Scadono i termini per aderire al concordato preventivo. Poche le adesioni rispetto a quanto sperato forse perché nelle aspettative c’è un condono anche per il 2003. La voce aveva già espresso le sue perplessità su questo strumento fiscale. Riproponiamo qui l’intervento di Cecilia Guerra

Dal concordato preventivo sperimentale introdotto con la manovra finanziaria, il Governo si attende una cospicua entrata: 3,6 miliardi di euro per il 2004.
La scadenza per aderire al concordato è il 16 marzo 2004. Accettare le richieste di proroga del termine rischierebbe di trasformare sempre più il concordato in un condono. A tutt’oggi, però, le adesioni non sono state numerose.

Come tassare autonomi e piccole imprese

Che la frammentazione del nostro tessuto produttivo renda difficile ricondurre a tassazione il reddito prodotto da un numero rilevante di lavoratori autonomi e piccole imprese, è un problema noto da tempo.
Le soluzioni sperimentate o proposte sono ispirate a filosofie diverse.
Se si escludono alcuni episodi e casi particolari, l’approccio seguito sinora dal nostro ordinamento richiede che i lavoratori autonomi e le piccole imprese debbano essere tassati sulla base del loro reddito effettivo, alla stregua di tutti gli altri contribuenti.
Le autorità fiscali utilizzano strumenti come gli studi di settore (forniscono indicazioni sui ricavi che presumibilmente possono essere ottenuti da un lavoratore o un’impresa con determinate caratteristiche e che opera in un certo settore e zona) solo per accertare la credibilità delle dichiarazioni rese. Gli studi di settore richiedono però un monitoraggio e un aggiornamento continuo e di non facile realizzazione.

Un approccio alternativo consiste nel rinunciare ad accertare il reddito effettivamente conseguito dai lavoratori autonomi e dalle piccole imprese per tassarli sulla base di un reddito medio ordinario, articolato a seconda del settore economico di appartenenza.
Il rischio è che per evitare di penalizzare troppo i contribuenti sotto la media, i valori ordinari siano posti a livelli molto bassi, come già avviene per il catasto edilizio e dei terreni. Producendo così a una iniquità di trattamento nei confronti dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, obbligati a pagare le imposte sul loro vero reddito.

La legge delega per la riforma fiscale, approvata nell’aprile scorso, suggerisce un ulteriore approccio: l’introduzione di un “concordato triennale preventivo“. La delega non fornisce indicazioni precise in merito, ma dovrebbe consistere in un accordo fra il fisco e il singolo contribuente circa l’ammontare dell’imponibile, per un periodo futuro (i successivi tre anni).
Anche in questo caso, il contribuente sarebbe tassato sul reddito concordato, indipendentemente dal fatto che sia più basso o più alto di quello che effettivamente conseguirà nel triennio.

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Non si tratterebbe però di una mera catastizzazione dei redditi, per due importanti ragioni.
La determinazione dell’imponibile avverrebbe a partire dalle risultanze degli studi di settore, e da una stima della loro possibile evoluzione nel triennio oggetto di accordo, ma dovrebbe poi fare riferimento anche alle specificità del singolo contribuente. Sarebbe quindi una determinazione “personalizzata”;
L’adesione al concordato rimarrebbe opzionale.
Rendere operativo un tale strumento, evitando arbitri o svendite eccessive, è però assai difficile.
L’introduzione di un concordato di questo tipo, ma svincolato dagli studi di settore e quindi caratterizzato da una ancora più accentuata impostazione di accordo “personalizzato”, già approvata con la Legge finanziaria del dicembre 2002, è rimasta infatti lettera morta.

