere della politica quello di mediare tra interessi privati e collettivi, la frantumazione locale dei poteri rende questa strada particolarmente ardua per il nostro paese. Il proliferare dei livelli di governo non aiuta certo la scelta che, per quanto difficile possa sembrare, deve essere fatta.

Un’asta per Lulu

Esiste poi un secondo possibile modello a cui potersi riferire: chiamiamolo, ancora per semplicità, modello americano. Il tema del Nimbysm è molto presente nelle comunità americane dove, per esempio, la questione delle infrastrutture legate al nucleare nasce per ovvie ragioni molto prima che da noi. Il Nimbysm è ormai un fenomeno di massa.

Alcuni economisti hanno proposto un modello basato sulla cosiddetta asta olandese al contrario (reverse Dutch auction). E la proposta è stata fatta non solo per siti di scorie nucleari, ma anche per carceri, discariche o inceneritori. In breve per tutto ciò che viene definito, con un altro acronimo, Lulu (“Locally Undesirable Land Use”).
In linea di principio il sistema è semplice: una volta ben identificato cosa e come sia necessario costruire, l’autorità federale propone alle comunità locali un certo valore monetario come compensazione.
Tecnicamente cerca di far emergere la volontà di accettare delle diverse comunità. Se la risposta è negativa da parte di tutti, l’autorità federale propone un nuovo valore di compensazione più alto e così via, fino a quando una comunità non accetta.
È un sistema proponibile in Italia? Vi sono seri dubbi che questo sia possibile, considerando anche le difficoltà che ha a imporsi in paesi a maggiore cultura economica.
Va da sé che per siti o localizzazioni particolarmente complesse si studiano sistemi misti composti di analisi tecniche anche molto sofisticate unite ad audizione dei vari stakeholder. L’impianto per le scorie nucleari statunitense si chiama Wipp (Waste Isolation Pilot Plant) e ha richiesto oltre venti anni di studi e analisi per poter essere localizzato.

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Esportare le scorie?

Si è discusso molto anche sulla possibilità di esportazione di questo genere di scorie nucleari. Va ricordato che il commercio fra stati membri dell’Unione europea può essere autorizzato solo dopo consultazione e approvazione da parte dello stato di importazione, il che equivale a dire che è richiesto il consenso preventivo e informato.
L’esportazione dovrebbe aver luogo solamente se il paese ricevente ha la capacità tecnica e amministrativa necessaria per gestire un problema di queste dimensioni.
Infine, vale la pena di ricordare che l’Unione europea vieta completamente l’esportazione di scorie radioattive a più di cento paesi firmatari della Convenzione di Lomé. Questo divieto, che comprende anche i rifiuti pericolosi non radioattivi, è stato introdotto in seguito alle preoccupazioni espresse dagli stati dell’Acp (paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico) che i propri territori potessero divenire discariche per le scorie provenienti dall’Unione europea.

Resta il fatto che il problema del sito unico deve trovare una soluzione e che questa scontenterà qualche comunità. Non esiste una soluzione senza tensione e riflettere sulle modalità di compensazione alle comunità che dovessero accettare non può essere ritenuto a priori impraticabile o peggio immorale. La soluzione è indubbiamente complessa e ricette facili non ce ne sono.
Sappiamo solo che esistono due fatti incontrovertibili: dobbiamo collettivamente trovare una soluzione perché l’attuale gestione non è l’ideale dal punto di vista della sicurezza e che ci vuole senso dello Stato e molto coraggio. L’assenza di una politica è la peggiore delle politiche.

Per saperne di più

Bemelmans-Videc, M-L., Rist R., and Vedung, E. (eds.) (2003), “Carrots, Sticks, and Sermons: Policy Instruments and Their Evaluation”, Piscataway (NJ), Transaction Publishers Rutgers, The State University of New Jersey.

Bryant, B. (1995), “Environmental Justice: Issues, Policies & Solutions”, Washington D.C., Island Press.

Rabe, B.G. (1994), “Beyond Nimby: Hazardous Waste Siting in Canada and the United States”, Washington D.C., Brookings Institution Press.

Il sito del Wipp statunitense è: http://www.wipp.carlsbad.nm.us/.

