L’Autorità antitrust è forse l’unica istituzione pubblica italiana che cerca di tutelare e promuovere la concorrenza, la cui gracilità è il vero punto debole del nostro sistema economico e politico. Il risultato delle recenti nomine, e di quelle che potrebbero arrivare in futuro, è invece un indebolimento dell’Antitrust. Di cui si avvantaggerà tutta l’area dei servizi, che in Italia ha una configurazione di mercato fortemente concentrata, quasi monopolistica. Senza dimenticare che a questa Autorità è affidato il controllo sul conflitto di interessi.

Ciò che più colpisce, e fa pensare, delle due recenti nomine alla commissione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato è la sfacciataggine, sia nei modi, politicamente poco consensuali, sia nei contenuti. A nostro avviso, però, non si tratta di un colpo di testa occasionale: i due presidenti di Camera e Senato sanno benissimo di “averla fatta grossa”, ma sanno anche di avere scelto in coerenza con una precisa strategia politica. Per comprenderne meglio il senso, ci sembra utile partire dagli effetti prevedibili, e in larga parte voluti, di queste scelte.

Un’Antitrust più debole

Nell’Autorità antitrust, che gode di ottima e internazionale reputazione di autonomia e competenza, entrano due nuovi commissari, noti per essere, uno, vicino ai forti interessi economici del presidente del Consiglio, e ambedue, ancorché in misura diversa, incompetenti in tema di antitrust: nessuno dei due ha infatti alcuna formazione né pratica di diritto o economia della concorrenza.
Questo aspetto delle nomine è stato ampiamente commentato, e non vale la pena di insistere. Osserviamo solamente che l’incompetenza non è caratteristica meno grave della dipendenza: in un’istituzione che deve esprimere pareri professionalmente fondati, inevitabilmente genera decisioni subordinate a questa o a quella voce, alla capacità persuasiva e alle convenienze. Quindi, le attuali nomine indeboliscono la commissione.
Si tratta per ora solo di due commissari su cinque. Tra breve, però, scadrà anche il mandato dell’autorevolissimo presidente Giuseppe Tesauro. Con una commissione indebolita e nella quale sono rappresentati interessi di parte, la figura del presidente sarà molto importante. Per il momento, però, per la successione di Tesauro si fanno nomi che confermano l’orientamento appena avviato. Speriamo che non sia così. E in effetti, le forti reazioni generate dalle prime due nomine potrebbero indurre i presidenti delle Camere a maggiore prudenza.
Comunque sia, la commissione rischia di perdere quella reputazione di indipendenza e di competenza che si è conquistata in quattordici anni di vita.
È un esito previsto, anzi voluto: perché?

Se confrontiamo la nostra Autorità con quelle europee, scopriamo che l’indipendenza dall’esecutivo non è la regola. La subordinazione al governo è evidente in Francia e Germania, ad esempio. Ma lo era anche nella Commissione europea, prima della gestione di Mario Monti.
Ora, se la prevedibile maggior subordinazione avesse l’effetto di riavvicinare l’Autorità italiana al gregge europeo, non sarebbe un buon risultato. L’Autorità antitrust è infatti una delle poche, se non l’unica, istituzione pubblica italiana che cerca di tutelare, e talvolta di promuovere, la concorrenza, la cui gracilità è il vero punto debole del nostro sistema economico e politico. 
Su questo punto, personaggi influenti come Giulio Tremonti (vedi il Corriere della Sera di martedì 4 gennaio) esprimono un parere diverso. Oltre a mostrare di avere le idee non del tutto chiare sugli obiettivi dell’Antitrust in Europa, Tremonti ritiene che la concorrenza perfetta, definita “mercato surreale”, sia un pericolo in un mondo “reale” dominato da lupi tutelati da appropriate politiche nazionali, così che sarebbe quasi rischioso avere un’Antitrust troppo influente.
Queste affermazioni sembrano confermare che la politica governativa non ha come obiettivo una maggior concorrenza, ma preferisce più controllo pubblico e più protezioni, e forse anche difesa dei monopoli nazionali.

