Come la stampa italiana ha trattato la vicenda della legge sulla sospensione dei processi per le più alte cariche dello Stato, dalla sua presentazione alla dichiarazione di incostituzionalità. Il termine “lodo”, che implica un accordo trasversale tra forze politiche, viene usato impropriamente da tutti. Ma mentre i giornali indipendenti ricalcano poi l’andamento dei fatti, quelli filogovernative si occupano molto della norma fino alla sua approvazione, disinteressandosene subito dopo. E oscillano molto nell’attribuzione della sua paternità

La Corte costituzionale, con sentenza del 13 gennaio 2004, ha sancito l’incostituzionalità dell’articolo 1 della legge 20 giugno 2003, n. 140 che prevedeva la sospensione dei processi a carico delle alte cariche dello Stato.
A parte la sostanza del provvedimento, già censurato dalla Corte e censurabile forse per diversi altri motivi, si vuole qui sottolineare come il dibattito che ha accompagnato l’intera vicenda sia stato caratterizzato, come troppo spesso avviene, da una campagna mediatica che ne ha distorto i contorni.

Un termine improprio…

In primo luogo, occorre muovere dai termini utilizzati per individuare la legge n. 140/2003. Tale provvedimento, infatti, è stato comunemente definito come “lodo Schifani” o “lodo Maccanico”.
L’utilizzo del termine “lodo” è improprio e ingannevole. Si tratta, nella migliore delle ipotesi, di una semplificazione giornalistica. E chi gli ha dato risonanza ha finito per ingenerare la convinzione che si trattasse di un provvedimento che conciliava i diversi punti di vista e che, quindi, poteva contare sull’appoggio trasversale di tutte le forze politiche.
Il termine lodo infatti indica, nel linguaggio comune, una mediazione; ovvero, in giuridichese, la composizione, stragiudiziale, di interessi contrapposti. Tale poteva forse essere l’originaria proposta del settembre 2002 (da cui l’iniziale appellativo di “lodo Maccanico”), avanzata dall’opposizione come alternativa alla legge sul legittimo sospetto, la cosiddetta “legge Cirami”, allora in discussione. Ne consegue che è improprio parlare di “lodo”, poco conta, da questo punto di vista, se Schifani o Maccanico..
Il provvedimento dovrebbe quindi essere individuato come legge n. 140/2003 o legge per la sospensione dei processi penali a carico delle alte cariche dello Stato. Se proprio si ritiene necessario utilizzare una formulazione breve e che resti impressa nell’immaginario collettivo (senza manipolarlo), come “legge Schifani”. Ovviamente, si tratta di una formulazione meno immediata e accattivante. Tuttavia, la precisione e, soprattutto, la necessità di non inviare messaggi fuorvianti dovrebbero essere interessi preminenti.

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…Utilizzato in modo curioso

Chiarito che si tratta di un uso improprio, occorre soffermarsi anche su come il termine “lodo”sia stato utilizzato. A tal fine si presentano i risultati di una ricerca effettuata attraverso la banca dati “Eco della stampa” su quattro testate giornalistiche, due di area filogovernativa (Il Giornale e Il Foglio) e sui due maggiori quotidiani “generalisti” italiani, che possiamo definire in qualche senso “indipendenti” (Il Corriere della Sera e La Repubblica).
Un primo fatto è che in realtà tutti e quattro i quotidiani sono caduti nella trappola: il termine “lodo” è rimasto una costante dei resoconti.
Ma un’analisi attenta rivela anche altri aspetti.
Attraverso l’uso delle parole chiave “lodo Maccanico” e “lodo Schifani”, dal 30 aprile 2003 fino al febbraio 2004, sono stati individuati circa cento articoli. Meno del 30 per cento sono apparsi sulle testate filogovernative, mentre il quotidiano che ha dedicato maggior attenzione all’argomento è stato il Corriere della Sera, con quasi quaranta pezzi.

Ma chi ha trattato di più questo tema nei diversi periodi attorno all’approvazione della legge?
L’arco di tempo è stato suddiviso in tre sottoperiodi: prima della approvazione; tra la approvazione della legge e la pronuncia della Corte; dopo la pronuncia di incostituzionalità.
Nel primo sottoperiodo (quello che ha portato all’approvazione della legge) l’attenzione delle testate filogovernative è stata maggiore (a esse è riconducibile il 35 per cento degli articoli prodotti nel periodo), ed è invece calata successivamente (la percentuale è scesa di 10 punti). Forse non è un’ipotesi azzardata vedere in questo un indice che l’interesse di questi quotidiani era quello di sostenere l’approvazione del provvedimento, disinteressandosene una volta ottenuto lo scopo.
Anche più significativi sono poi i risultati dell’analisi che mette a confronto le scelte sulla paternità della legge, ovvero l’attribuzione del provvedimento ad Antonio Maccanico piuttosto che a Renato Schifani (in altre parole, all’opposizione piuttosto che alla maggioranza).
Prima dell’approvazione, la legge 140 è stata quasi unanimemente identificata come “lodo Maccanico” (solo nel 4 per cento dei casi Repubblica e Il Corriere hanno chiamato il provvedimento “lodo Schifani”, mentre questa paternità non è mai trapelata dai giornali filogovernativi). Dopo l’approvazione, la legge è stata qualificata dai giornali “indipendenti” come “lodo Schifani” nel 77 per cento dei casi nel sottoperiodo che va dalla sua approvazione alla pronuncia della Corte e nel cento per cento successivamente a tale data.
Al contrario, i giornali di area filogovernativa hanno scelto di attribuire la paternità della legge a Schifani solo in modo sporadico e solo prima della pronuncia della Corte (nel periodo intercorrente tra l’approvazione e la pronuncia della Corte nel 20 per cento dei casi).
Una volta che il provvedimento è stato bocciato dalla Corte costituzionale, i giornali filogovernativi sono, prontamente, tornati a chiamarlo “lodo Maccanico” in oltre il 95 per cento di casi.

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Qualche dubbio

Se le modalità di comunicazione adottate dai giornali “indipendenti” sono, tutto sommato e eccezion fatta per l’utilizzo del termine “lodo”, in linea con il reale andamento dei fatti, quelle operate dalle testate filogovernative sembrano prestare il fianco a più di un dubbio.
Prima dell’approvazione, hanno attribuito la paternità del provvedimento all’opposizione. Dopo la sua approvazione, hanno invece accettato, pur in modo non troppo esplicito, il fatto che la sua paternità fosse di un membro della maggioranza, salvo poi rinnegare questo stesso fatto successivamente alla pronuncia della Corte, quando è iniziato il gioco dello scaricabarile sulle responsabilità di chi aveva voluto e disegnato una legge giudicata incostituzionale (dimenticandosi che nell’idea originaria di Antonio Maccanico la norma doveva essere approvata tramite una legge costituzionale).
Pare proprio che il conflitto d’interessi non preoccupi gli italiani, ma “forse” tale conflitto esiste. Almeno sino a quando un apposito “lodo” non lo cancellerà per decreto.

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