L’indebitamento netto 2003 resta ben al di sotto della soglia massima del 3 per cento. Cambia però la sua composizione e le entrate ordinarie sembrano sempre meno in grado di far fronte strutturalmente alle spese ordinarie. Il Governo conferma tuttavia la volontà di ridurre le imposte. Senza peraltro chiarire come intende raggiungere questo obiettivo. E l’opposizione preferisce criticare l’esecutivo per aver aumentato le tasse, invece di interrogarsi sui perché e sugli effetti del calo tendenziale della pressione fiscale ordinaria.

La pubblicazione da parte dell’Istat delle stime provvisorie dei conti delle amministrazioni pubbliche nel 2003, ha riaperto il dibattito sullo stato di salute della finanza pubblica.
Alcune tendenze sono chiare, ma hanno suscitato reazioni diverse.

L’andamento del disavanzo

L’indebitamento netto 2003 non si discosta, se non marginalmente, da quello del 2002 e resta ben al di sotto della soglia massima del 3 per cento fissata in sede comunitaria. Ciò non basta, tuttavia, a consentire al ministro dell’Economia di dormire sonni tranquilli.

Innanzi tutto, come mostra la tabella 1, il disavanzo (o indebitamento netto) è molto diverso da quanto originariamente programmato nel luglio 2002 (Dpef 2003-2006). I saldi sono stati progressivamente aumentati, rispetto all’obiettivo originario del luglio 2002 (-0,8 per cento), ma non tutte le revisioni sono integralmente imputabili al progressivo venir meno della sperata ripresa economica.
A peggiorare è soprattutto l’avanzo primario (l’indebitamento al netto degli interessi) che passa dal 5,1 per cento originariamente programmato al 2,9 per cento e il saldo corrente (entrate meno spese correnti), che dopo cinque anni, torna a essere negativo.

È cambiata, in sostanza, la composizione dell’indebitamento netto e le entrate ordinarie sembrano sempre meno in grado di far fronte strutturalmente alle spese ordinarie. In particolare, come mostra la tabella 2, tra il 2002 e il 2003:

1) le spese correnti al netto degli interessi hanno aumentato di un punto il loro peso in percentuale del Pil (da 38,4 a 39,4 per cento del Pil). Sono aumentati soprattutto i consumi intermedi (di quasi il 9 per cento) e le retribuzioni (+5,3 per cento che registra l’effetto dei rinnovi contrattuali), nell’insieme 0,5 punti di Pil. Ma anche prestazioni sociali e altri trasferimenti a famiglie e imprese aumentano di 0,4 punti di Pil;

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2) le entrate correnti scendono di quasi mezzo punto di Pil (dal 44,9 per cento al 44,5 per cento). A calare sono soprattutto, per il secondo anno consecutivo, le imposte dirette (dal 15 per cento del Pil nel 2001 al 14,2 per cento nel 2002 e al 13,6 per cento nel 2003). La diminuzione del 2003 è in larga parte imputabile all’introduzione del primo modulo della riforma dell’Irpef;

3) l’effetto netto sul saldo corrente (entrate correnti, meno spese correnti, inclusi gli interessi) è contenuto, grazie al fatto che ancora il Governo beneficia della riduzione del costo medio del debito pubblico, che riduce il peso degli interessi (meno mezzo punto percentuale di Pil).

Per quanto riguarda la parte in conto capitale, i dati ufficiali risentono della convenzione contabile che tratta i ricavi delle vendite di immobili come investimenti negativi. Per un confronto più significativo è opportuno trattare questi ricavi per quello che sono, entrate straordinarie, ed assegnarli alla voce “altre entrate in conto capitale”. Con questa modifica (vedi tabella 2)

1) le spese in conto capitale restano stabili su un livello di poco superiore al 4 per cento del Pil;

2) aumentano in modo davvero eccezionale le entrate in conto capitale, che passano dallo 0,4 per cento del 2001 all’1,2 per cento del 2002 al 2 per cento del 2003. Mentre il 2002 risente delle vendite immobiliari, l’eccezionale crescita registrata nel 2003 è dovuta soprattutto a 20 miliardi di euro circa di incassi da condono e riapertura dei termini dello scudo fiscale (regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero).

In assenza degli incassi straordinari dei condoni, l’indebitamento netto (saldo corrente più saldo in conto capitale) avrebbe raggiunto il 4 per cento del Pil e questa percentuale sarebbe anche superiore se si depurasse il saldo da altre poste straordinarie (l’anticipo dei versamenti di imposta da parte dei concessionari, dell’ordine di 2,7 miliardi di euro, disposto a dicembre da un decreto-legge, e, ancora, proventi di vendite immobiliari per 1,2 miliardi).

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La riclassificazione della tabella 2 ridimensiona l’aumento delle entrate totali nel 2003, che diventa di 0,3 punti di Pil (e non di un punto, come mostra la classificazione ufficiale).

Reazioni sorprendenti

Di fronte a questi dati, sorprendono sia la reazione del Governo, sia i commenti dell’opposizione.

Il Governo, per bocca dei suoi maggiori esponenti (Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini), invece di mostrarsi preoccupato per il crescente divario fra entrate correnti e spese correnti, al netto degli interessi, e annunciare semmai la necessità di un rinvio della riforma dell’Irpef, riconferma la ricetta di riduzione delle imposte.

È un annuncio che contribuisce ad aumentare l’incertezza sul futuro, che è l’ultima cosa di cui ha bisogno la nostra economia. Il Governo non chiarisce come una riduzione permanente delle tasse, finiti gli effetti straordinari dei vari condoni, potrà conciliarsi con gli obiettivi di riduzione dell’indebitamento e con l’andamento osservato delle spese. Né chiarisce, alternativamente, quali spese intenderebbe tagliare.

Le prospettive di crescita, d’altro canto, non sono certo tali da poter sperare in una soluzione esterna del problema (si veda Faini). Il Governo potrà anche procedere con ulteriori riduzioni della pressione fiscale ordinaria, semmai trovando nuove forme di copertura straordinaria. Ma i margini si riducono e prima o poi i nodi verranno al pettine.

Per questo l’opposizione, che potrebbe un domani trovarsi a doverli districare, dovrebbe forse mostrarsi più preoccupata del tendenziale calo della pressione fiscale ordinaria, delle sue cause e delle prospettive future, piuttosto che criticare l’esecutivo per aver aumentato, al lordo del condono, le tasse.

 

 

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