Il concordato preventivo per il 2003-04

In attesa dell’attuazione della delega, la manovra finanziaria per il 2004 ha introdotto un suo modello di concordato preventivo per il 2003-04. (sul tema si veda anche l’articolo di Cincinnato)
È definito “sperimentale” perché dovrebbe essere uno strumento di passaggio dall’attuale sistema al concordato a regime. In realtà, è un ibrido fra i diversi approcci e proprio le ambiguità della sua formulazione rendono difficile valutare se potrà o meno avere successo.

Mancano infatti gli elementi fondamentali che dovrebbero caratterizzare il concordato a regime:

1) l’imponibile concordato per il 2003-04 non tiene conto delle caratteristiche del singolo contribuente. È ottenuto applicando una percentuale di incremento, uguale per tutti i contribuenti, al reddito e ai ricavi dichiarati per il 2001, purché congrui con gli studi di settore. Le percentuali di incremento proposte possono quindi risultare eccessive nei settori che hanno sofferto la stagnazione economica, e troppo contenute in altri;
2) il contribuente che aderisce al concordato si impegna a dichiarare non meno di quanto concordato, ma resta obbligato a dichiarare il suo reddito effettivo, ed è quindi tassato su questa base, esattamente come il contribuente che non aderisce al concordato.

Perché allora il contribuente dovrebbe aderire a questo istituto, che mentre lo vincola a dichiarare un reddito non inferiore a una soglia predeterminata, non lo libera dell’obbligo di dichiarare il suo reddito effettivo?

I vantaggi principali del concordato preventivo, condivisi con un altro istituto, il condono tributario, sono due:
– una tassazione agevolata;
– una franchigia sull’accertamento, che tende a tradursi in una legittimazione all’evasione. In caso di evasione, infatti, il contribuente potrà essere sottoposto ad accertamento solo se il reddito occultato supera di oltre il 50 per cento quello dichiarato: il contribuente che dichiara 100 a fronte di un reddito effettivo compreso fra 100 e 150 è al sicuro da ogni possibile accertamento tributario.

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Il concordato non è pienamente “preventivo”, visto che riguarda anche un esercizio già chiuso (il 2003). Diversamente dal condono, però, interessa anche un esercizio ancora aperto (il 2004). Quanto più si spostano avanti i termini per l’adesione, tanto più il concordato diventa simile al condono.
Come nel condono, con la proroga, i contribuenti potrebbero valutare meglio la loro convenienza ad aderire al concordato. Ma secondo il ministero dell’Economia, che per ora ha respinto l’ipotesi di proroga avanzata da Maurizio Leo (An), ciò avrebbe un effetto complessivamente negativo sul gettito.
I sostenitori della proroga, invece, sottolineano che proprio la difficoltà a valutare la convenienza dell’adesione potrebbe far prevalere un atteggiamento eccessivamente prudente da parte dei contribuenti. Chi aderisce, ma poi non realizza un reddito almeno pari a quello concordato, subisce penalizzazioni. Dunque, aderiscono solo quelli a cui il concordato conviene con certezza, con conseguente perdita di gettito.
È presumibile che la proroga verrà alla fine davvero concessa, ma solo a ridosso della scadenza del 16 marzo, nel tentativo di catturare tutte le tipologie di contribuenti.

Ma anche a prescindere dalla proroga, l’atteggiamento prudente potrebbe avere un’altra giustificazione.
Proprio perché il concordato attuale si pone come sperimentazione di quello a regime, il contribuente può avere la legittima paura che accettare di dichiarare oggi redditi e ricavi più alti non gli permetterà poi di tornare indietro nella contrattazione con il fisco negli anni successivi al 2004.

Le ventilate minacce di inasprimenti dei controlli e le previsioni di più dure sanzioni per chi non aderisce saranno sufficientemente credibili per fugare le incertezze? Difficile a dirsi.
Intanto, come ci segnala il Sole 24Ore del 26 febbraio, a rendere ancora più complicato e incerto il quadro “già aleggia, negli incontri che vengono fatti con i destinatari per valutare l’adesione, l’ipotesi di un condono anche per il 2003”.

 

 

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