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Tassazione delle sigarette: non mandiamo in fumo le regole del mercato*

La proposta di una tassa di scopo di cinque euro per pacchetto di sigarette per finanziare la sanità pubblica manca di raziocinio economico. Al riequilibrio tra le due componenti della tassazione corrisponde il rischio di favorire il mercato illegale.

C’è spazio per una tassa di scopo?

Una tassa di scopo di cinque euro per pacchetto di sigarette per finanziare il Sistema sanitario nazionale: è la proposta lanciata di recente da alcune parti politiche. Il nobile intento della proposta si scontra con l’importanza di mantenere il prezzo finale di vendita all’interno di una certa soglia non soltanto di profittabilità di impresa, ma anche di tollerabilità da parte del consumatore, in modo che quest’ultimo non sia spinto a rivolgersi a un potenziale mercato illegale.

Che l’aumento del prezzo finale di vendita, ottenuto attraverso un incremento della tassazione, rappresenti uno dei più significativi strumenti di politica economica in mano ai governi per scoraggiare il consumo di tabacco è ormai un risultato consolidato nella letteratura scientifica (si veda, ad esempio, qui). L’incremento, però, dovrebbe avvenire senza perdere di vista le leggi di mercato e gli studi di economia comportamentale sul tema.

Per capire le problematicità legate alla proposta, bisogna innanzitutto addentrarsi nel complesso funzionamento della tassazione delle sigarette in Italia e di come si differenzia rispetto al contesto europeo. La direttiva europea n. 64/2011 delimita all’interno di un preciso quadro normativo sovranazionale il disegno della struttura della tassazione dei prodotti a base di tabacco (in attesa di un aggiornamento in merito ai nuovi prodotti che, per il momento, vi ricadono implicitamente), ma permette un certo margine di manovra nel definire la composizione del prelievo tra componente specifica e ad valorem. Agire sulla prima o seconda componente non è neutrale rispetto al risultato ottenuto, essendo la prima più vicina allo scopo di internalizzare l’esternalità negativa (personale e sociale) scaturita dal consumo di tabacco e la seconda più interessata a massimizzare il gettito fiscale, data l’applicazione di un’aliquota proporzionale (attualmente, il 49,5 per cento in Italia) che incrementa la riscossione all’aumentare del prezzo di vendita. Ragionando a parità di gettito, oltretutto, l’imposta ad valorem determina sul mercato (non concorrenziale) delle sigarette una quantità più elevata e un prezzo più basso rispetto all’esito prodotto dall’accisa specifica, il che, in presenza dei costi esterni, rende ancora più problematica la sua eventuale preponderante applicazione. Lo sbilanciamento verso la componente ad valorem è proprio ciò che caratterizza, e ha sempre caratterizzato, il quadro italiano.

Da un punto di vista tecnico, la proposta politica dei cinque euro a pacchetto si qualifica, di fatto, come un incremento della componente specifica della tassazione complessiva, poiché è applicata uniformemente a prescindere dal valore finale di vendita. Prendendo come punto di partenza il 2023 e partendo dalla tassazione vigente su un pacchetto venduto al prezzo medio ponderato (Pmp) di 5,26 euro, abbiamo simulato diversi scenari sulla base del modo attraverso cui l’impresa decide di traslare in avanti, cioè sul consumatore finale, l’aumento dell’accisa specifica. Una volta calcolato il relativo residuo (2,07€) al netto della componente specifica (0,59€) e ad valorem (2,6€), l’Iva (22 per cento) e l’aggio al rivenditore (10 per cento), è possibile calcolare la quota finale in mano al produttore (profitto) e la sua incidenza sul Pmp (11,3 per cento).

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Nell’ipotesi che la traslazione sul prezzo finale di vendita vari dallo 0 al 380 per cento (19 euro in media in più a pacchetto), il profitto per l’impresa rimane sempre in territorio negativo, profilando una perdita netta; soltanto nel caso di un aumento del prezzo di un pacchetto di sigarette di 20 euro (traslazione del 400 per cento), l’impresa sarebbe in grado di ottenere un profitto almeno positivo, registrando un valore (0,4 per cento) molto lontano da quanto visto nello scenario di base (figura 1).

Il motivo di tale andamento risiede nel metodo di calcolo della componente ad valorem: al crescere della traslazione e, quindi, del prezzo finale di vendita, la componente viene ricalcolata ogni volta applicando l’aliquota attualmente vigente; ciò determina la progressiva crescita dell’ammontare dovuto allo stato. Al fine di ristabilire il margine di profitto dello scenario base il prezzo a pacchetto dovrebbe aumentare oltre i 50 euro.