Il sito europeo del decommissioning è: http://www.eu-decom.be/siteentrance/index.htm

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sommario 25 novembre 2003

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I figli del bonus

  1. Massimo Ghilardi

    C’è molto di giusto e condivisibile in questo intervento.
    Ma purtroppo non ho trovato riferimenti al problema più importante, che dovrebbe essere affrontato come premessa a tutti gli altri aspetti.
    LA SERIETA’ TECNICA E POLITICA con la quale è assolutamente indispensabile affrontare il problema delle scorie radioattive e dello smaltimento rifiuti in genere.
    Non voglio dilungarmi in troppi dettagli; credo basti accennare al fatto che una efficace opera di persuasione e di soluzione del problema richiede “SERIETA’ “. Purtroppo nella questione della scelta del sito per le scorie – come in molte altre questioni recenti – questa serietà nel nostro paese e nel nostro governo non c’è stata.
    Si veda per esempio l’intervento di Carlo Rubbia davanti alla Commissione Ambiente della Camera, e/o molte altre interviste e interventi recenti sul tema, di numerose persone che hanno titoli e cognizione di causa in materia.

    • La redazione

      Caro Signor Ghilardi,
      condivido. Aldilà di tutto abbiamo gestito il problema in maniera poco seria.
      Ho scritto che per il deposito statunitense ci sono voluti 20 anni di studi molto seri. Noi abbiamo avuto la presunzione di riuscirci per decreto. Ed infine dice bene il ministro Matteoli: “Tra un anno ci sarà un’altra popolazione in rivolta”.

  2. Angelo Danio

    Questo sistema applicato ad una realtà economica come quella Italiana mi sembra quanto più iniquo si possa proporre.
    Facciamo un esempio: Si deve costruire un inceneritore: il comune di Sanremo, che gode delle entrate del Casinò (pur avendo un inquinamento ambientale di altra natura ma difficilmente quantizzabile monetariamente: prostituzione, malvivenza, mafia …) non avrà nessun interesse marginale dalla costruzione di un inceneritore, mentre probabilmente un comune del profondo sud ( e lo dico senza connotati geografici, perchè ci sono comuni “del profondo sud” anche al nord) potrebbero essere più interessati all’affare per risanare le proprie finanze.
    Questo potrebbe teoreticamente funzionare in una condizione di uguaglianza delle realtà locali, ma comunque si tratta poi di pagare per inquinare.

    • La redazione

      Caro Signor Danio,

      come ho scritto chi offre delle proposte (per definizione) imperfette si prende dei rischi a cui invece si sottrae chi continua a ripetere che questa o quella soluzione non sono praticabili senza poi proporne una alternativa.
      Ho scritto che sebbene vi siano diverse applicazioni dell’asta come descritta non può e non deve essere applicata pedissequamente nel caso di impianti di questa portata. Volevo solo suggerire che pensare (anche) in termini di misure compensative pubbliche in modo trasparente può aiutare il processo anche perché ci mette forse al riparo di misure compensative private.
      Infine vorrei che ci interrogassimo collettivamente e contemporaneamente dell’iniquità del sistema proposto e dello status quo. E’ giusto che le scorie stiano oggi a Trino, a Caorso o a Latina?

  3. Angelo Danio

    Ritorno sulla sua risposta al mio commento con un’ulteriore domanda? E’ giusto che si facciano centrali nucleari e non si pensi al sistema di eliminazione delle scorie? Non deve entrare nel conto economico della centrale piuttosto che poi essere preso in carico dalla comunità o come inquinamento (che può essere quantizzabile in costi) o costo del trattamento, magari all’estero, se non si trova nessun sito in patria. Siamo sicuri che misurando accuratamente i costi nascosti il nucleare sia così conveniente? O non sarebbe meglio ingaggiarsi in una politica di riduzione degli sprechi, almeno, se proprio non riusciamo a ridurre i consumi? In molti uffici d’inverno si è obbligati a stare in maniche di camicia, per esempio.
    Angelo Danio

    • La redazione

      Caro Signor Danio,

      il punto però è un’altro e non riguarda (solo) le centrali nucleari. A causa di scelte politiche e tecniche del passato abbiamo un problema da gestire. E chiedersi se è giusto non ci aiuta a trovare una soluzione. In più vi sono tutte le scorie che produciamo ogni anno che non hanno nulla a che vedere con l’energia nucleare.

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