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Separati dalle carriere

Fra le democrazie consolidate, l’Italia è l’unico paese in cui le funzioni di giudice e pubblico ministero sono affidate allo stesso corpo di magistrati indipendenti. Né dalla separazione delle carriere deriva automaticamente una dipendenza del pubblico ministero dal potere politico. Il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario appena approvato non risolve però il problema. Mantiene la magistratura come corpo unico, non favorisce il reclutamento di avvocati e dopo cinque anni dal concorso iniziale impone una scelta definitiva.

La separazione delle carriere di giudice e pubblico ministero è questione seria: l’Italia è l’unico paese, fra le democrazie consolidate, in cui le due funzioni sono affidate allo stesso corpo di magistrati indipendenti. Ma il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario approvato il 10 novembre 2004 al Senato, non risolve il problema e si muove nella direzione sbagliata.

A favore della separazione

La riforma del processo penale del 1988 e l’introduzione, nel 1999, dei principi del “giusto processo” nella Costituzione hanno posto anche in Italia pubblico ministero e avvocato difensore sullo stesso piano in relazione al giudice.
Il legame organizzativo fra pubblico ministero e giudice – che vengono reclutati con lo stesso concorso, si autogovernato con lo stesso Consiglio superiore della magistratura, partecipano alla stessa associazione (1) e magari appartengono alla stessa corrente – danneggia l’imparzialità, e soprattutto l’immagine di imparzialità, del giudice.
Nel processo penale esiste oggi uno squilibrio organizzativo a danno dell’avvocato difensore. Oltretutto, la concentrazione di potere che ne segue è a dir poco eccezionale: di regola, nei regimi democratici pubblico ministero e giudice appartengono a organizzazioni diverse. Solo in Francia si ha una situazione simile a quella italiana, ma lì il pubblico ministero è comunque sottoposto alle direttive del ministro della Giustizia.

La questione dell’autonomia

Parecchie sono le obiezioni sollevate contro la separazione delle carriere, specie se attuata con la creazione di due corpi separati. (2) Il timore principale è che in questo modo, presto o tardi, si finisca per mettere il pubblico ministero alle dipendenze del Governo.
Non c’è però alcun legame fra separazione delle carriere e dipendenza del pubblico ministero dal potere politico. Nell’Italia fascista le carriere non erano separate, ma il Governo disponeva di amplissimi poteri. Nella Francia di oggi la situazione non è poi tanto diversa, mentre in Portogallo vi sono due corpi separati e indipendenti. La stessa capacità del Governo di influire sul pubblico ministero viene esagerata. I poteri dell’esecutivo si limitano di solito a emanare direttive generali, senza entrare nella gestione dei singoli casi. Il forte spirito di corpo rende comunque molto difficili le ingerenze dei ministri. L’alternanza di partiti alla guida del Governo rende più responsabili e più cauti i governanti e stimola nei pubblici ministeri un atteggiamento non-partisan, in previsione di un futuro mutamento di Governo. D’altra parte, controlli sull’operato del pubblico ministero, al di là di quelli esercitati dal giudice, sono presenti in tutti i sistemi democratici e vengono raccomandati da autorevoli sedi internazionali. (3) Né il principio di obbligatorietà dell’azione penale è certo in grado di rendere il pubblico ministero un semplice automa, privo di qualunque discrezionalità.

Una comune cultura

Il fatto che le funzioni del pubblico ministero siano diverse da quelle dell’avvocato non sposta i termini della questione. È vero che il primo è sottoposto a doveri più stringenti del secondo, ma le differenze non toccano la necessità di creare un certo equilibrio in relazione al giudice, per garantirne così l’imparzialità. Si potrebbe pensare che la separazione possa portare il pubblico ministero ad assumere un atteggiamento eccessivamente accusatorio, quasi “poliziesco”, e a non esercitare con equilibrio le funzioni di accusa. In realtà, anche oggi c’è chi dubita che i nostri pubblici ministeri manifestino nei loro comportamenti un atteggiamento “giurisdizionale”. (4)
Ma anche in paesi con una lunga tradizione accusatoria, il pubblico ministero non opera con spirito di parte: il pubblico ministero inglese, ad esempio, deve essere “corretto, indipendente e obiettivo e non farsi influenzare dalle origini etniche o nazionali, dal sesso, dalla religione, dalle preferenze politiche o sessuali della vittima, dell’accusato o del testimone”. (5)
Anche negli Stati Uniti il pubblico ministero “ha la responsabilità di un ministro di Giustizia e non di un semplice avvocato” e “non deve dare peso ai vantaggi o agli svantaggi politici” connessi alle sue decisioni. (6) Quindi, la necessità di far sì che il pubblico ministero interpreti il suo ruolo con correttezza e obiettività poco ha a che fare con la presenza di un corpo unico.

