Quanto si è speso per l’operazione di restauro e ristrutturazione della Scala? Non è dato saperlo con precisione. Dovrebbe trattarsi di una cifra tra i 100 e i 150 milioni di euro. Pagati quasi interamente dai contribuenti, mentre La Scala è utilizzata quasi esclusivamente dai ceti più abbienti. Non si poteva quindi far contribuire maggiormente coloro che fruiranno del nuovo teatro? Bene, in ogni caso, non ignorare il problema nascondendo la testa sotto la sabbia.
Dopo le note polemiche, l’ inaugurazione della nuova Scala il 7 dicembre sembra aver messo tutti d’ accordo, in un vero e proprio bagno di retorica in cui era difficile ascoltare una voce dissonante nei media più importanti. Al grande party c’era la crema della buona borghesia, della imprenditoria, della aristocrazia, e della cultura milanesi, insieme ai massimi esponenti della politica e della Chiesa locali. Mancava solo un invitato: il contribuente.
Gli aspetti positivi
Non voglio ovviamente entrare nella querelle sugli aspetti artistici ed architettonici dell’ operazione, né sulla altrettanto annosa querelle della legittimità degli appalti. Ed è giusto riconoscere alcuni aspetti positivi dell’operazione: i costi di ristrutturazione dell’ edificio storico della Scala tutto sommato limitati rispetto alle esperienze disastrose di teatri più piccoli quali il Dal Verme e il Piccolo; e i tempi di realizzazione estremamente rapidi rispetto al passato.
I costi
Ma, trattandosi di soldi pubblici, è importante capire quanto si è speso. Una esatta ricostruzione dei costi totali a carico del contribuente appare difficile se non impossibile (ripetute richieste alla fondazione la Scala non hanno sortito effetto alcuno. Proviamo dunque a fare qualche conto prudenziale sulla base dell’ informazione che sono riuscito ad ottenere.
Restauro e ristrutturazione della sede storica della Scala: 56 milioni sul bilancio del comune di Milano, incluse le varianti ( vd comunicati stampa comune di Milano del 4 marzo e del 20 giugno 2004 e riunione del consiglio comunale del 29 luglio 2004).
Accordo bonario di componimento delle riserve formulate dalla ditta appaltatrice: 8,3 milioni (vd. delibera della giunta comunale del 19 ottobre 2004).
Contributo per le manifestazioni di riapertura della Scala: 1 milione (vd delibera della giunta comunale del 16 novembre 2004).
Costruzione del Teatro Arcimboldi (che ha ospitato la Scala durante i lavori alla sede storica): 38 milioni sul bilancio del comune di Milano (inclusi 18 milioni di oneri di urbanizzazione dell’ area Bicocca dovuti dalla Pirelli e abbuonati in cambio di lavori al Teatro – vd comunicato stampa comune di Milano 18 febbraio 2003).
Lavori per il laboratorio della Scala, area ex-Ansaldo: circa 12 mln sul bilancio del comune di Milano (vd. http://www.dslombardia.it/Pressroom/2004/12/cor4_1205_folli-rinasce-la-scala.htm)
Il totale parziale è di circa 115 milioni di euro. Da questa cifra va dedotta l’ IVA, che è una partita di giro per il contribuente nazionale (anche se non per quello milanese); anche assumendo che sia stata pagata su tutte queste transazioni e assumendo una aliquota del 10 percento, pagata sulla fetta più grande, la ristrutturazione della Scala otteniamo circa 105 milioni di euro. A questi vanno aggiunti: i costi sostenuti dalla Fondazione Scala (in gran parte finanziata con soldi pubblici) per le opere di completamento e finiture quali, ad esempio, tutti gli arredi, telefonia, pc ecc.; gli interventi diretti dello Stato (in totale circa 9 milioni stanziati, ma non è chiaro quanti effettivamente erogati); e il costo dei due traslochi.
Una corretta contabilizzazione dei costi dovrebbe includere anche il valore attuale dei costi di mantenimento e di esercizio futuri (al netto dei ricavi) del Teatro degli Arcimboldi, di cui nessuno sembra sappia più che fare una volta che la Scala sarà tornata pienamente alla sua sede storica. Una quantificazione è difficile, ma solo per mantenere in efficienza operativa un teatro di 2300 posti saranno necessari parecchi milioni ogni anno.