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Autorità e interessi costituiti

Ma torniamo al problema dell’indipendenza. Parlare di interessi dell’esecutivo che influenzano l’Antitrust è cosa assai diversa dal parlare degli interessi personali di chi governa o gli sta attorno, e che in tutta evidenza hanno suggerito almeno una delle due nomine, e potrebbero domani determinare la scelta del presidente. Tuttavia, a nostro avviso, questi interessi sottostanti sono ancora più estesi, e dunque ancor più pericolosi di quanto appare.
Se passiamo in rassegna i provvedimenti presi o le indagini svolte dall’Autorità negli ultimi dieci anni, scopriamo che ha seguito due orientamenti precisi: ha considerato come soggetti sanzionabili anche le grandi imprese, e ha appoggiato la politica europea di promozione della concorrenza nei settori di servizio pubblico (trasporti, telecomunicazioni, televisione, elettricità, gas, distribuzione commerciale, e così via).
Proprio questi settori hanno assunto in Italia una configurazione di mercato fortemente concentrata, quasi monopolistica, certamente refrattaria alla concorrenza. E dunque, insieme a quello assicurativo, sono stati settori spesso sanzionati e segnalati dall’Autorità.
È assai plausibile ritenere che si voglia ora porre un freno a tale politica, un po’ troppo audace.
Ma il monopolio delle televisioni commerciali non è il solo soggetto interessato a un’Autorità antitrust più debole. Lo è anche il settore dei servizi di pubblica utilità e più in generale tutta l’area dei servizi, che invece avrebbe bisogno di una forte dose di concorrenza. Silvio Berlusconi non è perciò il solo a compiacersi delle nomine effettuate. 
Tuttavia, le nomine riguardano anche un secondo aspetto degli interessi personali coinvolti, forse ancor più decisivo del primo, secondo molti: il conflitto d’interessi.
Il presidente del Consiglio vuole essere sicuro degli esiti istituzionali da lui stesso avviati: dopo che per legge è stata attribuita all’Antitrust la responsabilità del controllo del conflitto d’interesse, preferisce che l’Autorità sia guidata da persone di cui si fida.
Rischia così di ripetersi quanto già successo con l’Autorità delle telecomunicazioni: le fu malauguratamente attribuita competenza in un settore politicamente sensibile, con l’effetto di politicizzarla e indebolirla. Ora, la politica potrebbe uccidere la tutela della concorrenza.

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Chi dominerà allora un’Autorità la cui commissione è poco competente, attenta a non “pestare piedi importanti” e fors’anche poco interessata a tutelare la concorrenza? Potrebbero essere gli uffici e in questo caso molto dipenderà dal segretario generale, che verosimilmente cambierà, oltre che dalla possibile diaspora dall’attuale struttura. Anche gli uffici potrebbero perciò perdere in sapienza e conoscenza, e diventare così più sensibili alle voci esterne. Auguriamoci che così non sia, perché significherebbe perdere uno dei pochissimi pezzi ancora sani e competenti delle istituzioni di governo dell’economia.

Verso il private enforcement?

Infine, un’ultima considerazione. I percorsi della politica e delle istituzioni sono sempre più complessi e imprevedibili di quanto si sia propensi a credere: paradossalmente, il paventato indebolimento dell’Antitrust potrebbe produrre nel lungo periodo un esito favorevole.
Potrebbe infatti emergere un più robusto private enforcement, ossia un maggior ricorso alla magistratura ordinaria, sul modello americano, in qualche misura prefigurato anche dalla recente riforma europea, voluta da Monti.
Per le caratteristiche della nostra magistratura e per le inerzie istituzionali, passerà però molto tempo prima che questa modalità possa diventare effettivamente funzionante. Questo nuovo orizzonte, per quanto interessante, sembra dunque per ora lontano.

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