Semmai, se si vuole che i protagonisti del processo siano in grado di intendersi, è opportuno favorire una certa omogeneità fra giudice, pubblico ministero e avvocato difensore. Una più accentuata formazione comune – insieme alla possibilità, per tutti, di passare da una carriera all’altra – sarebbe necessaria.
Purtroppo, il disegno di legge governativo mantiene la magistratura come corpo unico, non favorisce il reclutamento di avvocati e impone, dopo cinque anni dal concorso iniziale, una scelta definitiva. Si accentuerà così un tratto patologico del nostro assetto: la frammentazione delle professioni legali, fatto che favorisce uno stato di reciproca sfiducia fra avvocati e magistrati e che rende difficile snellire le forme processuali, oggi oppresse da un cumulo di previsioni garantistiche. (7)


(1) L’Associazione nazionale magistrati, divisa oggi in ben cinque correnti.

(2) Sono ben riassunte da R.Romboli, “Il pubblico ministero nell’ordinamento costituzionale e l’esercizio dell’azione penale”, in AA.VV., Ordinamento giudiziario e forense, Pisa, Edizioni Plus, 2002, pp. 307-320.

(3) Vedi la raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 6 ottobre 2000 (Rec 2000/19).

(4) G. Di Federico e M. Sapignoli, Processo penale e diritti della difesa, Roma, Carocci, 2002.

(5) Crown Prosecution Code, 2000, 2.2.

(6) W.T. Pizzi e M. Montagna, “The Battle to Establish an Adversarial Trial in Italy”, in Michigan Journal of International Law, 25 (2004), p. 446

(7) Ad esempio, secondo uno studio di M. Fabri e P.M. Langbroek (“Case Assignement to Courts and within Courts”, Shaker Publishing, di prossima pubblicazione) su sei paesi europei e il Quebec, l’Italia risulta – col Portogallo – la meno flessibile nell’assegnare i casi e i giudici ai vari uffici giudiziari.

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  1. Alessandro Spanu

    Gentile Professor Guarnieri,

    vorrei, si parva licet, da non giurista, da non costituzionalista, fare qualche breve considerazione sulla cosiddetta “separazione delle carriere” fra giudici e pubblici ministeri contro la quale sciopereranno i magistrati e a favore della quale sciopereranno gli avvocati delle camere penali, ritenendo che, in realtà, non sia presente nel nuovo ordinamento giudiziario.
    Se “nomina sunt consequentia rerum” ed i costituenti si sono attenuti a tale principio, la costituzione parla di “magistrati” e “magistratura” quando intende riferirsi sia ai giudici che ai pubblici ministeri ( articoli 104, 106, 107 I°e III° comma, 108 I° comma) mentre utilizza il termine “giudice” ( terzo ed imparziale ex articolo 111 II° comma) e non anche “pubblico ministero” nell’ articolo 102 al II° comma : ” I giudici sono soggetti soltanto alla legge “.
    La domanda, si direbbe, sorge spontanea : allora i pubblici ministeri possono essere soggetti anche ad altro che non sia la legge ?
    L’ articolo 107 ultimo comma dispone : “Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario ” ( ovvero la stessa costituzione distingue i giudici dai pubblici ministeri : solamente i primi “soggetti soltanto alla legge”, mentre i secondi no)
    Dunque, da queste brevissime considerazioni, si potrebbe affermare che la separazione delle carriere non solo non è incostituzionale, ma è presente, in nuce, nello stesso testo della Costituzione.

    Cordiali saluti.

    Alessandro Spanu
    Mogoro (OR)

    • La redazione

      Anch’io sono convinto che la separazione delle carriere non sia incostituzionale. Ci sono però autorevoli opinioni di segno contrario. Quando si parla di riforme non credo che sia opportuno limitarsi alla lettera dei testi. Il punto centrale della questione è che la separazione dei giudici dai pubblici ministeri è un carattere tipico degli ordinamenti liberali. Noi -come la Francia – in questo scontiamo l’eredità – molto poco liberale – del grande Napoleone. Prima o poi speriamo di liberarcene.”
      Dopodichè potremmo anche avere un’alluvione di giuristi che ci spiegheranno cosa vuol dire davvero la Costituzione. Pazienza.

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