A questo forse vanno aggiunti almeno alcuni dei costi del collegamento con la metrotranvia 7, 4920 metri di cui una galleria di 600 metri, interamente realizzati dalla Pirelli & C. Real Estate, proprietaria dell’ area Bicocca circostante il Teatro degli Arcimboldi, e presieduta da Marco Tronchetti Provera, uno degli 8 membri del Consiglio di Amministrazione della Fondazione La Scala.
Infine, non bisogna dimenticare che i lavori di ristrutturazione della Scala non sono finiti: questa stagione sarà ancora divisa tra Scala e Arcimboldi. Il totale del costo di tutta l’ operazione per il contribuente oscilla dunque da un minimo, assai prudenziale, di 105 milioni di euro ad un massimo che può essere facilmente di 150 milioni.
Chi paga per la Scala, e chi la usa
Ne valeva la pena? In un certo senso la risposta è ovvia: il numero delle rappresentazioni aumenterà, ma secondo alcuni operatori gli incassi aumenteranno al massimo del 6 percento (vd Cristina Jucker, Sole 24 Ore del 16 luglio 2004).
Ovviamente però non si può ridurre l’ analisi al semplice calcolo dei costi e dei ricavi diretti. L’ operazione “la Scala” ha almeno due tipi di esternalità. La prima è economica, ed è l’effetto indotto sull’ economia milanese, diretto (turisti, alberghi etc.) e indiretto (immagine, prestigio etc.). L’esternalità pecuniaria di un investimento pubblico non è specifica della Scala. Noto solo che ciò che è rilevante è l’ incremento di questa esternalità dovuto alla ristrutturazione, non il suo totale.
La seconda esternalità è di tipo “culturale”. Il problema, ovviamente, è che è impossibile misurare univocamente l’ esternalità del bene pubblico “cultura”, e quindi il prezzo che la collettività dovrebbe essere disposta a sostenere per produrlo. La risposta è dunque soggettiva.
Nel caso della lirica, però, c’è un elemento in più che viene speso dimenticato. Che piaccia o meno, la stragrande maggioranza di coloro che usufruiscono della Scala e quindi delle sue “esternalità culturali” appartiene ai massimi gradini della distribuzione del reddito e della ricchezza. (Basta un’ occhiata alle foto dell’ inaugurazione per rendersi conto che il 7 dicembre alla Scala vi era la più grande concentrazione di pellicce e gioielli al mondo).
Il problema, ovviamente, va ben al di là della singola operazione “la Scala”. Nel 2003 gli enti lirici in Italia hanno ricevuto dal Fondo Unico per lo Spettacolo (più il fondo integrativo) circa 244 milioni di Euro, circa il 48 percento dell’ intero Fus. A questo vanno aggiunti i finanziamenti dagli enti locali e da altri enti e aziende di varia natura di fatto controllate dallo Stato.
La Scala e il Met di New York
Per esempio, nel 2003, su di un bilancio di quasi 100 milioni di euro, la Scala si è finanziata per il 33,5 percento con proventi propri (di cui 15 milioni con biglietti e abbonamenti), per il 17 percento con contributi privati (alcuni dei quali, però, provenienti da aziende di fatto a controllo pubblico), e per il 49,5 percento con contributi pubblici. Il bilancio del Met di New York è di circa 200 milioni di dollari, circa 154 milioni di euro. Il 50 percento è rappresentato da proventi propri (di cui il 40 percento, circa 80 milioni di dollari, da biglietti e abbonamenti), il 40 percento da contributi privati, e il 10 percento dall’ “endowment” (vd. http://www.stern.nyu.edu/Sternbusiness/fall_winter_2003/stagemanager.html). Formalmente, il Met non riceve quasi nessun finanziamento pubblico. In realtà le donazioni sono deducibili, con formule complesse a seconda del donatore. Uno studio ha calcolato che, per ogni dollaro donato ad un teatro d’ opera costa al governo americano tra 40 e 45 cents in mancate tasse (vd. http://slate.msn.com/toolbar.aspx?action=print&id=3620). Quindi, il finanziameno statale implicito al Met è di circa 36 milioni di dollari (il 45 percento di 80 milioni), il 18 percento del budget totale. Come si vede, la differenza nella composizione dei finanziamenti tra la Scala e il Met è enorme.
