Difficoltà di finanza pubblica, vincoli internazionali e innovazioni finanziarie richiedono interventi per garantire e migliorare la trasparenza dei conti pubblici. Va risolta la discrasia oggi esistente tra i principi contabili nazionali e i principi contabili europei e va disaggregata per componenti la contabilità di cassa del settore statale. I nuovi interventi sul patrimonio statale, ottenuti spostando attività e oneri di finanziamento su enti definiti come esterni al settore pubblico, richiedono invece l’elaborazione puntuale di conti patrimoniali per il settore pubblico.

Le discussioni sulla trasparenza dei conti pubblici sono vecchie quasi quanto le tasse e la spesa pubblica. Una recente citazione del Ministro dell’economia ha riportato all’attenzione della cronaca il nome di Colbert. A un seguace ed apologo di Colbert, Jacques Necker, ministro delle finanze di Luigi XVI, dobbiamo uno dei primi tentativi di costruire un conto pubblico che tentava di rappresentare l’andamento strutturale di entrate e spese, Le Compte Rendu au Roi, diffuso nel gennaio del 1781. Il Compte era basato sui tre criteri che oggi chiameremmo della “competenza economica” (non le spese erogate o le entrate incassate ma quelle riferibili all’esercizio), del “vincolo legislativo” (solo le spese autorizzate dalla firma del Re) e della “efficienza” (solo le spese necessarie). Alla base di questa impostazione innovativa c’era l’idea che i mercati, nel valutare il credito dello Stato emittente, guardassero ai dati risultanti dall’applicazione di questi criteri piuttosto che ai risultati di un “bilancio di cassa” basato sulle “spese effettive” (inclusive della spese di guerra e di quelle decise in autonomia dai singoli Ministri) e gravido degli “sprechi della Corte”.
Le discussioni sulla trasparenza dei conti pubblici si accentuano quando la situazione della finanza pubblica diviene preoccupante o quando vengono in discussione nuovi problemi. Per tornare ai nostri giorni, è stato così nel 1974-75 e nel 1997. La questione si ripresenta oggi. Ci sono almeno tre aspetti che meritano di essere trattati.

Aree carenti da tempo

Non c’è oggi (non c’è mai stato neanche nel passato) un ordinato conto di cassa dello Stato dato che né in sede di approvazione del bilancio dello Stato né in sede di approvazione del rendiconto si tiene conto dell’andamento della gestione dei conti di Tesoreria.

Il conto del settore statale, quello in base al quale si determina il fabbisogno e si fissano le politiche per la gestione delle emissioni del debito pubblico, è la somma dei conti di cassa di almeno tre diversi agenti, lo Stato, la Cassa depositi e prestiti, il segmento italiano del bilancio dell’Unione europea. I conti di questi tre operatori confluiscono in modo indistinto negli stessi conti di Tesoreria; ne nasce una grande confusione. Dovrebbero invece essere prima costruiti in modo autonomo e, solo successivamente, consolidati.

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Un’area problematica degli ultimi anni

Si è sviluppata negli ultimi sette anni una profonda contraddizione tra i principi contabili adottati nei documenti di bilancio che sono esaminati e approvati nelle assemblee legislative e nei consigli comunali e i principi contabili in base ai quali si compilano i documenti rilevanti, a livello europeo, per il rispetto del Trattato di Maastricht.

A livello statale e regionale le assemblee legislative approvano le autorizzazioni a spendere (nelle due fasi dell’impegno e della erogazione) e le previsioni di entrata (nelle due fasi dell’accertamento e della riscossione).
A livello europeo, il Patto di stabilità e crescita, richiede che la programmazione e il giudizio sugli esiti di finanza pubblica siano fatti con riferimento a statistiche costruite utilizzando le regole rilevanti per la costruzione della contabilità nazionale. Il successo o meno della politica finanziaria di un paese viene quindi valutato sulla base di informazioni diverse da quelle che transitano per il Parlamento o nei consigli regionali nel momento della decisione sul bilancio dello Stato. Si produce una grande contraddizione tra il policy making interno e la valutazioni a livello europeo che dovrebbe essere eliminata.

Nuovi problemi di oggi

È in atto, soprattutto in Italia per effetto dell’elevato stock di debito pubblico, uno spostamento di interesse dal governo dei flussi di finanza pubblica (entrate e spese), al governo dello stock di debito.
Il mutamento è il prodotto delle regole del Trattato di Maastricht che hanno proposto il doppio obiettivo del deficit annuo e dello stock di debito pubblico. L’enfasi sul debito porta a considerare lo stato patrimoniale del settore pubblico, a verificare se, a fronte del debito pubblico, non ci siano degli asset liquidabili che consentano di fare cassa e ridurre lo stock di debito pubblico.

La cessione di attività determina una perdita di reddito (minori entrate o maggiori costi di locazione), una riduzione (o una minore crescita) del debito pubblico, una minore spesa per interessi sul debito. La perdita di reddito può essere minima nel caso di asset non utilizzati in attività economiche o locati a prezzi di favore. L’incremento di costi (per esempio dei costi di locazione connessi alla cessione di immobili) può anche essere molto elevato. Entrambi vanno valutati in relazione al costo del debito pubblico che si riduce o si risparmia per effetto della riduzione o della minor crescita dello stock.

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Di particolare rilievo è lo spostamento di operazioni di finanziamento sui bilanci di enti che vengono definiti come non appartenenti al settore pubblico, per esempio la nuova Cassa depositi e prestiti, le società Patrimonio e Infrastrutture. In particolare, la soluzione di portare sul bilancio il costo del debito emesso da soggetti “privati” per il finanziamento di interventi di interesse pubblico o sociale. Siamo in vista di un revival di una procedura ampiamente utilizzata in passato che ha sostituito contributi in conto interessi (registrati nei conti pubblici come trasferimenti alle imprese) al posto di interessi sul debito pubblico.

C’è poi la questione di scegliere quando registrare in bilancio i proventi delle cartolarizzazioni, scegliere cioè il momento dell’impatto sull’economia reale (il collocamento presso l’utilizzatore finale) o il momento dell’incasso iniziale dell’intermediario.
Infine, se l’enfasi sulle operazioni sugli asset permane, dovrebbero essere costruiti conti patrimoniali, non necessariamente all-inclusive, basati su valutazioni economiche degli asset. In tali stati patrimoniali dovrebbero essere definiti i criteri di valutazione e i caratteri della loro redditività prima della cessione. Sarebbe così possibile valutare sia le condizioni della loro gestione e la redditività e la convenienza delle transazioni effettuate su di essi. Un tale conto del patrimonio dovrebbe nascere svincolato dalle ordinarie registrazioni contabili sui flussi di entrata e di spesa, dovrebbe essere ricostruito per il recente passato delle privatizzazioni, cessioni e cartolarizzazioni.
In sintesi, nuovi strumenti richiedono nuove informazioni.

 

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