L’unico elemento finora noto della prossima Finanziaria è che una parte della manovra sarà costituita dall’applicazione di un tetto uniforme del 2 per cento alla crescita della spesa nel 2005 rispetto al pre-consuntivo 2004. Congelare così la composizione della spesa segna una rinuncia a definire priorità e scelte allocative e riduce la politica di bilancio a un fatto puramente finanziario. E comunque non basta per raggiungere gli obiettivi indicati nel Dpef.

Mancano dieci giorni alla presentazione della legge Finanziaria e, come nelle migliori tradizioni del nostro sistema di bilancio, si sa davvero poco sui contenuti della manovra.

Le cifre del Dpef

Proviamo a fare il punto. Il Dpef 2005-2008, presentato dal Governo a fine luglio, annunciava per portare nel 2005 il disavanzo al 2,7 per cento del Pil, interventi per 24 miliardi, di cui 17 miliardi di misure strutturali e 7 miliardi di misure una tantum. Il Dpef non forniva informazioni sulla natura degli interventi. L’unico elemento emerso nelle settimane successive è che una parte della manovra sarà costituita dall’applicazione di un tetto uniforme del 2 per cento alla crescita della spesa nel 2005 rispetto al pre-consuntivo 2004.  Quanta parte? Per capirlo ritorniamo al Dpef, che espone – accanto al pre-consuntivo per il 2004 – il tendenziale a legislazione vigente per il 2005 (tabella 1). L’applicazione della regola del 2 per cento alla spesa corrente (con l’esclusione della spesa per prestazioni sociali in denaro e per interessi) e del 2,8 per cento (percentuale comparsa in alcune dichiarazioni di membri del Governo) alla spesa in conto capitale dà il bilancio programmatico (quello desiderato dal Governo). Come si vede, esso si situa in una posizione intermedia tra consuntivo e tendenziale: implica incrementi rispetto al primo e tagli rispetto al secondo.

Il metodo Gordon Brown all’italiana

preconsuntivo

tendenziale

tasso di crescita tendenziale 2005/2004

programmatico

taglio rispetto al tendenziale

2004

2005

2005

SPESE (milioni di euro)

Redditi lavoro dipendente

152.714

155.800

2,0%

155.768

32

Consumi intermedi (*)

103.742

109.800

5,8%

105.817

3.983

Pensioni

193.046

200.500

3,9%

200.500

Altre prestazioni sociali

41.554

41.700

0,4%

41.700

Altre spese correnti

44.928

47.800

6,4%

45.827

1.973

Spese correnti al netto interessi

535.984

555.600

3,7%

549.612

5.988

Interessi passivi

71.702

74.000

3,2%

74.000

Totale spese correnti

607.686

629.600

3,6%

623.612

5.988

di cui spesa sanitaria

89.650

92.434

3,1%

91.443

991

Spese in c/capitale

47.928

56.900

18,7%

49.270

7.630

Totale spese al netto interessi

583.912

612.500

4,9%

598.882

13.618

Totale spese finali

655.614

686.500

4,7%

672.882

13.618

(*) Incluse prestazioni sociali in natura

 