Ci si aspetterebbe che un teatro largamente sussidiato come la Scala applichi prezzi più “popolari” rispetto ad un teatro privato quale il Met. Non è così. Il prezzo dei biglietti disponibili sul web per la rappresentazione de “L’ Europa Riconosciuta” di Salieri di martedì 21 dicembre alla Scala varia tra 258 euro e 30 euro (incluse le riduzioni varie); un biglietto per la “Rodelinda” di Haendel (anch’ essa una nuova produzione) al Met mercoledì 22 dicembre costa fra 26 e 170 dollari, o tra 20 e 130 euro. E al Met sono disponibili ottimi posti in piedi per 15 dollari (circa 11 euro). La nostra lirica è quindi doppiamente iniqua: costa di più al contribuente, e costa di più anche all’ utente. Come tante leggende nostrane, anche quella che la nostra offerta culturale sia più “democratica” rispetto a quella “privatistica” americana non ha fondamento.
La cultura non ha prezzo?…….
La risposta abituale a queste critiche è che esse rappresentano un approccio “ragioneristico” ad un bene, come la cultura, che “non ha prezzo”. Questa risposta non ha fondamento. Le buone cause sono infinite, ma le risorse di una collettività sono limitate. Una collettività ha il diritto e il dovere di stabilire delle priorità. Anche rimanendo all’ interno della musica, può benissimo essere il caso che gran parte dei soldi pubblici per gli enti lirici sarebbero stati meglio spesi, in termini sia di esternalità “culturali” sia di equità, destinandoli per esempio a potenziare l’ insegnamento della musica classica tra i giovani, settore in cui siamo notoriamente carenti rispetto a molti paesi europei. Anche se le cifre non sembrano essere disponibili scorrettamente, perchè sono soldi del contribuente è opinione diffusa tra gli addetti ai lavori che i compensi dei cantanti lirici in Italia siano più alti che negli altri paesi Europei. Il cachet di un soprano superstar ascoltato quasi esclusivamente dalla buona borghesia di Milano, ma pagato dal contribuente nazionale, potrebbe da solo coprire centinaia di borse di studio ai conservatori.
Oppure può darsi che la risposta sia ancora più radicale, e che una collettività abbia il diritto di dedicare risorse pubbliche a beni di lusso quali la lirica solo dopo aver affrontato con successo problemi più urgenti, quali ad esempio quello dei senzatetto e dei disabili.
sì che ce l’ha, e dovrebbe pagarlo di più la buona borghesia di Milano
Non pretendo di avere la risposta a queste domande. Il problema non ha una soluzione “oggettiva”: giudizi di valore di ogni tipo entrano necessariamente nella risposta. Per questo è importante evitare estremismi e facili populismi. Ma allo stesso tempo è importante evitare la tattica dello struzzo, nascondendo la testa sotto la sabbia per non porsi nemmeno la domanda. Nessuno vuole disconoscere l’ importanza della tradizione della lirica nella cultura italiana.
Ma come minimo, sarebbe lecito aspettarsi che, se la buona borghesia milanese ama veramente la lirica come la retorica di questi giorni vuole farci credere, sia anche disposta a dimostrarlo concretamente, contribuendo in una misura più sostanziale al restauro e al mantenimento della “sua” Scala.
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Chiara Rubino
Perfettamente d’accordo! Credo che il discorso vada comunque allargato a tutte le rappresentazioni di opere liriche. E’ noto che in Italia lo Stato sovvenziona ampiamente i Teatri; a vedere le opere liriche vanno per lo più i ceti più benestanti; ergo è in atto una redistribuzione regressiva delle risorse pubbliche.