Figura 1 – Incidenza percentuale del margine di profitto d’impresa su Pmp finale

Nota: la linea nera verticale indica la soglia del prezzo finale di vendita oltre la quale (24,26€) il rapporto tra margine di profitto e Pmp entra in territorio positivo.
Fonte: elaborazioni proprie su dati Commissione europea

Componente specifica e ad valorem: l’Italia nel quadro europeo

Queste premesse non mettono pienamente in luce la problematicità alla base del sistema di tassazione in vigore in Italia, ossia il forte sbilanciamento verso la componente ad valorem, che una tassa di scopo potrebbe teoricamente – e sottolineiamo teoricamente – risolvere.

Esaminiamo l’onere fiscale per pacchetto di sigarette al netto dell’Iva, che occupa una quota simile nei diversi paesi membri (la sua aliquota media implicita è pari al 17,7 per cento con una deviazione standard dell’1,6%), confrontando il caso italiano con il resto dell’Unione europea e la relativa media complessiva per i 27 paesi membri (figura 2). Per onere fiscale intendiamo la somma tra la componente specifica e la componente ad valorem. Quel che ci interessa, oltre all’andamento dell’onere fiscale in assoluto, è l’incidenza percentuale delle due componenti sul totale. Sulla base degli ultimi dati disponibili, che si riferiscono al 2023, l’Italia continua a posizionarsi sul podio per quanto riguarda l’incidenza della componente ad valorem: 81,6 per cento, al di sotto solo di Lussemburgo (85,6 per cento) e Spagna (83,4 per cento), rispetto a una media europea del 40,3 per cento. Per contro, ci sono paesi, quali l’Olanda, la Svezia, il Portogallo e la Danimarca, che superano il 95 per cento circa del peso relativo dell’accisa specifica.

A questo quadro molto frammentato – rispetto al quale l’Italia non è riuscita nel tempo (probabilmente anche per la mancanza di volontà politica, dato il significativo gettito derivante da questo tipo di tassazione) a riequilibrare il peso delle due componenti – non corrisponde un andamento univoco per quanto riguarda l’onere fiscale al netto dell’Iva. Se è vero che l’Irlanda e l’Olanda, dove l’incidenza della componente specifica è molto elevata, rappresentano i due paesi con il livello di tassazione più alto, è altresì vero che al terzo e quarto posto per livello di tassazione troviamo Francia e Finlandia, il cui peso dell’imposta ad valorem si aggira rispettivamente intorno all’81 e al 73 per cento.

Figura 2 – Onere fiscale al netto d’Iva per pacchetto di sigarette (Pmp) nell’Unione europea

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Nota: i dati sono aggiornati al 1° luglio 2024 e si riferiscono al 2023. L’onere fiscale (che si intende al netto d’Iva, la quale occupa una quota simile nei diversi stati membri essendo applicata con aliquota ordinaria) è calcolato sul prezzo medio ponderato (Pmp) di ogni pacchetto tradizionale da 20 sigarette. Gli istogrammi (in scala sinistra) riportano il peso percentuale delle due principali componenti dell’onere fiscale fatto 100 per cento il totale. I paesi sono ordinati in senso decrescente a partire dal livello del totale dell’onere fiscale al netto d’Iva riportato in scala destra.
Fonte: elaborazioni proprie su dati Commissione europea

Una volta appurata la scarsa incidenza della componente specifica, è legittimo domandarsi se si rilevi nel corso del tempo una tendenza a riequilibrare la situazione. Confrontiamo ancora una volta il caso italiano con il contesto europeo. La figura 3 considera la variazione assoluta intercorsa tra il 2022 e il 2023 della componente specifica, ad valorem e del totale dell’onere fiscale al netto dell’Iva. Se in media questo tipo di tassazione è aumentato di circa 30 centesimi di euro, con un apporto della componente specifica intorno all’80 per cento, in Italia l’incremento è stato minimo (6 centesimi) con un pari contributo delle due componenti.

Figura 3 – Variazione dell’onere fiscale al netto dell’Iva per pacchetto di sigarette (Pmp) nell’Unione europea

Nota: i dati da cui sono state calcolate le variazioni sono aggiornati al 1° luglio 2024 e al 1° luglio 2023 e si riferiscono rispettivamente al 2023 e al 2022. I paesi sono ordinati in senso decrescente a partire dal livello dell’onere fiscale al netto d’Iva. A questo proposito, si veda anche la nota della figura 2. 
Fonte: elaborazioni proprie su dati Commissione europea.