Tagli alla cieca

Poiché i 24 miliardi della manovra annunciata nel Dpef erano, comunque, riduzioni di spesa e aumenti di entrate rispetto al tendenziale, occorre considerare gli scostamenti del bilancio programmatico rispetto al tendenziale stesso (ultima colonna della tabella). La riduzione della spesa corrente è di circa 6 miliardi. Di questi, circa 4 miliardi deriverebbero dai consumi intermedi (che per un terzo sono costituiti dalle prestazioni in natura della sanità: farmaci, medici generici, case di cura convenzionate, eccetera) e i restanti 2 miliardi dalle “altre spese correnti” (una categoria costituita, per poco meno della metà, da trasferimenti alle imprese, incluse quelle pubbliche, e, per la parte restante, da trasferimenti alla Ue, ammortamenti, ecc.). La spesa per il personale non subirebbe riduzioni rispetto al tendenziale che, tuttavia, incorpora gli effetti dei rinnovi contrattuali 2004-2005 solo per una parte dei dipendenti pubblici. Per la spesa in conto capitale, la riduzione sarebbe di oltre 7,5 miliardi. A questo proposito c’è un’importante qualificazione da fare: non è chiaro se l’obiettivo di una spesa in conto capitale di circa 49 miliardi nel 2005 sia al lordo o al netto delle dismissioni di immobili pubblici (come è noto, nei conti della Pa queste dismissioni sono registrate con il segno meno nella spesa in conto capitale). Ma tutto ciò è realizzabile? È lecito dubitarne. Ad esempio, per la spesa per il personale, la regola del 2 per cento non consente il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Per la spesa sanitaria, secondo le Regioni il vero consuntivo 2004, al quale applicare la crescita del 2 per cento, è più elevato di quello esposto nel Dpef (quello del grado di affidabilità del pre-consuntivo di luglio è un problema generale. Più in generale, l’applicazione di tetti di spesa a partire dal pre-consuntivo, senza tener conto degli effetti della legislazione vigente e, quindi, senza individuare le singole leggi che occorre modificare, sembra un esercizio condotto al buio. Si potrebbe, forse, ottenere il risultato utilizzando un meccanismo di carattere generale simile a quello del taglia-spese (prevedendo di bloccare gli effetti delle singole leggi vigenti quando dovessero implicare una spesa superiore al tetto prefissato). Ma si tratterebbe, davvero, di tagli alla cieca e che con ogni probabilità sarebbero ampiamente compensati da incrementi futuri. Come, secondo la Corte dei conti, è avvenuto con l’applicazione del taglia-spese nel 2002, quando la minore spesa di quell’anno per consumi intermedi è stata compensata da una maggiore spesa nel 2003. A proposito della natura strutturale e non una tantum degli interventi.

I conti non tornano

La stessa scelta di una crescita uniforme al 2 per cento per tutte le voci di spesa lascia molto perplessi. Congelare la composizione della spesa a quella (presunta) del 2004 segna una rinuncia a definire priorità e scelte allocative e riduce la politica di bilancio a un fatto puramente finanziario. In ogni caso, anche trascurando tutte le difficoltà e i problemi illustrati, l’applicazione “flash” del metodo Gordon Brown porterebbe circa 13,5 miliardi dal lato della spesa. Per arrivare ai 24 miliardi annunciati nel Dpef mancano 10,5 miliardi. Una parte di questi dovrebbe provenire dalle vendite di immobili: forse 7 miliardi (sempre che non siano stati già considerati in riduzione della spesa in conto capitale). Per inciso, va ricordato che dalle vendite di immobili si attende – secondo quanto annunciato dalla Relazione trimestrale di cassa – un contributo consistente, per una cifra che si può presumere sia compresa tra 6 e 9 miliardi, già per la chiusura dei conti 2004. Nei prossimi quindici mesi dovremmo quindi avere un volume di vendite senza precedenti (almeno in parte con il meccanismo non proprio virtuoso del “vendi e riaffitta”). Per completare la manovra di 24 miliardi sembra, quindi, necessario anche qualche intervento che aumenti le entrate tributarie, per una cifra di almeno 3,5 miliardi (sempre che, ripetiamo, il taglio della spesa in conto in capitale sia effettivo). Tutto ciò senza contare le risorse necessarie per finanziare la riduzione delle aliquote Irpef e quella dell’Irap. Insomma, sulla legge Finanziaria 2005, sono molte le domande che attendono una risposta. Tra dieci giorni ne sapremo di più. Per ora affermazioni del tipo “non ci saranno tagli alla spesa, ma solo limiti alla sua crescita” hanno il sapore sgradevole della propaganda. Possiamo diminuire le imposte e anche aumentare un po’ le spese: ecco un messaggio di cui non si avverte il bisogno.

 

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