Cordialità
Chiara Rubino
La redazione
Sono d’ accordo, il discorso e’ piu’ generale, come dimostrano i dati sul Fondo Unico per lo Spettacolo citatinell’ articolo.
oreste
Penso che la redistribuzione della ricchezza al contrario, cioè dalle classi meno abbienti e con meno potere alle classi privilegiate, sia presente in tutti i campi a cominciare dalla finanza alla grande indusrtia ecc.
saluti oreste
La redazione
Caro Oreste,
anche se non si deve generalizzare (il sistema della tassazione in Italia e’ pur sempre nel suo complesso progressivo) , sono d’ accordo che vi sono altri esempi di distribuzione all’ incontrario. Un esempio di cui mi sono occupato su queste colonne e’ quello del sistema universitario.
Roberto
Ludovico Miseso
Lei caro Perotti è il miglior autore di questo sito.
Un suggerimento; dovrebbe inviare questo scritto a:
– al Corriere della Sera, in prima fila nella retorica dicembrina, che forse dimentica che ha tantissimi lettori che non portano facilmente lo smoking ma pagano una enormità di tasse
– al maestro Muti che spesso discetta di economia pubblica con la stessa disinvoltura e arroganza con la quale muove la sua bacchetta.
Auguri e si faccia sentire di più, è ora di uscire allo scoperto.
Ludovico
La redazione
Caro Ludovico,
grazie per le tue parole di apprezzamento. L’ articolo al Corriere della Sera
l’abbiamo mandato……
Roberto
Massimiliano Mandia
Sono perfettamente in sintonia con la sua analisi. Quello della Scala, non è nè il primo nè l’ultimo caso di “mancanza di rispetto” verso i danari del contribuente. Soprattutto in passato, diverse aziende inefficienti, pur continuando a beneficiare di sussidi pubblici, rimanevano tali. Tornando alla Scala, il fatto che il Teatro milanese pratichi prezzi più elevati rispetto ad altri “teatri colleghi”, immagino possa rispondere a due logiche: la prima è quella di rientrare più velocemente dall’investimento iniziale. La seconda ragione è opposta alla prima e può risiedere in alcune inefficienze gestionali dovute al contesto ambientale in cui opera il teatro. Cioè, essendo il teatro finanziato prevalentemente dal settore pubblico, è come se indirettamente fosse anch’esso un “soggetto pubblico”, che non opera in un mercato concorrenziale, trovandosi, anche per il suo prestigio acquisito nel tempo, in una situazione di “monopolio culturale”. E quindi la Scala non confrontandosi con altri teatri italiani di pari prestigio, fa “il bello e cattivo tempo”. E’ consapevole di stare dentro un guscio sicuro (creato anche dai nostri soldi) che non la espone alle regole della concorrenza. E non è dunque stimolata ad abbassare i prezzi. Buon natale e buon anno
La redazione
Caro sig. Mandia,
grazie del messaggio e dell’apprezzamento. Sono d’accordo con la sua analisi. Se, come sembra, i compensi dei cantanti lirici in Italia sono piu’ alti che negli altri paesi, questo sembrerebbe corroborare la sua idea che la natira praticamente pubblica degli enti lirici non induca certo a gestire oculatamente le risorse. Vi sono poi problemi di natura organizzativa – sindacale su cui mi riprometto di ritornare in futuro se riesco a raccogliere la documentazione necessaria (come puo’ immaginare, le resistenze a fornire informazione al riguardo sono notevoli).
Auguri (in ritardo) anche a lei
Roberto Perotti
Andrea Morosini
Devo dire che i commenti sono imbarazzanti almeno quanto il suo contributo caro Perotti.
La Scala almeno è una cosa di cui andar fieri nel mondo e devo dire che accetto senza problemi anche qualche inefficienza, anzi accetto anche inefficienze grandi.
Accetto molto meno di trovarmi in un paese dove i miei connazionali, quando vanno a fare la spesa, pagano lo stipendio a Maria de Filippi.
Viva la Scala (e il maestro Muti) anche con le sue inefficienze!!!
La redazione
Caro sig. Morosini
se il confronto e’ tra il finanziamento della Scala e quella gabella medievale che e’ il canone RAI, non posso che essere d’accordo con lei.