Un colpevole ritardo

È dunque vero che la proposta avanzata recentemente riequilibra fortemente il peso relativo tra la componente specifica e quella ad valorem, portando quest’ultima a incidere solo per il 30 per cento dell’onere fiscale finale al netto dell’Iva (l’Italia si posizionerebbe al secondo posto per livello assoluto dell’onere e al di sopra della media europea per quanto riguarda il peso della componente specifica, ossia il 68,2 per cento). Ma il riequilibrio varrebbe soltanto nella remota ipotesi in cui non venisse alterato il prezzo finale di vendita. Se così non fosse, e l’impresa decidesse di traslare la tassa in modo da mantenere un minimo margine di profitto (9 centesimi di euro con un prezzo finale di vendita di 25,26 euro sempre in riferimento al Pmp), il rapporto tra le due componenti si invertirebbe, portando l’accisa specifica e l’imposta ad valorem a pesare rispettivamente il 31 e il 69 per cento sull’onere fiscale al netto d’Iva, il che vanificherebbe l’iniziale riequilibrio tra le due componenti.

La proposta dei cinque euro a pacchetto si configura allora come fuori da qualsiasi raziocinio economico e fuori dalla conoscenza del complesso sistema di tassazione delle sigarette. Il progressivo aumento dell’incidenza della componente specifica, che l’attuale governo, come gli altri prima, sta colpevolmente ritardando, dovrebbe avvenire in maniera più graduale, senza perdere di vista i margini di profitto finali e la reazione dei consumatori rispetto all’andamento del prezzo finale di vendita.

* Tra il settembre del 2019 e l’agosto del 2022, l’Autore Giovanni Carnazza è stato titolare di un assegno di ricerca presso il Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi Roma Tre su temi riguardanti la tassazione del tabacco, per il quale il Dipartimento sopra citato ha stretto una convenzione con la Philip Morris. Allo stato attuale, l’Autore non ha alcun rapporto (diretto o indiretto) con l’azienda in questione e dichiara di non avere alcun conflitto di interessi in essere.

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  1. Savino

    Da non fumatore dico, scusate, ma quante tasse di scopo sulle sigarette e per quale scopo? Alla fin fine tra i fumatori ci sono anche disoccupati o cassintegrati che finiscono per essere, da consumatori finali, coloro che pagano queste tasse. Siamo già tornati da 10-15 anni almeno all’acquisto del tabacco per autoprodursi la sigaretta e tra un pò torneremo all’acquisto della sigaretta singola….

  2. Enrico

    Il tabagismo, come tutte le dipendenze, rende la domanda praticamente insensibile al prezzo. Quindi le sigarette sono il prodotto ideale per imporre tasse alla Ramsey, che garantiscono un gettito quasi certo e poco distorsivo rispetto alle altre scelte dei consumatori. Il vero problema è che un prezzo troppo elevato del tabacco fa aumentare vertiginosamente il contrabbando, che prosciuga il gettito atteso e non scoraggia il tabagismo (con i suoi costi sanitari e sociali). Questo fattore fa passare in secondo piano la traslazione delle imposte e la redditività del settore.

    • francesco mario

      Il timore del contrabbando e delle sue conseguenze sulle entrate tributarie indurrebbe a non allinearci con altri paesi per il costo di un pacchetto di sigarette;o.k. …va bene allora modifichiamo i ticket delle prestazioni sanitarie per le patologie collegate al consumo delle sigarette.

      • Lorenzo Luisi

        @Francesco Mario, colpito in pieno. È davvero frustrante subire le conseguenze del fumo e lasciare che i fumatori abbiano lo stesso trattamento nel SSN verso le patologie che contribuiscono a creare. Ai tempi del Covid ci sono state restrizioni per tutti in favore del bene comune, non vedo perché tali restrizioni, pratiche e/o economiche, non possano essere imposte a tale categoria solo perché ci sarebbe una caduta di gettito fiscale (senza considerare l’esborso in tasse verso SSN da parte di tutti).

  3. QualeWelfare

    Da fumatore: al di là della bontà della proposta, non si capisce proprio il senso dell’articolo:
    se obiettivo fosse scoraggiare il consumo di sigarette, perchè mai un governo dovrebbe preoccuparsi della profittabilità delle imprese e della sostenibilità per i consumatori??? ..
    quanto al SSN: una volta ridotta drasticamente la quota di consumatori, sarebbero ovviamente necessarie molte meno risorse;
    e il “mercato illegale potenziale” …non mi pare proprio questione di cui preoccuparsi a fronte dei potenziali benefici della riduzione della quota di tabagisti..nel paese in cui ampia parte dell’economia è in mano alla criminalità organizzata l’eventuale mercato nero di sigarette mi pare l’ultimo dei problemi

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