Roberto Perotti
Andrea Asoni
Gentile professor Perotti,
infinite sono le vie per migliorare la gestione del patrimonio culturale italiano, e sicuramente lei fa bene a indicare i costi e i benefici, gli eventuali usi alternativi delle risorse dedicate ad un progetto.
Solo una cosa non capisco: lei dice “a teatro ci vanno i ricchi, che paghino i ricchi i costi della ristrutturazione”. Allora mi viene da pensare “gli autobus li prendono gli studenti e i pensionati, che paghino loro le ristrutturazioni dell’ATM”. Ecco la cosa non mi sembra giusta (soprattutto dato il fatto che sono uno studente!).
Vorrei capire un’altra cosa: dato che le tasse sono progressive non e’ gia’ questo un modo per far pagare i costi della nuova Scala in misura maggiore ai ricchi?
Credo che la bottom line del suo ragionamento ci porterebbe troppo in la’: che la ricostruzione del Petruzzelli sia pagata dai baresi, e quella della strada crollata in Ogliastra dagli ogliastrini (mia terra). Insomma la domanda e’: quanto e’ pubblica la Scala? quanto e’ un bene nazionale?
La ringrazio per la sua attenzione.
La redazione
Caro Andrea,
lei ha messo il dito sui due problemi principali in questo campo. Quale e’ il grado ottimale di progressivita’ nel finanziare i beni pubblici? E, collegato a questo, quanto del costo del bene pubblico bisogna far pagare all’ utente? Come ho cercato di spiegare, non ho una risposta precisa a queste domande. E sono ben cosciente che i teatri, come tutti i beni pubblici, hanno delle esternalita’ (anche se difficilmente misurabili), quindi farli pagare solo dagli sarebbe inefficiente, oltre che ingiusto.
Il punto che volevo fare era molto meno ambizioso che rispondere a queste domande: nel caso della Scala, mi sembra che si sia adottato uno schema in cui praticamente TUTTO il costo e’ stato sopportato dalla comunita’. A mio avviso, cio’ strideva molto con la roboante retorica sul’ “amore dei milanesi per la loro lirica e il loro teatro”. In piu’, ci sono state chiaramente delle inefficienze nel processo, a partire dagli enormi costi per una vera cattedrale nel deserto come il teatro degli Arcimboldi; e ci sono state degli aspetti poco edificanti, come i grossi benefici per un’ azienda, come la Pirelli, il cui presidente siede nel consiglio della Fondazione la Scala, che a sua volta riceve gran parte dei suoi fondi dal settore pubblico. Piu’ in generale, il mio articolo voleva sollevare il problema del costo della cultura. Tutti siamo d’ accordo che sarebbe bello poter avere dieci volte le mostre, i concerti, le opere, i films ed gli altri eventi culturali che abbiamo adesso. Ma la cultura, come tutto il resto, costa, e trovo ipocrita e molto pericolosa la posizione di molti nostri intellettuali che non si pongono mai il problema, e riescono solo a protestare ogni volta che il governo si permette di non aumentare i fondi per questo o quell’ evento. Come se i finanziamenti alla cultura fossero un loro diritto divino su cui il contribuente non ha il diritto di dire la sua.
Cordialmente
Roberto Perotti
Mario Daccò
Forse non lo sa…….. Il Met ha più posti della Scala, in America la Lirica è osannata, qui…. quasi disprezzata e un cantante lirico deve essere molto ben pagato, cosa che in America non avviene, è dura la vita del cantante, e il reddito molto tassato. Non abbiamo la 14° e nemmeno le ferie pagate, inoltre a parte rari casi non si fanno più di 30-40 serate all’anno…. e la media del compenso di un ottimo artista è di 10-15.000
Mario daccò
non mi sembrano cifre così esagerate, per un artista che da la vita alla musica. Senza contare che più della metà lo si spende in tasse e alberghi. Un tempo il cantante lirico era un divo ormai non più. Sinceramente credo che sia giusto pagare 150 per uno spettacolo alla Scala, credo valga 100 volte più di 4 versi di DJ Francesco per il quale la gente paga 35-40 .